Inni omerici/A Demetra/Introduzione

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Omero - Inni (Antichità)
Traduzione di Ettore Romagnoli (1914)
A Demetra - Introduzione
A Demetra A Demetra - Inno

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L’inno a Demetra era già conosciuto da Pausania; ma non appariva nei nove manoscritti degli inni che si conoscevano fino al 1777. In quest’anno, il tedesco Matthaei, professore all’Università di Mosca, lo trovò, non già nella Biblioteca del Santo Sinodo, come si legge di solito, bensí in una stalla, fra polli e cinghiali domestici, e lo portò a Leyda.

E, appena venuto a luce, dove’, s’intende, esperimentare il lavorio della critica. Il quale, questa volta, fu cosí spietato, che perfino il Baumeister ci perse le staffe. «Il neonato appena venuto alla luce — dice egli, nel suo solito e simpatico latino — con acutissimo impegno presero a dilacerare col ferro e col fuoco, strepitando che era un parto mostruoso, che bisognava tagliarne via col coltello le membra sovrabbondanti, senza punto badare se, per avventura, insieme con le membra strappassero anche la vita».

Se lo dice un filologo tedesco, ci possiamo credere. E allora, leggiamo l’inno come se tutte quelle critiche non esistessero, e cerchiamo di formarci un criterio nostro proprio.

L’inno incomincia, anche qui, con un ex-abrupto plastico, col ratto di Proserpina, che costituisce il primo episodio (1-32). [p. 105 modifica]È pittura d’evidenza mirabile, che subito s’impone alla fantasia del lettore. Caratteristica è, soprattutto, la lunga descrizione dei fiori che coglie Persefone. In tutta la poesia greca non troviamo che brevissimi accenni floreali, siano pure sentiti e squisiti 1. Qui c’è invece una profusione; e il nostro pensiero corre ad opere di poesia moderna. Per esempio, senza parlare di Shelley 2, alla finissima Feroniade di Vincenzo Monti.

Un altro brano c’è, nella poesia greca, simile a questo: il brano de «Le Ciprie», riferito da Ateneo, in cui si descrive l’abbigliamento di Afrodite.

Dunque, le vesti indossò che avevan le Càriti e l’Ore
apparecchiate per lei, le avevano immerse nei fiori
di Primavera, quanti ne reca la nuova stagione,
nel croco, nel giacinto, nel florido fior di viola,
nei bocci della rosa, nettarëi, belli, soavi,
dell’opulento narciso nei calici ambròsi, nel giglio,
quanti alla nuova stagione la terra ne reca: di fiori
tanti e sí varii olezzava la veste che cinse Afrodite.


[p. 106 modifica]Non meno evidente e commovente è il secondo episodio (33-89), la pittura di Demetra che s’accorge del ratto, e muove disperata a cercare la figlia. Basterebbero ad onorare un poeta i versi 38-43, che dipingono il primo disperato cordoglio della Dea. — Dopo dieci giorni, ella si reca dal Sole, e apprende che il ratto è avvenuto per volere di Giove, e che dunque non c’è speranza.

Il terzo episodio comprende la passione — quasi si direbbe l’incarnazione — di Demetra. Motivo di altissima poesia, impregnato di sentimento moderno, e che trovò espressione in tutte quante le arti dell’Eliade. La figurazione della Diva che, priva del suo bene ed avvilita, siede lungo la via, quasi come una mendica, è quanto mai potente e commovente, e basterebbe da sola ad attestare le alte facoltà d’un poeta.

Nel quarto episodio abbiamo due tratti spiccatamente omerici: il racconto che Demetra inventa alle figliuole di Celèo, che ricorda i tanti di Ulisse nell’Odissea; e tutto l’episodio delle fanciulle, che sensibilmente riecheggia la divina armonia di Nausica. E non son tanto le singole note, quanto il tòno in genere: che, al solito, fa la musica.

Una serie di vivacissime scene costituisce il quarto episodio, in cui è dipinto il soggiorno di Demetra in casa di Celèo, la cura che ella si prende del bambinello Demofonte, e l’incidente per cui lo abbandona, e si allontana dalla casa di Celèo.

Quinto episodio (305-332). Demetra suscita su tutta la terra un morbo che distrugge ogni frutto. Giove manda tutti i Numi a pregarla, ma nessuno riesce a commuovere il suo cuore. [p. 107 modifica]Sesto episodio (333-338). Giove manda Ermete nell’Ade, perché riconduca Persefone sulla terra. Ade acconsente, ma, con una frode, fa sí che la Dea sia pur costretta a ritornare in Averno.

Settimo episodio. Madre e figlia si ritrovano. E, dopo le prime espansioni, Persefone, richiesta dalla madre, le narra i particolari del suo ratto. Questa narrazione, non è lunghissima, ma neppur troppo sobria. E specialmente offende la lunga enumerazione dei nomi delle Ninfe, e la descrizione dei fiori, che è una replica, assai peggiorata, di quella dei primi versi. E neanche si può obiettare che sia una delle solite ripetizioni epiche, perché non è ripetizione, bensì rifacimento. Si potrà sospettare che sia interpolata; ma non si può dire che abbia virtù di render sospetto tutto quanto l’episodio, che nel complesso s’inquadra benissimo nella linea generale.

Ottavo episodio. Giove manda Rea sulla terra perché convinca Demetra a desistere finalmente dal suo sdegno, e a ridonare alla terra la fertilità. Ritorni poi all’Olimpo, e le saranno concessi grandissimi onori. E la Dea ottempera in tutto al volere di Giove.

Versi 468-473. Saluto del poeta a Demetra e a Persefone.

Tale il contenuto dell’inno. E, se facciamo astrazione da alcuni particolari, che potrebbero benissimo essere interpolati, non c’è proprio nessun indizio che lo dimostri opera inorganica o comunque raffazzonata. Presenta anch’esso bella unità artistica, e per la finezza delle pitture non rimane certo inferiore a verun altro degl’inni omerici. E l’episodio dei fiori, e, innanzi tutto, la passione di Dèmetra, pur non essendo indici di un’età troppo bassa, gli conferiscono un sapore [p. 108 modifica]di modernità assai suggestivo, e lo rendono bene distinto fra tutti gli altri inni.

Quanto alla data, ci troviamo nella solita incertezza. Varii indizi linguistici indurrebbero a fissarla intorno al secolo VI a.C. E la grande importanza data al mito di Cèleo, specificamente attico, farebbero credere che attico fosse anche il poeta, o che, per lo meno, qualche festa attica gli desse l’ispirazione per questo suo canto commovente e pittoresco.

Note

  1. Vedi, in questa collezione, la prefazione all’Iliade, pag. XXIX, nota 2.
  2. Oltre alla famosa «Sensitiva», si legga per esempio, The Question, dove è una mossa che ricorda proprio la descrizione del nostro inno: «There grew pied wind-flowers and violets | Daisies, those pearled Arcturi of the earth | the constellated flower that never sets; | faint oxlips; tender bluebells, at whose birth | the sod scarce heaved; and that tall flower that wets... its mother’s face with Heaven’s collected tears, etc.». E quest’ultimo fiore sarebbe appunto il narciso.