Due anni dopo

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VIII X

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IX.

Due anni dopo.

Pioveva disperatamente; pioveva da tre settimane senza interruzione come se tutte le cateratte del cielo si fossero dato convegno al di sopra di quel paese. Chiarina non sapeva più in qual modo far fronte all’acqua che entrava in bottega minacciando la base dei sacchi e di alcuni corbelli i quali erano venuti da poco tempo ad accrescere il deposito delle mercanzie.

Aveva pure un lavoro di premura da terminare per la figlia dell’oste del Vitello bianco che si faceva sposa, per cui si era ritirata colla sua seggioletta nel punto più [p. 122 modifica]asciutto mettendosi un asse sotto ai piedi. Cuciva, cuciva, cuciva alacremente, immersa in quella soddisfazione tutta femminile di vedersi crescere sotto le dita gli orli ed i sopraggitti. Lavorava ancora all’antica, senza macchina, perchè la macchina da cucire non era ancora penetrata nelle abitudini del paese dove la si conosceva solo di nome; ma i suoi orli erano molto apprezzati e de’ suoi sopraggitti si diceva che avevano i punti uniti ed eguali come i dentini di un sorcio.

Così agucchiando ed alzandosi ad ogni poco per ricacciar fuori il rigagnolo della piova quella che avrebbe dovuto essere una giornata interminabilmente uggiosa le passò quasi senza accorgersene. La sera la colse mentre infilava l’ago per una nuova cucitura.

Pensò che a momenti sarebbe arrivato Giovanni fradicio con quel tempaccio e corse nella attigua cameretta ad accendere il fuoco. Aveva già appesa la pentola per la cena quando suonarono le sette. Giovanni tardava. Si fece un po’ sulla soglia a guardare da lontano, ma si bagnava tutta e rientrò; dopo qualche istante tuttavia tornava a riaffacciarsi alla porta, inquieta, non sapendo in qual modo [p. 123 modifica]spiegarsi l’insolito ritardo. Fece la spola così per un pezzo dalla soglia dell’uscio al focolare, togliendo e rimettendo la pentola, sempre più agitata, non curandosi oramai della pioggia che per commiserare Giovanni. Finalmente, incapace di resistere all’inazione snervante dell’aspettativa, si buttò in testa il grembiule e mosse verso la casa del carrettiere per sapere se Giovanni fosse ritornato.

A mezza strada lo incontrò, bagnato come un pulcino. Non potendolo veder bene nella notte buia, Chiarina lo andava tastando sulle spalle e sulle braccia.

— Ahi! — fece a un tratto Giovanni.

— Come sei bagnato, come sei bagnato! Ma che hai fatto?

— Te lo dirò poi. Corriamo.

Giunti al loro stambugio, Chiarina chiuse l’uscio ben bene e togliendo la casacca del fratello la distese intorno al fuoco per farla asciugare. Guardandolo allora in faccia si accorse che era pallido e vide i suoi abiti coperti di mota.

— Sei caduto? dì la verità!

— Non io sono caduto — rispose Giovanni avvicinandosi con piacere alla fiamma [p. 124 modifica]e levandosi a fatica le scarpe che sembravano fuse sopra i suoi piedi. — Conosci il signor Bassano di San Donato?

— Quell’omaccione grosso che passa sempre di qui con un calessino giallo attaccato ad un puledro — Quello appunto.

— Che è proprietario di una macina?

— Sì, quello. Ma non toccarmi il braccio.

— Ti fa male?

— Un poco. È stato un calcio del puledro: niente di grave però. Figurati che ce ne tornavamo a casa tutti e due, ognuno dalla nostra parte, il signor Bassano ed io, sotto un diluvio d’acqua. Ha continuato anche qui?

— Tutto il giorno.

— Bene. Ci eravamo appena incontrati; io gli avevo gridato dal baroccio: «Buona notte, signor Bassano!» — ed egli aveva risposto: «Addio, giovinotto!» quando alla distanza di un tiro di fucile circa il puledro si spaventò per non so quale ombra e fece un salto nel fosso.

— Col calessino?

— Già. Lui, il calessino e il signor Bassano; e qualche minuto dopo anche tuo fratello qui presente. Non potevo lasciare il mio prossimo nel fosso, eh? [p. 125 modifica]

— Giustissimo. Ma ti sei fatto male?

— Cose da nulla, ti ripeto. La fatica fu grande, questo sì, perchè una ruota si era affondata quasi tutta e sull’altra il puledro scalpitava tanto che la mandò in frantumi.

— E allora?

— Allora abbiamo dovuto lasciare il calessino nel fosso. Presi con me il signor Bassano sul biroccio, attaccai il suo puledro dietro e li ricondussi a San Donato. Al calessino ci avranno pensato poi. Natu-ralmente con tutte queste facende si fece tardi.

