Il tesoro del presidente del Paraguay/11. I gauchos

11. I gauchos

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10. La scomparsa dell'agente del governo 12. I cavalli selvaggi


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XI.

I gauchos.


Q
uella piccola abitazione, perduta in mezzo a quella immensa pianura erbosa, lontana da ogni centro incivilito, sul suolo scorrazzato da soli indiani, era meschina assai, tanto da non valere nemmeno il nome di capanna.

Pareva che fosse stata fabbricata da poco tempo, ma era ormai cadente. Le sue mura di calcestruzzo presentavano da ogni parte crepe, come se avesse sostenuto un qualche furioso assalto o fosse stata scrollata da un formidabile terremoto; il suo tetto formato di erbe mostrava già delle larghe fessure, per le quali doveva passare abbondantemente la pioggia; la porta, fatta di frasche spinose, si reggeva a malapena. Perfino la siepe che la cingeva era qua e là strappata, come se degli uomini avessero tentato di attraversarla senza incomodarsi a saltarla.

L’interno non valeva di più. Il suolo era ancora erboso e pieno di rottami, di ossa, di frasche ammonticchiate alla meglio e che forse dovevano servire di letto. La mobilia si riduceva a due selle grandi e pesanti, ad alcuni fornimenti da cavallo, alcune coperte, poche corde, una pentola di ferro, e a due crani di bue, che dovevano supplire le sedie.

Nel mezzo però, sopra un buon fuoco, finiva di arrostire un enorme pezzo di carne, il quale spandeva all’intorno un profumo appetitoso. [p. 93 modifica]

I due gauchos, appena entrati, offrirono cortesemente ai due marinai i due crani di bue, pregandoli di sedersi e scusandosi di non poterli far accomodare su di un sedile un po’ più soffice.

— Bah! — esclamò il mastro, messo in buon umore dalla gentilezza di quegli uomini mezzo selvaggi e dall’arrosto che pareva pronto. — Siamo abituati a sederci sul duro e a dormire anche per terra: è vero, Cardozo?

— Non siamo troppo delicati, — rispose il ragazzo. — Sul mare si fa la pelle dura e le ossa diventano d'acciajo.

— Permettete che vi offriamo un pezzo di asado,1 che avevamo preparato per la nostra cena, — disse il gaucho Ramon. — Mi dispiace di non offrirvi qualche cosa di meglio, ma in questo dannato paese non si può trovare assolutamente nulla, neppure un sorso di cana2.

— Faremo egualmente onore al pasto: ve lo assicuro, — rispose Cardozo, dimenando le mascelle. — Sono dieci buone ore che il nostro sacco nulla inghiotte. Ah! Se ci fosse qui il signor Calderon, sarebbe ben contento di dare un colpo di dente a quest’arrosto.

— Ha le sue pistole, figliuol mio, e quando uno è armato in un paese ricco di selvaggina, non muore di fame. Forse a quest’ora sta cenando allegramente.

— Purchè non sia caduto fra le unghie dei pampas.

— O piuttosto dei patagoni. Ma lo ritroveremo, Cardozo: te lo assicuro.

— A tavola, caballeros, — disse Ramon, levando l’asado e deponendolo su di una pelle di montone stesa per terra. — È carne di un guanaco che abbiamo ucciso ieri mattina, e vi accerto che è migliore di un filetto di bue.

Cavarono i coltelli e assalirono vigorosamente l’arrosto, che fu dichiarato eccellente ad unanimità. Bastarono pochi minuti a quelle potenti mascelle e a quei vigorosi ed affamati [p. 94 modifica]stomachi per farlo scomparire tutto, quantunque pesasse almeno sei chilogrammi.

Finito quell’abbondante, ma modesto pasto, Ramon mise dinanzi al fuoco la pentola di ferro colma d’acqua, mentre il suo compagno gettava entro una zucca delle foglie secche minutamente tagliate, e che a prima vista sembravano foglie di thè.

— Cospettaccio, che lusso! — esclamò il mastro, che non aveva perduto d’occhio quei preparativi. — Ci si offre del matè in pieno deserto.

— È l’ultimo pugno d’erba che possediamo, e siamo proprio desolati che la nostra provvista sia finita così presto, — disse Ramon. — Un gaucho senza matè è come un marinajo senza tabacco.

— E non possono procurarsene? — chiese Cardozo.

— E dove mai? Non c’è una pulperia2 a cento leghe d’intorno.

— Ma dove siamo noi? — chiese il mastro.

— Dove?... sul Rio Negro.

— Sul Rio Negro! — esclamò il mastro, al colmo della sorpresa. — Non siamo adunque sul territorio argentino?

— È lontana la frontiera, assai lontana.

— Ma voi come siete qui? So che i gauchos di rado varcano la frontiera argentina.

— È vero questo, senor; ma l’aria della Repubblica non è più buona per noi, — disse Ramon, sorridendo.

