Istituzioni di diritto romano/Introduzione/Sezione III/Terzo periodo/Capitolo II
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CAPITOLO II.
fonti del diritto
I). Del Diritto Non Scritto Fonte è: la Consuetudine.
II). Del Diritto Scritto, Fonti sono:
A) La leggi B) I Senatusconsulti C) Le Costituzioni dei Principi D) Gli Editti dei Magistrati E) I Responsi dei Prudenti.
A) Leges.
§. 142. Crebbe a dismisura il numero delle Leggi sull’ultimo scorcio della Repubblica, e durante le guerre Civili che conturbarono lo Stato prima di Augusto; corruptissima republica plurimæ leges (Tacit Ann. 3. 27). Molte leggi furono fatte sotto il governo di Augusto, e importanti, per la procedura, e per la penalità; alcune anche pel diritto privato. Circa alla procedura furono notevoli le leggi: Juliæ judiciorum publicorum et privatorum. Intorno alla penalità: la lex Julia de adulteriis, le leges Juliæ de ambitu, majestatis, de peculatu de vi publica et privata, de fraudata annona. Relativamente al Diritto Privato, le leggi più celebri furono: la lex Julia et Papia Popea sul celibato e la sterilità; le leges Ælia Sentia et Furia Caninia che intesero a diminuire il numero delle manomissioni dei Servi. Di queste ultime leggi dovremo parlare, diffusamente, ma altrove. Accadde di frequente, che il popolo fosse chiamato a sanzionare col suo voto un Senatusconsulto. Di quì derivò, che una medesima disposizione legislativa talvolta ebbe nome di Legge, e tal altra volta di Senatusconsulto. Ma a mano a mano che il potere Imperiale andò crescendo, anche la vana formalità di consultare il popolo e di richiedere la sua sanzione, divenne rara; verso il termine del periodo attuale, cessò affatto; e le leges sparirono eziandìo di nome, dopo il regno di Nerva.
B) Senatusconsulta.
§. 143. Sul cominciare dell’attuale terzo periodo, i Senatusconsulti furono larga sorgente di Diritto Privato. Il potere popolare nella sua decadenza, tendeva a concentrarsi nel Senato. Venne tempo che un Senatusconsulto fu reputato sufficiente a rappresentare la volontà della nazione, attalchè fu omessa l’antica rogatio al popolo; ed i Decreti del Senato andarono ancora sotto il nome di Leggi. La maggior parte di siffatti Decreti Senatorj, sono deliberati sulla proposizione dell’Imperatore (ex auctoritate principis), il quale faceva conoscere la sua volontà al Senato con forme diverse. Fra queste, la più solenne era l’oratio principis, che il Principe talora da se recitava, talora faceva leggere da un Quæstor Candidatus. Le proposizioni Imperiali erano generalmente approvate per acclamazione, e questo spiega perchè gli Scrittori commentano e citano qualche volta l’oratio principis, anzichè il Senatusconsulto. Di Senatusconsulti contrarj alla sua volontà, non poteva temere lo Imperatore, avendo facoltà di paralizzarne l’efficacia con l’opporre ai medesimi il suo veto. Alcuni Senatusconulti furono come le leges, indicati col nome del Console che presiedeva alla votazione dei medesimi, come p. e. il S. C. Trebelliano, il Pegasiano ec; altri col nome dello Imperatore che ne faceva la proposizione per lettera (per epistolam), o con una orazione (ad orationem principis) come per es. il S. C. Claudiano, il Neroniano, ec. In un caso speciale il nome al Senatusconsulto fu dato da un malfattore, il cui delitto era stato causa immediata di quella disposizione legislativa. Un giovane scellerato, Macedone, per aver facoltà di pagare con l’eredità paterna i debiti ingenti contratti, vivente il padre, cosa orribile a dirsi, lo uccise, allora il Senatusconsulto Macedoniano negò ai Creditori del figlio di famiglia, per danaro mutuatogli, azione civile a ripeterne il pagamento. La massima parte dei Senatusconsulti relativi al Diritto Privato, occorrono da Claudio a Settimio Severo; poi vengono meno.
C) (Costitutiones Principum.)
144. La lex de Imperio, o lex Regia, della quale parlammo poco sopra, dava facoltà all’Imperatore di ordinare tutto quello, che fosse da lui reputato conveniente al pubblico ed al privato vantaggio. Di quì scaturì una nuova fonte di Diritto, le Costituzioni dei Principi; nome generico che comprende tutte le diverse maniere di manifestazione della volontà imperiale (quod principi placuit), la quale aveva forza di legge (legis vicem, o legis vigorem obtinebat). Gajo ed Ulpiano enumerano tre diverse forme di Costituzioni: Gli Editti, i Decreti ed i Rescritti, alle quali bisogna aggiungere i Mandati.
a) Gli Editti (Edicta) erano ordinanze fatte dagli Imperatori, in virtù di una magistratura che rivestivano, e che portava seco l’jus edicendi, come quella dei Pretori, dei Proconsoli, e simili. L’edictum, o lex generalis, veniva comunicato al Senato con una oratio; era pubblicato nelle Provincie dai luogotenenti imperiali, e conteneva l’espressa menzione della sua forza obbligatoria per tutti.
