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XVI XVIII

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XVII.

Così la Nanna s’era allontanate tutte le simpatie; i parenti stessi, dacchè non potevano più ammirarla nè per la bellezza nè per la bontà, ed erano ridotti a perdonarle sempre dei torti, l’amavano soltanto per istinto e per abitudine.

Sui ventiquattro anni s’era fatta robusta, aveva ingrassato parecchio, ed il suo volto aveva ripreso alquanto della freschezza giovanile. A forza di portare la pezzuola sul capo, aveva imparato a mettersela con una certa civetteria che riesciva a nasconderle la miseria del cranio spelato, senza sfigurarla.

Quell’anno, in primavera, alla zappatura, poi alla seminagione del riso, s’era accorta di non essere più repulsiva per nessuno. Che! c’era stato persino un giovine, un po’ maturo [p. 104 modifica] a dir vero, sulla trentina, che non l’aveva guardata di mal occhio.

Le cose non erano andate punto innanzi. Lavoravano insieme a seminare; lui le aveva detto:

— Ci vorreste vedere un altro al mio posto, nevvero, giovinotta?

— O per me, voi o un altro fa lo stesso, aveva risposto la Nanna.

— Bugie! le fanciulle hanno sempre uno che vorrebbero vicino.

— Ebbene io non sono una fanciulla come le altre perchè non ce l’ho.

— Non ci avete l’innamorato?

— Ma che! Non la vedete la mia testa? aveva ribattuto la Nanna con piglio irritato, quasi quasi per rimproverargli d’averla obbligata a dir tanto.

Il giovine però, non aveva capito che sotto la pezzuola quella testa era tanto sciupata. Aveva veduto soltanto che era liscia, ed aveva risposto: [p. 105 modifica]

— To! È vero! Non avete ancora l’argento. Ma però non siete più bimba; i vostri anni ce li avete anche voi.

— Ho quelli che ho, aveva detto la Nanna crollando le spalle, e continuando a lavorare. Ma il discorso non era rimasto li. Più tardi il giornaliero aveva ripreso:

— Date retta, giovinotta.... Come vi chiamate?

— Nanna.

— Date retta, Nanna. Non ho detto per offendervi che i vostri anni ce li avete. Lo vedo bene che non siete vecchia. Quanto potete avere, via! Ventotto anni?

— Siii! Trenta! Ne ho ventiquattro.

— Ebbene, ventiquattro, ventotto.... fa lo stesso. Ma siete sempre un fiore di ragazza. Ce ne sono a dozzine, che a ventotto anni non hanno ancora marito, e lo trovano dopo. Lo troverete anche voi.

— Io non lo cerco.

— Non occorre cercarlo; verrà da sè. [p. 106 modifica]

— Sì! aspetta che venga! aveva detto la Nanna ponendosi il pollice sul naso ed agitando le altre dita. In quel discorso rozzamente civettuolo, s’animava come non s’era animata da un pezzo.

— Volete che scommettiamo che prima dei raccolti verrà? aveva soggiunto il giornaliere.

— Scommettiamo pure; e che cosa?

— I confetti; vi torna?

— Sì. E si starà a vedere.

— Ma dovete dirmi dove state di casa, se ho da venire a domandarvi chi ha vinto la scommessa.

E la Nanna aveva indicata la cascina, e la strada per giungervi, ed aveva capito che lo sposo scommesso doveva esser lui.

Era ancora assai bell’uomo; e poi lei non aveva più diritto di fare la schizzinosa. Le bastava di potersi maritare come le altre. Senza dubbio avrebbe preferito Gaudenzio che aveva soltanto tre anni più di lei;.... e poi ora Gaudenzio! Ma quello là non era più un partito per lei a quell’ora. [p. 107 modifica]

Fu una reazione salutare. La Nanna tornò dalle risaie più trattabile, meno irritata. Qualche volta fu vista ancora di buon umore, sorridente. Si era persuasa che il suo avvenire non era ancora senza speranza, che poteva ancora essere amata. Ristudiò le pieghe ed il nodo della pezzuola che portava sul capo; si guardò intorno all’uscir dalla chiesa, si associò un pochino di più colle altre fanciulle. I suoi vecchi erano contenti di quel cambiamento, e dicevano:

— C’è voluto un po’ di fatica, ma s’è rassegnata.

E la Nanna invece era più lontana che mai dalla rassegnazione. I suoi occhi avevano una fissità lucente e misteriosa, che pareva dire:

— Vedrete.