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lora ho provato una gran compassione per quel povero Cioccolani.
— Stia attento — mi avverte lei, toccandomi.
Sobbalzai.
— Arrivano gli spettri.
— Gogò, gogogò, Orin Orin! — fa lui. — Arrivano di corsa gli spettri! ecco gli scheletri che battono le nàcchere: gogogò! — e faceva una voce che mi venne in mente la gatta di quella mattina. — Noi siamo insaziati di voluttà, gogogò! La vita non ci ha dato la voluttà! Gogogò! — Povero giovane!
Forse leggerà tutto il libro. La contessina stava immobile, e anch’io: ma io guardavo la contessina. Quelle due cosine gelatinose, di cui la signorina Oretta è tuttora sprovvista, lì, invece, davanti alla contessina, si sollevavano lentamente e poi si abbassavano. Anche se non sono di moda, stanno sempre bene. Gogogò! Venivano i brividi anche a me. Le caviglie delle gambe ogni tanto le guizzavano; e guizzavo anch’io.
— Gogò, gogogò.... Orin! — seguitava lui.
E lei diceva a me:
— Sente i ritmi, gli anapesti, gli ottavini?
Ma io, negli intervalli del gogogò, sentivo certi tuffi soffocati.