— Siete fuggiaschi adunque.

— Abbiamo ucciso tre uomini che ci volevano arrestare e storpiato altri tre o quattro, e ci siamo gettati nel deserto assieme ad alcuni nostri amici. Voi lo sapete che noi non ci badiamo più che tanto a dare una coltellata.

— Conosco i gauchos; varcata la frontiera, più nulla avevate da temere.

— È vero; ma altro ci ha spinti fin qui.

— Gl’Indiani forse? [p. 95 modifica]

— Lo avete detto. Quei dannati sono insorti e si sono gettati sulle pampas argentine, massacrando quanti gauchos sono caduti nelle loro mani e distruggendo tutte le fattorie, le pulperie e i saladeros.3

— Sicchè è impossibile ritornare al nord.

— Tanto impossibile, che noi siamo fuggiti fin qui coll’idea di restarvi appena qualche settimana, poichè gl’Indiani scorrazzano anche questa regione. I nostri compagni sono stati uccisi tre giorni sono, a venti chilometri da qui.

— Ma dove contate di recarvi?

— Al Chilì, se gl’Indiani...

— E noi, Cardozo, quale via prenderemo? — chiese il mastro, volgendosi verso il ragazzo.

— Quella del Chilì, se non saremo d’impiccio a questi signori.

— Anzi ci sarete di aiuto, giacchè siete eccellentemente armati. Penseremo noi a procurarvi dei buoni cavalli, che prima domeremo.

— Ma vi prevengo che non lascerò questi luoghi senza aver trovato prima, vivo o morto, il nostro compagno.

— Lo troveremo. Orsù, caballeros, un buon sorso di matè.

Levò la marmitta e versò lentamente l’acqua, che era quasi bollente, sulle foglie contenute nella zucca e sulle quali aveva prima sparso alcuni pizzichi di zucchero. Pochi istanti dopo serviva ai compagni l’eccellente bevanda, invitandoli a succhiarla in certe cannucce d’argento, dette bombilla, terminanti in una palla traforata, onde non venissero sorbite anche le foglioline.

Questo matè, di cui tutti gl’ispano-americani e anche gli indiani dell’America del Sud fanno un uso smodato, preferendolo di gran lunga al miglior caffè, è su per giù un thè, l’altra bevanda così grandemente diffusa in tutto l’Estremo Oriente del continente asiatico e tanto cara anche ai palati inglesi e russi. [p. 96 modifica]

Si ottiene colle foglie dell’yerba (Ilex Paraguayensis), un arbusto alto otto o dieci metri, che coltivasi specialmente nel Brasile, a Rio Grande e San Paulo, dove lo si chiama arvore de Congonha, e soprattutto nel Paraguay, dove cresce più bello e dà foglie più profumate.

Non appena l’arbusto ha raggiunto il suo massimo sviluppo, si tagliano i rami e vengono messi un po’ sul fuoco, affinchè le foglie si stacchino più facilmente; poi queste, assieme ai rami più giovani, vengono stese su graticci intrecciati (barbracnas), accendendovi sotto un fuoco, che si mantiene per quarantotto ore, quindi, quando sono ben secche, si battono con certe sciabole di legno, facendole passare attraverso le barbracnas, e da ultimo si chiudono entro sacchi di pelle non conciata, detti tercios, della portata di circa cento chilogrammi.

Lo smercio che se ne fa è immenso, poichè quasi tutti gli abitanti del Paraguay, del Rio della Plata, del Rio Grande del sud, del Chilì, della Bolivia e di gran parte del Perù, ci sono tanto abituati che non saprebbero farne senza. In quanto poi ai gauchos, lo preferiscono al tabacco e ai liquori; il che è tutto dire per quei furiosi fumatori e insaziabili bevitori di câna.

Sorseggiata la deliziosa bevanda, i due gauchos s’alzarono di comune accordo, raccogliendo i loro enormi tromboni, stati già precedentemente caricati fino quasi alla bocca con palle, chiodi e anche ciottolini.

Caballeros, — disse Ramon, il più ciarliero e anche il più gentile, — occupate i nostri letti e non datevi pensiero di noi. Accampiamo all’aperto, a fine di non lasciarci sorprendere dagli indiani, che non devono essere molto lontani.

— Buona notte, — rispose Diego, — e se vedete avvicinarsi quelle canaglie, non indugiate a svegliarci. Abbiamo dei buoni fucili e siamo abili tiratori.

— Non dubitate, — risposero i gauchos.

— Che ti pare di quegli uomini, marinajo? — chiese Cardozo, quando furono soli. [p. 97 modifica]

— Dico che possiamo fidarci, — rispose il mastro. — Del resto hanno interesse a rimanere con noi e a trattarci bene, cogli Indiani che scorrazzano la prateria.

— Ma che persone sono? Cosa fanno? Dove vivono?

