In morte di Lorenzo Mascheroni (1831)/Canto III

Canto terzo

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Canto Terzo


Due virtù che nimiche e in un sorelle
L’una grida rigor, l’altra perdono,
3Care entrambe di Dio figlie ed ancelle,

Ritte in piè, dell’Eterno innanzi al trono
Ecco a gran lite. Ad ascoltarle intenti
6Lascian l’arpe i celesti in abbandono;

Lascian le sacre danze, e su lucenti
Di crisolito scanni e di berillo
9Si locâr taciturni e riverenti.

D’ogni parte quetato era lo squillo
Delle angeliche tube, il tuon dormiva,
12E il fulmine giacea freddo e tranquillo.

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Allor Giustizia inesorabil Diva,
Incominciò: Sire del ciel, che libri
15Nell’alta tua tremenda estimativa

Le scelleranze tutte, e a tutte vibri
Il suo castigo, e fino a quando inulti
18Fian d’Europa i misfatti, e di ludibri

Carco il tuo nome? Ve’ tu come insulti
L’umano seme a tua bontade e ingrato
21Del par che stolto nella colpa esulti?

Vedi sozzi di strage e di peccato
I troni della terra e dalla forza
24Il delitto regal santificato.

Vedi come la ria ne’ petti ammorza
Di ragion la scintilla, e i sacri eterni
27Dell’uom diritti cancellar si sforza:

Mentre nuda al rigor di caldi e verni
Getta la vita una misera plebe,
30Che sol si ciba di dolor di scherni;

E a rio macello spinta, come zebe,
Per l’utile d’un solo, in campo esangue
33L’itale ingrassa e le tedesche glebe.

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Di propria man squarciata intanto langue
La peccatrice Europa, ed Anglia cruda
36L’onor ne compra, e coll’onore il sangue.

Per lei Megera nell’inferno suda
Armi esecrate, per lei toschi mesce;
39Suo brando è l’oro, ed il suo Marte, Giuda.

Che di Francia direm? A che riesce
De’ suoi sublimi scotimenti il frutto?
42Mira che agli altri e a sè medesma incresce.

Potea col senno e col valor far tutto
Libero il mondo, e il fece di tremende
45Follie teatro e lo coprì di lutto.

Libertà, che alle belle alme s’apprende,
Le spedisti dal ciel, di tua divina
48Luce adornata e di virginee bende;

Vaga sì che nè greca nè latina
Riva mai vista non l’avea, giammai
51Di più cara sembianza e pellegrina.

Commossa al lampo di que’ dolci rai
Ridea la terra intorno, ed io t’adoro,
54Dir pareva ogni core, io ti chiamai.

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Nobil fierezza, matronal decoro,
Candida fede, e tutto la seguía
57Delle smarrite virtù prische il coro;

E maestosa al fianco le venía
Ragion d’adamantine armi vestita
60Con la nemica dell’error, sofìa.

Allor mal ferma in trono e sbigottita
La tirannia tremò; parve del mondo
63Allor l’antica servitù finita.

Ma tutte pose le speranze al fondo
La delira Parigi, e libertate
66In Erinni cangiò,1 che furibondo

Spiegò l’artiglio; e prime al suol troncate
Cadder le teste de’ suoi figli, e quante
69Fur più sacre e famose ed onorate.

Poi divenuta in suo furor gigante,
L’orribil capo fra le nubi ascose,
72E tentò porlo in ciel la tracotante;

E gli sdegni imitarne e le nembose
Folgori e i tuoni, e culto ambir divino
75Fra le genti, d’orror mute e pensose.

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Tutta allor mareggiò di cittadino
Sangue la Gallia: ed in quel sangue il dito
78Tinse il ladro, il pezzente e l’assassino;

E in trono si locò vile marito
Di più vil libertà, che di delitti
81Sitibonda ruggía di lito in lito.

