Ione (Euripide)/Secondo episodio

Secondo episodio

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Euripide - Ione (413 a.C. / 410 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1928)
Secondo episodio
Primo stasimo Secondo stasimo
Questo testo fa parte della raccolta I poeti greci tradotti da Ettore Romagnoli


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Torna Ione.

ione

O ministre, che di questo sacro tempio al limitare
state vigili, in attesa del signor vostro, già l’are
ed il tripode ha lasciati Xuto, o ancora se ne sta
dentro il tempio, e chiede oracoli su la sua sterilità?

corifea

Ancor dentro è, straniero, non uscí da quella soglia.
Ora sí, la porta sento scricchiolar, come uscir voglia:
anzi, vedi il mio signore ch’esce già, verso noi viene.

xuto
Esce dal tempio e di rivolge a Ione.

Figlio, a te salute: questo dirti prima a me conviene.

ione

La salute io l’ho: fa’ senno tu, ché allor l’avremo in due.

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xuto

D’abbracciarti a me consenti, di baciar le mani tue.

ione

Sei tu sano? O Nume avverso ti sconvolse l’intelletto?

xuto

Pazzo io son, se abbracciar voglio chi piú al mondo è a me diletto?

ione

Smetti! Strappi, se mi tocchi, con la man, del Dio le bende.

xuto

Vo’ toccarti: il mio ben trovo: la mia mano non ti offende.

ione

Smetti, prima che una freccia nel polmone io non ti scocchi.

xuto

Fuggi, or ch’ài ciò che piú caro devi avere, innanzi agli occhi?

ione

Io non amo ospiti ch’ànno perso il senno, che son pazzi.

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xuto

Morte dammi, ardimi: il padre tuo distruggi, se m’ammazzi.

ione

Tu mio padre? E come? E debbo darti retta? È buffo il caso!

xuto

Punto: il resto del discorso potrà farti persuaso.

ione

Che potrai dirmi?

xuto

                              Ch’io sono padre tuo, tu figlio mio.

ione

Chi lo dice?

xuto

                    Chi ti crebbe, tolto a me: l’ambiguo Iddio.

ione

Tu te stesso garantisci.

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xuto

                                                  No, l’oracolo ricordo.

ione

Il responso ambiguo udendo, t’ingannasti.

xuto

                                                            E che son sordo?

ione

E qual’è di Febo il detto?

xuto

                                        Che colui che sui miei passi...

ione

Sui tuoi passi cosa?

xuto

                         Uscendo dall’oracolo, incontrassi...

ione

Qual sarebbe la sua sorte?

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xuto

                                        Che di quello il padre io sono.

ione

Da te nato, o dono d’altri?

xuto

                                             Da me nato, eppure dono.

ione

E ti sei prima imbattuto proprio in me?

xuto

                                                            Proprio in te, figlio.

ione

Strana è assai, tale vicenda!

xuto

                                        Io con te ne maraviglio.

ione

Da qual madre sarei nato?

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xuto

                                        Questo dir non te lo so.

ione

Né lo disse il Dio?

xuto

                              Pel gaudio mi scordai di chieder ciò.

ione

Dunque, madre ebbi la terra?

xuto

                                   Non dàn pargoli le zolle.

ione

Come dunque io son tuo figlio?

xuto

                                        Il Dio sa ciò che dir volle.

ione

Or veniamo a un altro punto.

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xuto

                                        Lo gradisco anch’io di piú.

ione

Non avesti alcuna tresca?

xuto

                                             Sí: follie di gioventú.

ione

D’Erettèo pria che la figlia sposa avessi?

xuto

                                                  Prima, prima.

ione

Ed allor mi generasti?

xuto

                                        Certo, il tempo ci collima.

ione

Però, come io son qui giunto?

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xuto

                                        Questo poi non lo capisco.

ione

Un viaggio cosí lungo!

xuto

                              Certo anch’io ne sbalordisco.

ione

Dimmi un po’: sei mai venuto, prima d’ora, al giogo Pizio?

xuto

Pei notturni baccanali, sí, ci venni.

ione

                                        E avesti ospizio
presso alcuno dei prossèni?

xuto

                         Sí, che a delfiche donzelle...

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ione

Ti congiunse nel medesimo tíaso?

xuto

                                             E Mènadi eran quelle.

ione

Eri in senno, oppur briaco?

xuto

                                        Vinto al gaudio ero del vino.

ione

Giusto allor fui generato.

xuto

                                             Fu volere del destino.

ione

Come al tempio giunsi?

xuto

                                   Quivi la fanciulla t’avrà messo.

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ione

E cosí rimasi libero.

xuto

                    Figlio, il padre accogli adesso.

ione

Negar fede al Dio non posso.

xuto

                              Ora sí, che pensi bene.

ione

Bramar posso altro che figlio...

xuto

                              Pensi come si conviene.

ione

del figliuolo esser di Giove?

xuto

                                   Tale sei precisamente.

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ione

Tocco dunque il genitore?

xuto

                                             Se l’oracolo non mente.

ione

Salve, padre.

xuto

               O grato augurio!

ione

                                   Questo dí...

xuto

                                                  Mi fa beato.

ione

Cara madre, e te vedere quando mai mi sarà dato?
Piú di prima assai desidero or vederti, qual tu sei;
ma tu sei di certo spenta, vuoti andranno i voti miei.

corifea

La gioia della reggia anch’io partecipo;
ma la regina, e d’Erettèo la casa
sorte di figli anche vorrei che avessero.

