Ippolito/Quarto episodio

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Euripide - Ippolito (428 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1928)
Quarto episodio
Terzo stasimo Quarto stasimo


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Giunge esterrefatto un servo d’Ippolito.

corifea

Ma veggo in fretta verso noi d’Ippòlito
muovere il servo; ed il suo viso è fosco.

servo

Dove trovar potrei di questa terra
il signore, Tesèo, donne? A me ditelo,
se lo sapete. Entro la reggia, forse?

corifea

Vedilo: dalla reggia appunto egli esce.

servo

Una triste novella, io reco, Tèseo,
a te, d’Atene ai cittadini, a quanti
nella terra trezènia hanno soggiorno.

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teseo

Che c’è? Forse piombò sopra le due
città vicine una sciagura nuova?

servo

Per dirla in un sol motto, è spento Ippòlito:
per pochi istanti ancor vedrà la luce.

teseo

Per man di chi? L’inimicizia forse
d’alcuno avea contratto, a cui la sposa
disonorò, come a suo padre, a forza?

servo

Il suo carro l’uccise, e la sventura,
che tu, pregando il padre tuo, del pelago
signore, contro a tuo figlio imprecasti.

teseo

O Numi, e tu, Posídone, che certo
padre mi sei, che le mie preci udisti!
Come morí? Narra: in qual modo il màlleo
di giustizia colpí quei che m’offese?

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servo

Presso la spiaggia, ove si frange l’onda,
noi, con le striglie, dei cavalli i crini
pettinavamo, e piangevam: ché giunto
era un araldo, e detto avea che mai
piú messo il piede non avrebbe Ippòlito
su questo suolo, e che da te bandito
era a misero esilio. Ed anche Ippòlito
giunse alla spiaggia, in mezzo a noi, levando
lo stesso suon di pianto; ed una turba
di giovani suoi pari, a passo a passo,
accanto a lui moveva. E infine, ai gemiti
pose fine, e parlò: «Perché mi cruccio?
Obbedire convien del padre agli ordini.
Aggiogate i cavalli, o servi, ai carri:
questa città per me piú non esiste».
Da questo punto, ogni uomo si affrettò;
ed i cavalli, già bardati, prima
che non si dica, disponemmo presso
al signor nostro; ed ei spiccò le redini
dall’orlo, e pose entro gli stampi i piedi.
E poi, le mani al ciel volse, e pregò:
«Giove, se un tristo io son, fa’ tu ch’io muoia;
ma, sia ch’io muoia, o che la luce io miri,
il torto che mi fa, veda mio padre».
Disse, e il pungolo prese, e lo vibrò
sui puledri; e noi servi, al carro presso,
presso alle briglie, seguivamo il nostro
signor, su la via d’Argo e d’Epidàuro.
Cosí, giungemmo in un deserto luogo,
di là da questa terra, ove al Saronio

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golfo1 proclive, stendesi una spiaggia.
Ed ecco, un’eco sotterranea, simile
a tuon di Giove, die’ cupo rimbombo,
spaventoso ad udire: onde i cavalli
le orecchie e il capo al cielo erti levarono.
E vïolento orror noi tutti invase,
donde venisse quella romba; e, vôlti
gli sguardi verso le sonore spiagge,
un maroso infinito, insino al cielo,
vedemmo, tal che all’occhio mio fu tolto
veder le spiagge di Sciróne; e l’istmo
tutto nascose, e d’Esculapio il balzo.
Poi, sgonfiandosi, e tutto gorgogliando
di fitta spuma in giro, si lanciò,
con marino estuar, contro la spiaggia,
ov’era la quadriga; e col medesimo
turbine, e con la furia orrida, al lido
scaraventò, fiero prodigio, un toro,
del cui muggito risuonò pervasa
la terra tutta: ed era lo spettacolo
tale, che sostener non lo poteva
chi lo guardava. E un súbito terrore
penetrò nei puledri; e il signor nostro,
di governar cavalli esperto molto,
strinse le briglie, e a sé le trasse, come
nocchiero il remo, il corpo appesantendovi
tutto all’indietro. I morsi quelli addentano
temprati al fuoco, e il carro a forza traggono,
senza curar la mano del pilota,
né il saldo carro e i finimenti equestri.
E se il corso volgeva ei verso i molli
solchi dei campi, innanzi ad essi il toro

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appariva, a stornarli, e la quadriga
folle rendeva di terrore; e quando
con delirante furia lo traevano
verso le rupi, all’orlo avvicinandosi,
muto seguia: sinché fiaccar lo fece,
e l’abbatté, facendo urtar la ruota
contro una roccia. E tutto allora fu
uno sfacelo; e i mozzi delle ruote
e le spine dell’asse, via balzarono.
E nelle briglie aggrovigliato, il misero,
di nodi entro legami inestricabili,
è trascinato via, battendo il caro
capo contro le rupi, e sfracellandosi
le membra, e grida orribili levando:
«Fermatevi, cavalli, entro le stalle
mie nutricati, non vogliate struggermi!
Ahimè, funesta imprecazion del padre!
Non c’è fra voi chi salvi un innocente?»
Molti di noi disposti eran; ma tardo
restava indietro il piede. Ed ei, dai lacci,
dalle briglie di cuoio, in che maniera
non so, fu sciolto, e cadde, un breve anèlito
traendo ancora. E i cavalli sparirono,
ed il prodigio dell’orribil tauro,
in qual parte non so del suol rupestre.
Servo della tua casa io sono, o re;
eppur, non mai convinto esser potrò
che il tuo figlio sia reo, neppur se tutta
vedessi offesa la femminea stirpe,
e tutti alcun di cifre empiesse i pini
dell’Ida; perché so ch’egli è innocente.

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coro

Questa nuova sciagura è, ahimè, compiuta,
né modo esiste di sottrarsi al fato.

teseo

Per odio all’uomo a cui toccò tal sorte,
m’allegrai nell’udirti. Ora, dei Numi
per rispetto, e di lui che da me nacque,
lieto non posso andarmene, e non dolermene.

servo

Dunque? Dobbiamo qui condurre il misero?
O che fare dobbiam, per compiacerti?
Pensa; ma udir se un mio consiglio brami,
non esser duro contro il figlio misero.

teseo

Conducetelo qui, ch’io dentro gli occhi
guardi colui che non macchiò, diceva,
il letto mio: con le parole voglio
convincerlo, e col mal dai Numi inflittogli.

Note

  1. [p. 302 modifica]Saronio golfo, ora golfo di Egina.