Quindi proscritte le città, proscritti
Popoli interi, e di taglienti scuri
84Tutte ingombre le piazze, e di trafitti.

O voi che state ad ascoltar, voi puri
Spirti del ciel, cui veggio al rio pensiero
87Farsi i bei volti per pietade oscuri;

Che cor fu il vostro allor che per sentiero
D’orrende stragi inferocir vedeste
90E strugger Francia un solo, un Robespiero?2

Tacque; e al nome crudel su l’auree teste
Si sollevâr le chiome agl’immortali,
93Frementi in suon di nembi e di tempeste.

Gli angeli il volto si velâr coll’ali,
E sotto ai piedi onnipossenti irato
96Mugolò il tuono, e fiammeggiâr gli strali.

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E già bisbiglia il ciel, già d’ogni lato
Grida vendetta, e vendetta iterava
99Dell’Olimpo il convesso interminato.

Carca d’ire celesti cigolava
De’ fati intanto la bilancia, e Dio,
102Dio sol si stava immoto e riguardava.

Surse allor la Pietade; e non aprío
Il divin labbro ancor, che già tacea
105Di quell’ire tremende il mormorío.

Col dolce strale d’un sol guardo avea
Già conquiso ogni petto. In questo dire
108La rosea bocca alfin sciolse la dea,

Alte in mezzo de’ giusti odo salire
Di vendetta le grida, ed io domando
111Anch’io vendetta, sempiterno Sire.

Anch’io cacciata dai potenti in bando
Batto indarno ai lor cuori, e inesaudita
114Vo scorrendo la terra e lagrimando.

Ma se i regnanti han mia ragion tradita,
Perchè la colpa de’ regnanti, o Padre,
117Negl’innocenti popoli è punita?

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Perchè tante perir misere squadre
Per la causa de’ vili? Ahi! caro i crudi
120Fanno il sacro costar nome di madre.

Peccò Francia, gli è ver; ma spenti i drudi
D’insana libertà, perchè in suo danno
123Gemono ancora le nimiche incudi?

Dunque eterne laggiù l’ire saranno?
E solo al pianto in avvenir le spose,
126Solo al ferro e al furor partoriranno?

Dunque Europa le guance lagrimose
Porterà sempre? E per chi poi? Per una,
129Per due, per poche insomma alme orgogliose.

Taccio il nembo di duol che denso imbruna
Tutto d’Olanda il ciel; taccio il lamento3
132Della prostrata elvetica fortuna.

Ma l’affanno non taccio e il tradimento
Che Italia or grava, Italia in cui natura
135Fe’ tanto di bellezza esperimento.

Duro il servaggio la premea; più dura
Una sognata libertà la preme,
138Che colma de’ suoi mali ha la misura.

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Su i cruenti suoi campi più non freme
Di Marte il tuono; ma che val, se in pace
141Pur come in guerra si sospira e geme?

Prepotente rapina alla vorace
Squallida fame spalancò le porte,
144E chi serrarle le dovea si tace.

Meglio era pur dal ferro aver la morte,
Che spirar nudo e scarno e derelitto
147Tra i famelici figli e la consorte.

Deh sia fine al furor, fine al delitto,
Fine ai pianti mortali, e della spada
150Pera una volta e de’ tiranni il dritto!

Paghi di sangue chi vuol sangue, e cada;
Ma l’innocente viva, e dell’oppresso
153Il sospir, o Signor, ti persuada.

La Dea qui ruppe il suo parlar con esso
Le lagrime sul ciglio; e chi per questa
156Chi per quella fremea l’alto consesso,

Qual freme d’aquilon chiuso in foresta
Il primo spiro, allor che ciechi aggira
159I susurri forier della tempesta.

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Mentre vario il favor ne’ petti ispira
Desianze diverse, incerto ognuno
162Qual fia vittrice, la clemenza o l’ira;

Del ciel cangiossi il volto e si fe’ bruno,
E caligine in cerchio orrenda e folta
165Il trono avvolse dell’Eterno ed Uno.