b) I Decreti (Decreta) erano le Sentenze interlocutorie o definitive, proferite dall’Imperatore nello esercizio della sua autorità giudiciaria. È da ritenere, che in questo periodo siffatti Decreti avessero forza di legge, non solamente nel singolo caso deciso, ma in tutti gli analoghi (cost. 12. Cod. De Legibus I, 14).
c) I Rescritti, (Rescripta) erano risposte per iscritto. Gli Imperatori, venivano spesso interrogati e consultati sopra punti dubbiosi di diritto; la risposta imperiale era scritta, ora in margine della domanda (adnotatio), ora in calce (subscripto), ora con una lettera separata (epistola), ora con un atto solenne (sanctio pragmatica) in replica a questioni di Diritto pubblico interessanti delle Corporazioni. Rescrivendo in questa guisa alle consultazioni delle autorità (epistola), o dei privati (adnotatio, subscriptio), gli Imperatori erano juris conditores, ed esercitavano quasi l’ufficio dei giureconsulti. Cotali risposte avevano autorità molto maggiore dei responsa prudentum, imperocchè oltre all’avere forza di legge nel caso che le aveva motivate, potevano essere invocate ed applicate in casi analoghi, quando non fosse stata evidente la volontà del Principe che valessero pel solo caso deciso.
d) I Mandati (Mandata) erano istruzioni, che il Principe indirizzava ai suoi impiegati, come regola di condotta. Questi Mandati suolevansi fare specialmente per i Legati e Luogotenenti del Principe, nelle Provincie imperiali. Contenevano dei principj di Diritto, cui il Legato doveva conformarsi. I Mandati erano obbligatorj soltanto nelle Provincie, per le quali erano stati fatti. Avevano certe somiglianze fra loro, e talora il contenuto di un Mandato, veniva trasfuso in un altro. Comunemente si riferivano al Diritto Criminale ed alla Polizìa; pochi e di rado al Diritto Civile. E questa, unita all’altra, che i Mandati riguardavano speciali Provincie non tutto lo Stato, sono le ragioni per le quali Gajo e Ulpiano non annoverano i Mandati, fra le diverse specie Costituzioni Imperiali che ci sono state conservate sia per mezzo delle citazioni dei Giureconsulti, sia per mezzo di alcune Collezioni che ne furono fatte nell’epoca, che per noi costituisce il 4° periodo della Istoria del Diritto Romano. Non essendosi rinvenute in siffatte Collezioni, Costituzioni anteriori all’Imperatore Adriano, si è creduto un tempo da taluno, che prima di quello Imperatore non ne fossero emanate; tanto più che avanti di lui, si trovano tuttora ricordati dei Plebesciti e dei Senatusconsulti. Ma questo è un errore, che si dilegua con la semplice lettura delle Pandette.
D) Edicta Magistratuum.
§ 145. Gli Editti dei Pretori, e degli altri Magistrati che godevano dell’Ius edicendi, sono fonti di diritto eziandio nell’attuale periodo. Gli Editti dei Pretori, di anno in anno più o meno modificati, sul finire del periodo antecedente contenevano molti principj non sempre, nè tutti fra loro concordi, come pure alcune regole, omai andate in dissuetudine. Servio Sulpizio, contemporaneo di Cicerone, per fare sparire queste incongruenze, si diede a riordinare l’Editto, sceverandone quello che poteva esservi di antiquato, e di contradittorio. Ofilio suo discepolo, poco dopo anche più diligentemente compose l’Editto, (edictum composuit). Ciò non pertanto il lavoro più notevole intorno all’Editto, fu opera di Salvio Giuliano, Giureconsulto celebre e Pretore ai tempi di Adriano. Fino alla fine dello scorso secolo si insegnava, che Adriano aveva comandato a Salvio Giuliano di raccogliere tutti gli Editti dei Pretori, di sceglierne il meglio e di comporne un solo Editto; si aggiungeva, che quell’Imperatore aveva pubblicato come Legge (rivestita d’autorità uguale a quella delle XII Tavole) il lavoro di Salvio, dandogli il titolo di Editto perpetuo, per indicare che doveva essere sempre e per tutto rispettato, e che i Pretori non avrebbero potuto per l’avvenire alterarlo in cosa alcuna. Quest’opinione sostenuta dall’Eineccio e dal Bach, e da molti loro seguaci, ebbe un valente contradittore in Gustavo Hugo, il quale ne dimostrò la esorbitanza. È certo, che gli scrittori antichi non parlano dell’opera, di Salvio Giuliano come di un Codice, che ponesse fine agli Editti dei Pretori; è incontrastabile che eziandio dopo quell’epoca i Pretori seguitarono a pubblicare Editti, e modificarono in qualche parte il Diritto Pretorio (Vedi Gajo I. 6 -. Ulp. fr. 7 -. 