— Povero Giovanni!

— Devi dire povero signor Bassano. Ha preso uno spavento numero uno. Era bianco come un cencio.

Fratello e sorella parlarono ancora dell’accaduto intanto che gli abiti di Giovanni asciugavano davanti a un gaio fuoco di ceppo e che la zuppa fumava sul piccolo desco mandando odore di cavoli e di lardo.

La settimana seguente, essendo uscito un bel sole, Chiarina lasciava aperti tutti e due i battenti perchè il suolo della sua botteguccia potesse seccare. Era giorno di domenica, era già stata a messa, e discorreva con Giovanni [p. 126 modifica]che, approfittando del giorno festivo, accomodava certi guasti alla scansia, quando venne a passare tutto rifatto a nuovo e ridipinto di giallo il calessino del signor Bassano. Il puledro si arrestò proprio davanti al negozio e il signor Bassano si presentò sulla soglia ostruendola quasi completamente.

Egli veniva a vedere come stesse Giovanni in seguito alla gita nel fosso con relativo calcio; ma poichè il giovinotto stava picchiando chiodi, era evidente che la salute non lasciava nulla a desiderare.

Chiarina, tirando da parte la sua seggioletta di paglia, andò nella stanza attigua a prendere una sedia più robusta per il signor Bassano, e tutti tre tornarono a rifare il racconto del disastro aggiungendo particolari e commenti. A un tratto il signor Bassano, guardandosi intorno, esclamò:

— Come va il commercio?

— Adagino, adagino — rispose Giovanni. — Cosa vuoi mai, in questo paese!

— Chi va piano, va lontano.

— Ma non qui.

— Sei un ragazzo sveglio tu, non temi la fatica. [p. 127 modifica]

— Questo no, sicuramente.

— Ti piacerebbe a fare il carrettiere per tuo conto invece di condurre il carico degli altri?

— Fare il carrettiere non mi piace — disse lesto Giovanni.

— Credevo...

— Perchè lo faccio, nevvero? Ma è per forza, in mancanza di meglio, sempre in attesa di una occasione migliore. Non posso già stare in ozio; le pare?

— E quale sarebbe la tua idea?

A tale diretta interrogazione Giovanni ebbe uno scatto. Fece anch’egli collo sguardo lo stesso giro della botteguccia che aveva fatto un momento prima il signor Bassano ed arrossendo leggermente rispose:

— Mi piacerebbe a fare il mercante.

Il signor Bassano riflettè un poco prima di soggiungere:

— La mercanzia che si trova qui a chi appartiene?

— A mia sorella.

— Giovanni, — interruppe Chiarina prontamente — non siamo noi in società?

— Sì, ma il capitale è tuo. [p. 128 modifica]

— Bel capitale, cinquecento lire! Se non ci fosse il tuo credito...

— Basta, basta, — intervenne il signor Bassano sorridendo — vedo che non c’è pericolo che vi mettiate in lite per l’interesse. Ehm! ehm! Se si presentasse l’occasione... A stare attenti si trova da rilevare un negozio già avviato.

— Ma ci vogliono denari.

— Senza dubbio. Pure i denari non sono la cosa più difficile a questo mondo. Tienilo a mente, giovinotto. Io ho incominciato con venticinque lire.

Il signor Bassano si alzò puntellandosi un poco; quando fu sulla soglia diede un’occhiata al puledro, poi tornando indietro un passo e battendo amichevolmente Giovanni sulla spalla, disse:

— Dunque lo sai. Se ti capita un’occasione, vieni a trovarmi. Il giovinotto fece una piroetta sui tacchi, intanto che il calessino giallo scompariva all’angolo della strada. Chiarina, che gli vide una fiamma negli occhi, volle tentarlo:

— Mi sembra un buon uomo quel signor Bassano. [p. 129 modifica]

— Ma sì, ma sì — fece Giovanni colla mente lontana; e tornò a picchiare i chiodi nella scansia con un gusto che sembrava scoccasse dei baci.

Molti mesi erano già trascorsi. Il signor Bassano che percorreva un bel giorno la solita via maestra col solito equipaggio, quando fu all’entrata di un ponte, vide un giovinotto staccarsi dal muricciolo a cui stava appoggiato e venirgli incontro. Allentò le redini al puledro e con espressione gioviale si fece a chiamarlo:

— Giovanni, qual buon vento?

— La aspettavo, signor Bassano.

— Davvero?

Un’ombra di inquietudine corruscò le sopracciglia di Giovanni: fu un lampo. Si riprese subito e soggiunse con franchezza:

— Si ricorda un discorso che abbiamo fatto molti mesi or sono?...

A casa mia?...

— A casa tua?