E una voce n’uscì che l’ardua volta
Dell’Olimpo intronava. Attenta e muta
168Trema natura e la gran voce ascolta.

Cieli, udite, odi, o terra, l’assoluta
Di Dio parola. Tu che l’alto spegni
171Patrio delirio, e Francia hai restituta;

Tu che vincendo moderanza insegni
All’orgoglio de’ re, cui tua saggezza
174Tolse la scusa di cotanti sdegni;

Fa cor: Quel Dio che abbatte ogni grandezza,
Guerra e pace a te fida, a te devolve
177Il castigo d’Europa e la salvezza.

Tu sei polve al mio sguardo, ed io la polve
Strumento fo del mio voler. Qui tacque
180Colui che immoto tutto move e volve.

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Qui sparve l’alta visïon: poi nacque
Per entro al negro vortice un confuso
183Romor d’ali e di piè che di molt’acque

Parea lo scroscio. Ma repente schiuso
Fiammeggiò quel gran buio, e folgorando
186Due cherubini si calaro in giuso:

Que’ due medesmi del divin comando
Esecutori, che nel pugno aviéno
189L’un d’olivo la fronda, e l’altro il brando.

Ratti a paro scendean come baleno,
E due gran solchi di mirabil vista
192Paralelli traean per lo sereno.

L’uno è pura di luce argentea lista;
L’altro è turbo di fumo che lampeggia,
195E sangue piove che le stelle attrista.

Di qua tutto sorriso il ciel biancheggia;
Di là son tuoni e nembi, e in suon di pianto
198L’aria geme da lungi e romoreggia.

Seguían coll’ali del vedere un tanto
Prodigio stupefatti i due lombardi,
201Coll’altro spirto di che parla il canto;

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quando si vide a passi gravi e tardi
Dalla parte ove rota il suo viaggio
204La terra, e obliqui al sole invia gli sguardi,4

Pensierosa salir l’ombra d’un saggio,
Che il dito al mento e corrugata il ciglio,
207Uom par che frema di veduto oltraggio.

Dalla fronte sublime e dal cipiglio
Nobilmente severo si procaccia
210Testimonianza il senno ed il consiglio.

Come trasse vicino, alzò la faccia,
Gl’insubri ravvisò spirti diletti;
213E mosse prima che il parlar le braccia.

Allor si vide con amor tre petti
Confondersi e serrarsi, ed affollarse
216Gli uni su gli altri d’amicizia i detti.

Lo stringersi a vicenda e il dimandarse
Tra quell’alme finito ancor non era,
219Che di note sembianze altra n’apparse;

E corse anch’ella, ed abbracciò la schiera
Concittadina. Il volto avea negletto,
222Negletta la persona e la maniera.

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Ma la fronte, prigion d’alto intelletto,
Ad or ad or s’infosca, e lampi invia
225Dell’eminente suo divin concetto.

Scrisse quel primo l’alta economia
Che i popoli conserva, e tutta svolse
228Del piacer la sottile anatomia.5

Intrepido a librar l’altro si volse
I delitti e le pene, ed al tiranno
231L’insanguinato scettro di man tolse.

Poscia che le accoglienze, onde si fanno
Lieti gli amici, s’iterar fra questi
234Che fur primieri tra color che sanno;

Disse Parini: Perchè irati e mesti
Son tuoi sguardi, o mio Verri? Ed ei rispose
237- Piango la patria: e chinò gli occhi onesti.

E anch’io la piango, anch’io; con sospirose
Voci soggiunse Beccaria: poi mise
240Su la fronte la mano, e la nascose.

Di duol che sdegna testimon conquise
Vide Borda quell’alme, e in atto umano
243Disse a tutte, salvete; e si divise.

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Col salutar degli occhi e della mano
Risposer quelle, e in preda alla lor cura
246Mosser tacendo per l’etereo piano.