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xuto

Il tuo ritrovamento, o figlio, bene
dispose un Nume, e te congiunse a me.
Ciò che tu avevi di piú caro, senza
saperlo, hai ritrovato. Or, ciò che brami,
a buon diritto, anch’io lo bramo: il modo
che tu la madre tua, figlio, ritrovi,
ed io la donna che ti diede a me.
Ma troveremo, dando tempo al tempo,
anche la madre. Il sacro suol del Nume
e la vita raminga ora abbandona,
seconda il padre tuo, vieni ad Atene,
dove lo scettro di tuo padre, o te
fortunato, t’aspetta, e assai ricchezza.
Di due modi malato ora non piú
sarai, non detto piú povero e ignobile,
anzi bennato e assai provvisto d’agi.
Taci? A terra perché figgi lo sguardo,
e stai cogitabondo, e dalla gioia
ricacci ancora il padre tuo nel dubbio?

ione

Non han le cose l’apparenza stessa,
quando son lungi, e viste da vicino.
Io la ventura di buon grado accolgo
che te, padre, trovai; ma quello ascolta
che mi risulta. Dalla terra nacque
la progenie d’Atene, a ciò che dicono,
non già d’altronde. Io ci capiterei
con due malanni addosso: uno, che mio

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padre è foresto; e due che son bastardo.
Simile tara avendo, se vivrò
oscuramente, sarò men che nulla.
Se poi della città sui primi banchi
balzar cercassi, ed essere qualcuno,
odïato sarò da quanti privi
son del potere: ché fastidio genera
la preminenza. E i saggi, che potrebbero
essere utili e tacciono, e le cariche
non ambiscono, oggetto a lor sarò
di riso, taccia avrò di folle, quando,
in simile città, tutta trambusto
non sto tranquillo. E se potessi ascendere
a dignità, fra gli uomini autorevoli
ch’ànno il potere, tanto piú la mira
dell’invidie sarò: che cosí, padre,
suole avvenire: quelli che governano
sono agli emuli loro inimicissimi.
Poi, se mai giungo intruso in casa altrui,
a una donna di figli orba, che teco
delle venture tue prische partecipe,
vedendosene scissa or, di mal animo
sopporterà la nuova sorte, come
aborrito da quella, a buon diritto,
stando sempre al tuo fianco, io non sarò?
E allor dovrai tradirmi, e accondiscendere
alla tua sposa, o favorirmi, e tutta
veder sossopra la tua casa? E quali
stragi ed effetti di letali farmachi
contro i nemici non trovan le femmine?
E poi, la sposa tua, padre, compiango,
che senza figli invecchia, e di tal morbo
degna non è: ché i padri suoi fûr nobili.

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Della sovranità, che a torto esaltano,
l’aspetto è bello; e trista è invece, se
tu guardi a fondo. Essere può beato,
avventurato, chi campar la vita
deve temendo sempre, e sempre vigile?
Viver come privato eleggerei
con la fortuna, piú ch’esser sovrano,
che deve amici avere i tristi, e i buoni,
per timor della morte, avere in odio.
L’oro tu mi dirai, che vale piú
di tutto questo. E sí, ricchezza è dolce;
ma, se in pugno l’ho stretta, udire i biasimi
non mi riesce grato, e aver fastidî.
E i beni che qui godo, ascolta, o padre.
Il tempo, intanto, il primo ben degli uomini:
la poca ressa, poi, né per via m’urta
alcun briccone: e cosa intollerabile
è per la via cedere il passo ai tristi.
E fra preghiere ai Numi e bei propositi
son vissuto finora: a gente allegra,
non mai piangente fui ministro: ed ospiti
questi licenzïavo, e quei giungevano:
io nuovo ad essi, ed essi a me, gradito
ero a lor sempre. E, ciò che devon gli uomini
pregiare, anche se avvien senza lor merito,
l’indole e il mio dover fanno ch’io, servo
d’Apollo, un giusto sia. Badando a ciò,
meglio qui star, che lí, padre mio, reputo.
Lascia ch’io viva qui. Ci bea del pari
goder grandezze, e pago esser del poco.

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xuto

Bene tu parli; e avventurati anch’essi
saran pei detti tuoi quelli che ami.
Lascia questi discorsi, e impara ad essere
felice. Io voglio, incominciando, o figlio,
da dove io ti trovai, sedendo all’epula
d’un comune banchetto, i sacrifici
per la nascita tua, non celebrati
pria, celebrare: a casa, poi, come ospite,
a lieta mensa verrai meco; e come
spettatore ad Atene io t’addurrò,
non come figlio mio: ché la mia sposa
priva di figli addolorar non voglio,
io, ch’or n’ho la ventura. E poi, col tempo,
l’occasione spïerò d’indurla
che mi conceda a te lasciar lo scettro
della mia terra. E a te di Ione il nome
darò1, che bene alla ventura addicesi,
perché sui passi miei, quando io dagli aditi
del tempio uscivo, tu primo accorresti.
Ora, i giovenchi immola, e a mensa invita
gli amici tuoi, salutali, ché Delfi
omai tu lasci. E voi tacete, ancelle,
tutto che udiste; ché se nulla mai
direte alla mia sposa, a morte andrete.

ione

Andrò. Ma un punto alla fortuna mia
manca: se quella che mi generò
non trovo o padre, la mia vita, vita
non è. Se poi debbo augurarmi, oh possa

[p. 197 modifica]

esser d’Atene la mia madre, ond’io
libertà di parola abbia dal lato
materno almen: ché quando in una schietta
cittadinanza càpita un estraneo,
pur se diritti ha cittadini, serva
è la sua bocca, e tutto dir non può.
Escono.

Note

  1. [p. 337 modifica]A te di Ione il nome darò, che bene alla ventura addicesi; mette cioè in relazione il nome Ione col participio ion/ίών del verbo greco eimi/εἶμι io vado.