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IPPOLITO 277


servo

Presso la spiaggia, ove si frange l’onda,
noi, con le striglie, dei cavalli i crini
pettinavamo, e piangevam: ché giunto
era un araldo, e detto avea che mai
piú messo il piede non avrebbe Ippòlito
su questo suolo, e che da te bandito
era a misero esilio. Ed anche Ippòlito
giunse alla spiaggia, in mezzo a noi, levando
lo stesso suon di pianto; ed una turba
di giovani suoi pari, a passo a passo,
accanto a lui moveva. E infine, ai gemiti
pose fine, e parlò: «Perché mi cruccio?
Obbedire convien del padre agli ordini.
Aggiogate i cavalli, o servi, ai carri:
questa città per me piú non esiste».
Da questo punto, ogni uomo si affrettò;
ed i cavalli, già bardati, prima
che non si dica, disponemmo presso
al signor nostro; ed ei spiccò le redini
dall’orlo, e pose entro gli stampi i piedi.
E poi, le mani al ciel volse, e pregò:
«Giove, se un tristo io son, fa’ tu ch’io muoia;
ma, sia ch’io muoia, o che la luce io miri,
il torto che mi fa, veda mio padre».
Disse, e il pungolo prese, e lo vibrò
sui puledri; e noi servi, al carro presso,
presso alle briglie, seguivamo il nostro
signor, su la via d’Argo e d’Epidàuro.
Cosí, giungemmo in un deserto luogo,
di là da questa terra, ove al Saronio