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XI.

I gauchos.


Q

uella piccola abitazione, perduta in mezzo a quella immensa pianura erbosa, lontana da ogni centro incivilito, sul suolo scorrazzato da soli indiani, era meschina assai, tanto da non valere nemmeno il nome di capanna.

Pareva che fosse stata fabbricata da poco tempo, ma era ormai cadente. Le sue mura di calcestruzzo presentavano da ogni parte crepe, come se avesse sostenuto un qualche furioso assalto o fosse stata scrollata da un formidabile terremoto; il suo tetto formato di erbe mostrava già delle larghe fessure, per le quali doveva passare abbondantemente la pioggia; la porta, fatta di frasche spinose, si reggeva a malapena. Perfino la siepe che la cingeva era qua e là strappata, come se degli uomini avessero tentato di attraversarla senza incomodarsi a saltarla.

L’interno non valeva di più. Il suolo era ancora erboso e pieno di rottami, di ossa, di frasche ammonticchiate alla meglio e che forse dovevano servire di letto. La mobilia si riduceva a due selle grandi e pesanti, ad alcuni fornimenti da cavallo, alcune coperte, poche corde, una pentola di ferro, e a due crani di bue, che dovevano supplire le sedie.

Nel mezzo però, sopra un buon fuoco, finiva di arrostire un enorme pezzo di carne, il quale spandeva all’intorno un profumo appetitoso.