— Sì, quando venne a trovarmi in seguito all’incidente del fosso. C’era presente mia sorella Chiarina... Si diceva...

— Ah! mi ricordo. È per l’affare del negozio. Hai trovato il fatto tuo?

— Crederei di sì. Solamente... [p. 130 modifica]

— C’è qualche difficoltà?

— La somma...

— Basta, basta. Vieni domani a trovarmi e mi spiegherai ogni cosa.

l'indomani quando Giovanni rientrò nella botteguccia per cenare aveva una tale aria di festa che sua sorella ne fu meravigliata.

— Allegra, Chiarina, allegra, si va a Milano!

Per quanto Giovanni fosse di carattere gioviale non aveva però l’abitudine di scherzare a questo modo. L’esclamazione fece dunque restare la giovinetta di sasso. Al primo momento la sorpresa fu tale che si sentì proprio irrigidire; poi con una reazione ardente il sangue le imporporò la faccia fin sulla fronte, fin nella nuca. Milano era sempre stata per lei una parola magica, una visione misteriosa e turbante. A Milano non abitavano forse i signori Firmiani?

— A Milano? — ripetè con voce soffocata.

— Non te l’ho sempre detto che il mio sogno era di andare a Milano?

— Oh! ma i sogni... chi ci crede?

— Io! — pronunciò Giovanni con impeto; poi raddolcendosi nella necessità di far [p. 131 modifica]penetrare a poco a poco il suo progetto nella mente della sorella, continuò:

— Un negozio a Milano, pensa. Roba in quantità, telerie, lanerie, merci svariate; ottima posizione. Il signor Bassano mi anticipa i denari...

— Ma sei sicuro...

— Sono sicuro che il signor Bassano si fida di me e voglio sperare che ti fiderai tu pure.

— Certo, certo, finchè si tratta di me. Ma è tuttavia un grande rischio.

Gli occhi di Giovanni scintillarono. Egli disse:

— Era quello che volevo.

L’accento profondo del giovane diede a Chiarina una tale impressione di serietà che si sentì avvinta alla sua causa per qualunque cosa l’avesse richiesta.

— Del resto — disse ancora Giovanni — l’affare non è concluso. Il signor Bassano anderà in persona a vedere.

— E tu? [p. 132 modifica]

— Io pure.

Davanti a un infocato tramonto d’autunno, stormendo leggermente i pioppi con morbidezze di mani carezzevoli, Chiarina prese congedo dai cari luoghi. Le note voci, le voci della sua infanzia parlavano ancora col sussurro delle foglie e parve a lei che la salutassero.

— Questi pioppi ti amano — disse la maestra per confortarla.

— Sì. Essi furono i miei primi amici.

Le due giovani donne stettero per un po’ di tempo silenziose colle mani nelle mani. La maestra, come colei che rimaneva sola, era anche la più afflitta. In fondo ella trovava che Chiarina poteva dirsi fortu-nata di andare a stare a Milano; nè Chiarina infatti si rammaricava di ciò; ma il momento del distacco le sembrava doloroso.

— A Milano — disse — non conosco nessuno.

— I signori Firmiani.

— È tanto tempo che non li vedo!

Questo era il suo assillo. Come l’avrebbero accolta i signori Firmiani? Giovanni era andato ad avvertirli del cambiamento della loro condizione ed ella aveva scritto una letterina a Mariuccia, la quale non aveva risposto. [p. 133 modifica]Giovanni ebbe l’incarico di chiudere la Villa e di portare la chiave a Milano; niente altro.

Ora la maestra pensava che Chiarina in città avrebbe trovato marito e glielo disse, perchè questo è un argomento che piace sempre alle ragazze. Chiarina arrossì molto e rispose che non credeva di maritarsi mai. Ma cambiò subito discorso, come se quell’ordine di idee rompesse una sua particolare armonia interna fatta di sogni malinconici e di dolce rassegnazione.

Prima di partire la maestra la condusse di sopra. Vide così ancora una volta quella che era stata la camera di sua madre e sulla loggia le fu concesso di cogliere colle sue mani l’ultimo garofano della stagione. Da quella loggia ancora contemplò una volta l’ampio fabbricato dei Firmiani tutto bianco e tutto chiuso. Tenne fisso lo sguardo a lungo sopra una finestra d’angolo, la camera di Enzo, dove il pal-lido giovinetto se ne stava a leggere i suoi libri per ore ed ore e lo rivide, vivo, co’ suoi bei capelli castagni, la bocca malinconica, il collo fragrante. [p. 134 modifica]

Nell’orizzonte lontano il fuoco del tramonto stava per spegnersi; le ultime fiamme guizzavano sulla cima dei pioppi più che mai somiglianti a ceri accesi. Chiarina cadde in ginocchio colla faccia contro le palme.

Che sarebbe mai di lei?