Come gli amici in tempo di sventura
Van talvolta per via, nè alcun domanda
249Per temenza d’udire cosa dura;

Tale andar si vedea quell’onoranda
Di sofi compagnia, curva le fronti,
252Aspettando chi primo il suo cor spanda.

Luogo è d’Olimpo su gli eccelsi monti
Di piante chiuso che non han qui nome,
255E rugiadoso di nettarei fonti,

Ch’eterno il verde educano alle chiome
Degli odorati rami, e i più bei fiori
258Di colei che fa il tutto, e cela il come;6

Poi cadendo precipiti e sonori
Tra scogli di smeraldo e di zaffiro
261Scendono a valle per diversi errori:

E là danzando del beato empiro
A inebriar si vanno i cittadini
264Dell’ambrosia che spegne ogni desiro:

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A quest’ermo recesso i peregrini
Spirti avviàrsi; e qui seduti al rezzo
267Tra color persi, azzurri e porporini,

Fèr di sè stessi un cerchio. O tu che in mezzo
Di lor sedesti, olimpia Dea, nè l’ira
270Temi del forte nè del vil lo sprezzo,

Tu verace consegna alla mia lira
L’alte loro parole; e siano spiedi
273A infame ciurma che alle forche aspira,

Nè vale il fango che mi lorda i piedi.




Note

  1. [p. 115 modifica]* Ecco la libertà che ho tanto vilipesa nella Bassvilliana. La convenzione nazionale era in quei miseri tempi una congrega non d’uomini, ma di furie, e la Francia tutta un inferno. Spento Robespierre, spenti quei codardi che spinsero al patibolo i più generosi, la Francia mutò fisonomia e la cantica fu interrotta. Ed ora che il mondo sembra finalmente tornato alla saggezza, ora che la Francia, altamente detesta ciò ch’io prima ho esecrato, vi sarà chi pur tragga da quel poema il pretesto, di calunniare la fermezza de’ miei principj? Oh imbecilli! Chi siete voi che tacciate di schiavo il libero autore dell’Aristodemo? Lo conoscete voi bene? Sapete voi che al pari della tirannide che porta corona, egli abborre quella che porta berretto? Ho sospirato, e sospiro ardentemente l’indipendenza dell’Italia, ho rispettato in tutti i miei versi religiosamente il suo nome, ho consacrato alla sua gloria le mie vigilie, ed ora le consacro coraggiosamente me stesso, gridando in nome di tutti la verità. Cicerone e [p. 116 modifica]Lucano, Dante e Machiavello si sono abbassati all’adulazione necessaria a’ lor tempi. Ell’era più necessaria a quelli ne’ quali io scriveva: ma ne’ secoli corrotti la virtù è sostenuta dai vizj, e il delitto apre la strada alle magnanime imprese. O tu che accusi la mia debolezza, che pur non fu dannosa ad alcuno, perchè poi non imiti il mio coraggio che può riuscire a vantaggio comune? Sei dunque tu il vile non io. Or va, miserabile; e in vece di predicar la libertà di Catone coll’anima di Tersite va a banchettare alle cene di Ecate per non morir di fame sul trivio.
  2. [p. 116 modifica]Massimiliano Robespierre era un avvocatuzzo ignorante, senza spirito e che sarebbe vissuto per sempre nell’oscurità, ove il caso che a que’ tempi tutto poteva, non lo avesse esaltato con quella stessa facilità con che dappoi lo ha abbattuto.
  3. [p. 116 modifica]L’Olanda e la Svizzera come già fu detto, erano state esse pure invase nel 1799 dai confederati contro la Francia.
  4. [p. 116 modifica]La terra inclinata ai poli di ventitre gradi e mezzo sull’eclittica, nella sua rotazione guarda appunto obbliquamente il sole.
  5. [p. 117 modifica]Allude all’ingegnoso trattato del Verri: Sull’indole del piacere e del dolore.
  6. [p. 117 modifica]Intende la natura.