XXI. La lettura dei “Canti ermetici„

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XXI. La lettura dei “Canti ermetici„
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XXI.


LA LETTURA DEI “CANTI ERMETICI„


È venuta la contessina col poeta Cioccolani. Questa volta lui si ricorda chi sono io; e dice:

— Buon giorno, caro Sconer.

— Cavalier Sconer, se permette. Caro Sconer me lo faccio dir dalle amiche. (Mi pare che non abbiamo mai mangiato pasta e fagioli insieme. Buon giorno? ma veramente era sera oramai).

— Delizioso, delizioso, — esclama la contessina — questo chalet, sepolto nel verde. Venite a vedere, Cioccolani. Oh, come l’avete scoperto, Sconer?

— La prego, contessina — dico — non entri. Staremo fuori, qui nel giardino.

— Avete misteri? qualche ninfa dei boschi è prigioniera forse nel vostro castello, Sconer?

— Contessina, che cosa sento mai! Con la di lei imagine nel cuore, è possìbile?

— M’avete l’aria di essere donnaiolo, voi.

— Oh!

— Siete forse un uomo pudico, voi?

La contessina chiama il suo mammalucco per giudicare se io sono donnaiolo o uomo pudico. [p. 156 modifica]Ma subito dopo è chiamato per altra faccenda: — Cioccolani, Cioccolani, venite, venite. Ah, superbo!

Cioccolani e la contessina sono saliti su la montagnola. Sento lei che dice:

— Là, là, dall’altra parte, quella sciabolata di luce verdelettrica! I cipressi che si incendiano lassù come candelabri pazzi! Quella nuvola che si sfalda; ecco ecco: cadono le torri, i cornicioni d’oro. Cavalle in corsa frenetica, liocorni, chimere!

— La demogorgone! — risponde lui.

Che cosa era successo! Una cosa che accade tutti i giorni: tramontava il sole.

Lei gestiva e gridava come fa la Valchiria quando si rappresentavano le opere tedesche alla Scala. Lui, immobile, pareva Napoleone primo che assiste a una battaglia.

Io ne approfitto per andare alla villa dell’avvocato: — Lisetta, presto — dico — fate il piacere: ho degli ospiti. Pregate la signora se ha qualche cosa da servire, quello che c’è: caffè, rosolio, vermut.

Mi vien da ridere: mi pare di essere corso per chiamare i pompieri che vengano a spegnere l’incendio della contessina.

— Ma dove era lei? — mi dice quando io ri[p. 157 modifica]torno. — Ha perso un magnifico spettacolo: li sole agonizzava col suo più rosso e soffocato singhiozzo.

— Lo vedremo domani a sera.

— Siamo venuti — dice la contessina — a leggere i Canti Ermetici. Si ricorda, vero?

“Proprio no,„ ma rispondo: — Perfettamente! Eccellente idea! E perchè, scusi, “ermetici„?

— Perchè in apparenza non si capiscono....

— Ah, benissimo.

— Non si capiscono — corresse Cioccolani — nel senso delle parole tradizionali; ma dànno il senso panico anche alla persona più idiota.

— Così che lei vuol vedere che effetto fanno i suoi versi sopra una persona idiota? Caro lei, non si confonda: dica pure. Però guardi che lei è un bel tipo.

Non si confonde mica.

— “Idiota„ vuol dire — dice gravemente — nel suo senso primitivo, persona non iniziata.

— Per lei vorrà dire così, per me vuol dire, “stupido„. Ma lei parla in poesia e la cosa non mi riguarda.

— Sconer, vedete — si affretta a dire la contessina — , è come per la messa cantata di cui vi parlavo. Ammetterete, Sconer, che il popolo non comprende i versetti rituali; ma ne subisce la suggestione.

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L’incidente è esaurito.

Viene Lisetta. Porta un bell’apparecchio: tovagliolini, rosoli gialli, biscottini, e.... caramelle.

La contessina si drappeggia in una sedia di vimini.

La seduta è cominciata. Quanto è durata? Non so. Certo molto tempo. Ricordo che la Lisetta aveva portato poi due lampade da giardino: da principio le due fiammelle non facevano lume. C’era ancora sospeso il crepuscolo: poi fiammeggiarono, poi si consumavano rapidamente.

Deve essere trascorso molto tempo.

Da principio sospettai che si volessero prendere gioco di me. Io non capivo niente. No: facevano sul serio. E allora mi venne da ridere dentro di me.

Lei stava ora immobile come una statua: e lui in piedi, con il libro in mano, si sbracciava e strideva forte con quella vocina: Io sono un bolide lanciato nell’infinito. I grilli, seghe che sfaccettano il nero enorme della notte cristallina; i grilli, tendini di musica tesi disperatamente nello sforzo di tener ferma la notte che straripa.