— Te lo dirò domani, figliuol mio. Approfittiamo per ora di questo istante di tregua per schiacciare un buon sonnellino. Sono tre notti che appena appena chiudiamo un occhio.

— È vero, e se vuoi che te lo dica francamente, mi pare d’avere le ossa tutte rotte.

— Bùttati giù adunque, e chiudi gli occhi.

Gettarono sulle foglie secche una larga corconilla, soffice coperta di manifattura araucana, e vi si stesero sopra dopo d’aver collocato le armi a portata della mano e d’aver aperto due pacchi di cartucce. Pochi istanti dopo, entrambi russavano così sonoramente da far tremare le malferme pareti della capanna.

La notte, malgrado la vicinanza dei feroci pampas, passò tranquillissima. Nessun allarme, nessun colpo di trombone o di fucile venne ad interrompere il sonno dei due marinai.

Non si svegliarono che verso l’alba ai nitriti dei cavalli dei due gauchos, che salutavano i primi raggi dell’astro diurno.

Carramba! — esclamò il mastro stiracchiandosi le braccia e sbadigliando, — ecco una dormita che mi era proprio necessaria per rimettere la mia macchina in completo assetto.

— Ed io ho sognato di dormire su un letto di piume, vecchio mastro, — disse Cardozo, saltando agilmente in piedi. — E i nostri amici sono ancora accampati fuori?

— Non li vedo, nè li odo.

— Speriamo che non siano stati accoppati.

— Non avrebbero risparmiato noi quei signori pampas. Hanno la brutta abitudine di torcere il collo a quanti trovano sul loro cammino, vecchi o giovani, maschi o femmine.

— Odo un tintinnìo di sproni. [p. 98 modifica]

— Sono i nostri uomini.

Infatti Ramon s’avvicinava alla capanna, con quel dondolìo che è particolare ai gauchos, valentissimi cavalieri, ma altrettanto pessimi camminatori. Vedendo i due marinai, diede cortesemente il buon giorno.

— Nulla di nuovo? — chiese Diego.

— La pianura è perfettamente tranquilla, — rispose il gaucho — ma non bisogna fidarsi troppo. Temo che questa calma non duri molto.

— Avete veduto degli indiani?

— No, ma sento istintivamente la loro vicinanza, e faremmo bene a metterci subito in marcia verso il sud.

— Non domando di meglio, tanto più che è verso il sud che troveremo il signor Calderon. Ma noi come potremo tenervi dietro? Le nostre gambe sono solide, è vero, ma non tanto da sfidare quelle dei vostri cavalli.

— Avrete quanto prima dei rapidi cavalli anche voi, — disse il gaucho, sorridendo. — A dodici miglia da qui c’è un laghetto che è molto frequentato dai cavalli selvaggi: andremo direttamente là, ci imboscheremo fra i cactus giganti e faremo lavorare i nostri lazos. Prima di domani mattina saremo tutti montati e su buoni corsieri.

In quell’istante apparve sulla porta suo fratello. Pareva assai preoccupato e molto inquieto.

— Che hai, Pedro? — chiese Ramon.

— Affrettiamoci, fratello.

— Forse che hai scorto qualche indiano?

— Ho veduto un sottile pennacchio di fumo.

— Dove?

— Verso il nord.

— Sono i Pampas.

— Lo credo anch’io.

— Che vengano, — disse Cardozo. — Ho una voglia matta di scambiare quattro fucilate con quei predoni.

Ramon si volse verso il ragazzo, che brandiva con atteggiamento fiero la sua carabina, e lo guardò a lungo con una specie di sorpresa. [p. 99 modifica]

Es un pollito que un dia serà gallo4 — disse poi, sorridendo.

— È un buon gallo di già, — disse il mastro con orgoglio. — Ha ucciso un capo indiano e si è battuto tre volte contro le truppe brasiliane.

— Bravo, ragazzo! Somigli a quelli della nostra razza.

— A cavallo, fratello, — disse Pedro. — I minuti sono preziosi.

— Partiamo adunque!

Si caricarono delle coperte, dello spiedo, della pentola di ferro e abbandonarono la capanna. Al di fuori due alti cavalli, dalla testa leggera, le gambe secche, nervose, e completamente bardati, nitrivano e scalpitavano.

— Sapete tenervi in sella? — chiese Ramon.

— Un marinajo bene o male è cavaliere.

— Montate questo cavallo, io e mio fratello monteremo l’altro, e trottiamo.

Balzarono in arcione, accomodandosi alla meglio sulle grandi e pesanti selle, e, spronati i cavalli, partirono di buon trotto verso il sud.

  1. Arrosto.
  2. 2,0 2,1 Acquavite Errore nelle note: Tag <ref> non valido; il nome "ftn7" è stato definito più volte con contenuti diversi
  3. Grandi macellerie che si trovano nelle pampas, che sono così ricche di bestiame.
  4. È un pollo che un giorno diverrà un gallo.