Il vecchio bizzarro/Lettera di dedica
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A SUA ECCELLENZA
IL SIGNOR
GIOVANNI BONFADINI
PATRIZIO VENETO1.
Ma temo che la mia compiacenza sopra di questo punto facendomi dilatare soverchiamente, vaglia a far credere a quelli che non vi conoscono, che in sì picciola cosa abbiasi confinato il Vostro talento; e vorrei potere dal canto mio rendervi quella giustizia che meritate in tutte quelle parti che signorilmente vi adornano, per dar rissalto alle vostre virtù, ai vostri meriti, ed alle vostre ammirabili prerogative. Sino dai primi anni della gioventù vi dichiaraste parziale dei buoni studj, delle scienze, della filosofia, delle belle lettere, e coltivando in appresso un così bel genio, vi formaste un perfetto conoscitore, un erudito Cavaliere, serbando anche in ciò quella discreta moderazione con cui nei piaceri di questa vita sapete onestamente prendere la vostra parte. In quelle onorifiche cariche, in quei Magistrati che la Repubblica Serenissima a misura della età vostra vi ha finora appoggiati, spiccò talmente il vostro sapere, e la diligentissima attenzione vostra, che dai primi saggi del vostro talento può argomentarci qual sarete per divenire in Repubblica, e quali fortunati progressi da Voi si aspettino i Congiunti vostri ed i vostri Concittadini; ed io, che ebbi l’onorato carico parecchie volte di tesser rime ed encomi agli Eroi di questa Patria Gloriosa, ai primi gradi innalzati dal merito e dalla virtù, se tanta vita Dio mi concede, spero dover cantare di Voi luminosissime cose, in occasione di giubbilo, di gloria vostra e di consolazione comune.
Il vostro magnanimo Genitore, che dopo aver servito con vero zelo e con ammirabile decoro la Patria, ebbe da essa la ricompensa sublime della Dignità Senatoria, passatovi per la via insigne del Tribunale più eccelso, egli vi apre la strada agli onori, alle cariche, alle dignità, e Voi, non meno che l’Eccellentissimo Signor Pietro, Fratello vostro degnissimo, siete nella Virtuosa gara costituiti di far decidere al Mondo chi più vaglia, e più sollecitamente, ad ingrandir maggiormente il sangue illustre della vostra Famiglia, la fama dei vostri meriti, e la grata riconoscenza della Repubblica Serenissima.
Pieno di così viva speranza, godo dello stato vostro presente, e delle venture felicità che vi aspettano, e già che l’età vostra il consente, vi offro per ora il divertimento di una Commedia, risserbandomi nelle occasioni più fortunate ad innalzar la mia musa coi cantici delle vostre Glorie. Seguite pure di buona voglia l’esercizio piacevole delle Commedie, le quali non solo vogliono a divertirvi, ma possono eziandio esservi di giovamento. Quell’avvezzarsi a parlare al pubblico è pure lodevol cosa. L’arte sì famigliare agli antichi Romani si è perfettamente in queste fortunate Lagune trasfusa e perfezionata. Nascono fra di noi gli Oratori; chi al Senato, chi al Foro con ammirabile naturale facondia sa difendere le cause pubbliche e le ragioni private. È un pregio e un abito della Nazione la naturale disposizione agli aringhi, la prontezza del dire, la energia delle dispute, la forza degli argomenti, la chiarezza, la fecondità dello stile. Oltre alla natura benefica, l’esempio de’ Vecchi ammaestra la Gioventù, e in questa l’esercizio avvalora l’istinto. Tutte le arti si vengono a perfezionare per gradi, e loderei sommamente che a tutti gli altri piacevoli trattenimenti che ai Giovanetti si accordano, quello si preferisse di esporsi al pubblico dalle Scene. Molti si trovano di talento e di sapere forniti, che pensano giustamente, e capaci sono in privato di un buon consiglio, ma temono le azioni pubbliche; e manca loro il coraggio. Ciò accade ordinariamente perchè non ne sono avvezzati, onde quantunque siano le Scene dal Foro e dai Magistrati remote, l’azione è similmente azzardosa, allorchè trattasi di parlare da un luogo pubblico ad un numero di persone raccoltesi per ascoltare; e chi bene abbia riuscito in questo sopra le Scene, se non avrà le cognizioni che al buon legale e al bravo Repubblichista son necessarie, avrà superata almeno la massima difficoltà, che suol consistere nell’apprensione. V. E. ha tutti i numeri necessari, e per le piccole e per le grandi imprese; ha bisogno meno degli altri di tali esperimenti per esercitare la sua facondia e la prontezza del suo intelletto, ma ciò non ostante seguiti pure, e non abbandoni il bel piacere delle Commedie. Queste recano un altro bene alla Gioventù. La divertiscono dai trattenimenti meno innocenti, e qualche volta pericolosi. Guai al mondo se non vi fossero dei Teatri. Tutti i Principi li credono necessari. Un Capitano d’armata, fuori dei militari conflitti, pensa immediatamente a divertire la Truppa con i Teatri; questi impediscono i progressi del gioco, e traviano dalle insidie amorose. Parlo di que’ Teatri che onesti sono e morigerati. Non di quelli di mal esempio, che si figurano i Moralisti colle loro invettive, de’ quali a’ dì nostri, per la Dio grazia, si è perduta per fin la memoria.
Ma sul finire di questo foglio, mi si presenta all’idea un rimprovero che l’E. V. può farmi. Io lodo Voi che tanto mirabilmente il Dottor Bolognese rappresentate, e pare che dalle mie Commedie lo abbia sbandito. Mi giustifico brevemente. Prima di tutto, io non ho l’abilità di scrivere quella lingua, come Voi la parlate. In secondo luogo, senza far torto alle Maschere che ora abbiamo, pericoloso mi riuscì sempre, ed infelice talvolta il valermene, stanco il Pubblico forse di veder sempre le cose solite, amante della novità sulle Scene.
Dovendo scrivere per Bagnoli, non lascierò da parte il Dottore, veggendolo in tanta grazia del popolo che lo applaudisce. So anch’io conoscere i miei vantaggi per la miglior riuscita delle mie produzioni, e so altresì che miglior fortuna non posso desiderarmi, oltre quella della grazia e protezione Vostra umanissima, alla quale ossequiosamente mi raccomando.
Di V. E.
Umiliss. Dev. Obblig. Servidore |
- ↑ Questa lettera di dedica fu stampata con la commedia che segue nel t. II del Nuovo Teatro Comico dell’avv. C. G. (Venezia, Pitteri), l’anno 1757.
- ↑ Si veda il vol. I della presente edizione.
- ↑ Al Widiman dedicò il Goldoni la Bottega del caffè: vedasi il vol. IV della presente edizione.
- ↑ Si veda il vol. I della presente edizione.
- ↑ Nel 1756.
- ↑ Non fu mai scritta dall’autore, e lo scenario non si è conservato.