9. Dig. De Iurisdict, II, 1. Marcellus fr. 3. Dig. De conjugend. Cum emancip, XXXVII, 8 etc. etc.) È rimasto fuori di questione che il nome di Editto Perpetuo si dava all’Editto, in contrapposto allo Editto Repentino, e non già in contrapposto all’Editto annuo, che anzi l’Editto annuo chiamavasi anche perpetuo. Fu dunque esagerata la importanza del lavoro di Salvio Giuliano, e la parte presavi dall’Imperatore Adriano. È molto probabile, che il Giureconsulto in discorso, facesse quel suo lavoro sotto gli auspicj dell’Imperatore, glielo dedicasse, e che con un Senatusconsulto l’Imperatore ordinasse ai 4 Consolari, dei 4 distretti nei quali aveva diviso l’Italia, di conformarsi all’Editto riordinato. Ma non per questo si ha da credere, che venisse tolto ai Pretori in modo assoluto l’Ius edicendi per l’avvenire. Se non chè è da ritenere, che per la decadenza di tutte le Magitirature Repubblicane, e così anche della Pretura, e per rispetto alla volontà Imperiale, i Pretori non introducessero senza il consenso dello Imperatore, delle modificazioni importanti nell’Editto, dopo che Adriano ebbe approvato il riordinamento fattone da Salvio Giuliano. Così si spiega perchè l’Editto di Salvio Giuliano servisse senza notevoli cambiamenti, ai Pretori successivi, ed ai Commenti dei Giureconsulti; ed il suo testo fosse poi inserito nelle Pandette (fr. I. Dig. III, 2.). Salvio Giuliano commentò l’Editto, e dopo di lui scrissero sullo stesso argomento Viviano, Pomponio (83 libri), Ulpiano, (83 libri); Paolo, (83 libri); Furio Antiano, (5 libri), Saturnino; Gajo nelle sue due opere ad ed. præt. urb. e ad ed. provin. Dei più celebri Commenti dall’Editto esistono alcuni estratti nelle Pandette; grazie a questi si è potuto ritrovare l’ordino dei libri e dei titoli, che era quello della legge Decemvirale. Molti tentarono di riporre insieme l’Editto, con gli avanzi rimastine; e specialmente l’Haubold, riuscì eccellente in questo lavoro.
E) Responsa Prudentum.
§. 146. L’autorità dei Responsi dei Giureconsulti non fu mai a Roma tanto grande, quanto nell’attuale periodo. Dicemmo, come nel periodo antecedente, i Giudici dall’opinione pubblica fossero quasi costretti a rispettare quelle massime, che una serie di Giureconsulti accreditati, aveva concordemente professato. Pare che in questo periodo, Augusto scegliesse nel numero grande dei Giureconsulti, suoi contemporanei, alcuni più illustri, ed a questi accordasse una patente o matricola, per la quale fossero autorizzati a rispondere in nome di lui; ebbero allora questi responsi maggiore autorità (major juris auctoritas) perchè dati ex auctoritate principis. Creò in cotal modo l’Imperatore, un privilegium in questa, per lo innanzi, liberissima professione; e non potendo distruggere l’autorità dei Giureconsulti, nè trasformarli in impiegati Imperiali, quella autorità loro innestò alla propria facendonela, per così dire dipendere e derivare. Onde fu detto: a quei Giureconsulti essere lecito jura condere, (permissum est jura condere). Questi Giureconsulti privilegiati davano i loro responsi o pareri contrassegnati, forse con un sigillo o con una cifra, di cui ognuno aveva una propria (responsa signata) per autenticarli, come appunto fanno i nostri Notari col loro respettivo sigillo. Non per questo fu inibito agli altri Giureconsulti di continuare nell’esercizio della loro professione; ma siccome i loro lavori avrebbero goduto di minore credito, è molto probabile, che li ponessero sotto il patrocinio di qualcheduno fra i matricolati, onde questi ultimi figurarono soli come juris auctores; chiamati così in contrapposto ai veteri juris auctores: che erano i più antichi Giureconsulti, anteriori alla riforma di Augusto. Le opinioni dei Giureconsulti matricolati, avevano immensa autorità, quando fra loro conformi; e Adriano ciò considerando, ordinò, che quando le opinioni di questi Giureconsulti fossero state unanimi sopra un qualche punto di diritto, la soluzione data da essi dovesse avere forza di legge (legis vicem) tantochè i Giudici fossero in obbligo di seguitarla; mentre se vi fosse stata divergenza di sentimento, il Giudice rimanesse in libertà di adottare quella soluzione, che più sembravagli conforme al diritto ed all’equità. (Gajo Com. I, § 7.) Eziandio dopo questa disposizione di Adriano, non fu impedito ai Giureconsulti non privilegiati di esercitare; infatti Pomponio ci attesta, che quell’Imperatore replicò a taluni, che gli domandavano licenza di rispondere sul diritto, quello non essere un favore da chiedersi, ma una facoltà che l’uso loro conferiva; e che se avevano fiducia nel loro sapere, si preparassero pure a rispondere al popolo (fr. 2. §. 47. Dig. de Origine Iuris I, 2.)