Era poesia, ma mi è venuto questo pensiero: “Se io dovessi scrivere così ai clienti, mi sospenderebbero il pagamento delle tratte„; e [p. 159 modifica]allora ho provato una gran compassione per quel povero Cioccolani.

— Stia attento — mi avverte lei, toccandomi.

Sobbalzai.

— Arrivano gli spettri.

Gogò, gogogò, Orin Orin! — fa lui. — Arrivano di corsa gli spettri! ecco gli scheletri che battono le nàcchere: gogogò! — e faceva una voce che mi venne in mente la gatta di quella mattina. — Noi siamo insaziati di voluttà, gogogò! La vita non ci ha dato la voluttà! Gogogò! — Povero giovane!

Forse leggerà tutto il libro. La contessina stava immobile, e anch’io: ma io guardavo la contessina. Quelle due cosine gelatinose, di cui la signorina Oretta è tuttora sprovvista, lì, invece, davanti alla contessina, si sollevavano lentamente e poi si abbassavano. Anche se non sono di moda, stanno sempre bene. Gogogò! Venivano i brividi anche a me. Le caviglie delle gambe ogni tanto le guizzavano; e guizzavo anch’io.

Gogò, gogogò.... Orin! — seguitava lui.

E lei diceva a me:

— Sente i ritmi, gli anapesti, gli ottavini?

Ma io, negli intervalli del gogogò, sentivo certi tuffi soffocati.

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Sono corso via, un momento. Era la Lisetta, dietro lo chalet, che scoppiava dal ridere.

— Fa il piacere, va via!

*

La seduta è finita. C’era la luna. Cioccolani si asciugava il sudore.

Mi parve che seguisse un po’ di silenzio imbarazzante.

— Veramente di effetto — dissi io.

— Vero? — esclamò la contessina, come riscossa da un sogno. — Mi fa piacere, Sconer, sentir lei parlare così. È una lirica assolutamente pura! Adesso lei non prova che un arrière-goût; ma ad una seconda audizione, sentirà tutto il dinamismo del Pan ultra-sensibile.

— Perfettamente.

Silenzio con la luna.

Per me la “lirica„ era lei, e ne sentivo tutto il dinamismo.

— E l’Attileide, signor Cioccolani — domandai a lui — è del genere?

— Supera — dice la contessina.

— Gli altri poeti — declamò allora Cioccolani — hanno plasmato modeste ìmagini; noi abbiamo soffiato il nostro alito dentro le imagini stesse. Non basta! Quella era l’umanità. Noi [p. 161 modifica]vogliamo superare l’umanità. Ed io ho l’onore, o signore, — conclude tragicamente — che al mio paese mi chiamano imbecille.

— Anche a me è accaduto qualche volta — risposi, — ma io non ci bado. Sono cose che accadono agli uomini superiori.

— Bravo, Sconer — esclama la contessina con entusiasmo. — Fate largo alla divina giovinezza che viene!

Ma la luna si era fatta bianca e alta lassù: le candele gocciolavano.

Dico io: — Contessina, se loro vogliono accettare la mia ospitalità, ben volentieri. Ma li prevengo che l’ultimo tram passa alle undici e mezzo. Mi dispiace che lo chauffeur dorma lontano di qui, se no, li farei accompagnare con la mia auto.

*

Così li ho accompagnati sino al tram. C’era la luna, e un lume nella campagna come di giorno.

Disse la contessina: — Sventuratamente bisognerà per l’Attileide rinunciare al teatro all’aperto come era nostra intenzione, e sopprimere molti Unni.

La luna batteva in pieno sul volto della [p. 162 modifica]contessina. Pareva di madreperla. Parlavano poi della luna. Che cosa dicessero non so bene, ma parlavano della luna. Disse la contessina guardando la luna: — Tutta questa terribile bellezza da sostener da sola!

— Ah, poteste, Ghiselda, sostenere voi la parte di Genoveffa! — disse Cioccolani.

Ma che facciano proprio sul serio? Perchè, dopo tutto, anche per i poeti viene il momento di farsi una posizione riconosciuta.

E perciò domandai:

— Lei, signor Cioccolani, intende anche nella vita di seguitare a fare il poeta?

Mi guardarono tutti e due come se il pazzo fossi io.

— E i suoi genitori sono contenti?

— Non parliamo di quella gente — disse la contessina. — Suo padre avrebbe la pretesa che andasse dietro alla trebbiatrice a contare i sacchi di grano. I genitori sono inutili quando non comprendono un figlio di genio.

Finalmente arrivarono gli occhioni bianchi del tram.