In risaia/XV
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XV.
Secondo il suo modo di sentire, la Nanna credeva che tutta la famiglia avrebbe dovuto mettersi alla caccia d’un mezzo per riparare alla disgrazia toccata a lei; consultare medici e comperare medicine, che le restituissero la bellezza perduta. E, nel caso che questo miracolo non fosse riescito, il meno che avrebbero potuto fare babbo, mamma, fratello, parenti ed amici, sarebbe stato di passare il resto dei loro giorni in querimonie su quell’unico argomento:
— Questa povera Nanna, che non ha più capelli!
— E dire che ne aveva tanti!
— E così belli!
— E chissà se potrà ancora trovar marito? Lo potrà? Non lo potrà? E sempre: Povera Nanna! ripetuto su tutti i toni e semitoni della meraviglia, del cruccio, della pietà.
Ma quella poveraglia, che s’alzava all’alba tutti i disgraziati giorni che Dio manda sulla terra, e lavorava fin al tramonto per risolvere il miserabile problema del pane quotidiano, aveva ben altro a fare, che almanaccare sulle treccie e la calvizie della Nanna.
“Quel che Dio vuole non è mai troppo,” aveva detto la Maddalena; ed era la quintessenza della rassegnazione cristiana; perchè vedeva bene, povera mamma, che in quel che Dio voleva era compreso per lei la fine d’ogni orgoglio e d’ogni gioia materna, e per la figliola il celibato perpetuo ed una vita d’umiliazioni.
E gliene incresceva, poveretta; ma cosa farci? Per cercare i rimedii non aveva quattrini; e per piagnucolare non aveva tempo. Era donna positiva e disse:
— Ogni volta che si parla della sua disgrazia quella figliola si cruccia, senza che si ripari a nulla. È meglio non parlarne più, finirà per avvezzarcisi.
Martino trovò, come sempre, che la sua donna aveva ragione; e non si parlò più della malattia della Nanna e delle sue conseguenze, come se quella catastrofe non fosse mai avvenuta.
E la Nanna s’indignò di quel silenzio, lo interpretò a rovescio e pensò:
— Ecco come mi vogliono bene! Non si danno il menomo fastidio de’ miei crucci. Non ci pensano punto. Per loro ch’io mi mariti o no, cosa importa? Eppure non ho fatto nulla di male per essere trattata a questo modo. Non c’è giustizia.
E pensando così rimaneva sempre imbronciata; e rispondeva a tutti con mal garbo, e pigliava tutto in mala parte.
— Nanna, non istar ferma al sole, le disse un giorno Martino. Potresti pigliarti un malanno.
— Cosa volete che mi pigli? Di capelli da perdere non ne ho più, rispose la fanciulla con amarezza.
Il pover’uomo guardò la moglie sospirando e mormorò:
— Non si sa come pigliarla.
— È meglio non dirle nulla, consigliò la Maddalena, che nella sua tenerezza mirava sempre a non irritare la figlia.
Ed evitarono di farle altre osservazioni, e non osarono più raccomandarle d’aver cura della sua persona; ed allora la Nanna pensò:
— Ecco: perchè sono brutta non si danno più pensiero di me. Quand’ero bella, Nanna di qua, Nanna di là; Nanna non andar fuori colle oche; Nanna metti l’argento; e non ti affaticar troppo; e non ti ammalare. Ora che sono brutta non mi badano. Posso andar dove voglio.
I giudizi sono come i bottoni; se il primo non s’imbrocca si va a sghimbescio fino all’ultimo.
La Nanna finì per vedere in ogni parola una canzonatura, un rimprovero, una malignità; in ogni silenzio un segno di noncuranza o di sprezzo. Si raccolse in sè stessa; ruminò quella provvista di fiele che andava ogni giorno accumulandosi in cuore, si credette maltrattata, si addolorò, si compianse: e non trovando mai chi la contraddicesse nelle sue recriminazioni fra sè e sè, s’andò sempre più eccitando, finchè quello stato d’irritazione divenne il suo stato abituale.
Tutti quelli che non soffrivano, le sembravano colpevoli di non pigliarsi loro la sua disgrazia. Tutti i dispiaceri degli altri le parevano un atto di giustizia inventato apposta dalla Provvidenza, per dare a lei una soddisfazione personale. Aveva imparato una perfida canzone, che era di moda quell’anno, e se vedeva qualcuno indispettito, non mancava di cantare, con quanta malignità aveva in cuore:
Se ti te cicchet |