Il romanzo d'un maestro (De Amicis)/Il secondo anno a Camina/XII

Tempesta

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TEMPESTA.


Torturato da questa incertezza, egli andò alla scuola il giorno dopo con la ferma risoluzione di scoprire in qualunque modo la verità. Essendo arrivato di qualche minuto in ritardo, trovò la classe in disordine e s’avvide che il suo arrivo troncava delle conversazioni accalorate. Stentò a ottenere il silenzio. Incominciò la lezione e la condusse oltre la metà, notando nella scolaresca una divagazione straordinaria, e come un sorriso generale e continuo; il quale, dai più grandi, in cui era astuto, s’andava sfumando fino ai più piccoli, che sorridevano senza saper perchè, per imitazione.

A un certo punto, si mise a interrogare. Interrogò pel primo il figliuolo del catastaro.

Questo s’alzò, ma non seppe rispondere. Sul suo visetto altero appariva una confusione anche maggiore di quella che egli mostrava per solito quando non sapeva.

Il maestro s’avvicinò al suo banco e gli disse: — Vedi, sei indietro. Hai bisogno di studiar meglio queste regole. Perchè non sei più venuto alla ripetizione? [p. 170 modifica]

Il ragazzo chinò il viso, senza rispondere.

— Te l’hanno proibito? — domandò il maestro.

Quegli non rispose.

— O sei tu che non hai più avuto voglia di venire?

Istintivamente, il ragazzo accennò col capo di no, risoluto.

— No, è vero? — ripetè il Ratti. — E in fatti, non potevi mica esser malcontento del tuo maestro; non puoi mica dire ch’io t’abbia mai fatto altro che del bene, fin dal primo giorno che sei venuto a scuola; e non mi hai perduta l’affezione, non è vero?

A quelle parole il ragazzo ruppe in pianto, mettendosi una mano sugli occhi, e tornando ad accennare di no, come prima.

— Questo mi basta — disse il maestro, e prendendogli il capo fra le mani, lo baciò in fronte.

Tutti gli alunni più grandi diedero in una risata.

Il maestro si sentì un colpo al cuore e cambiò viso.

— Perchè avete riso? — domandò.

Tutti cessaron di ridere; nessuno rispose.

— A te! — gridò il Ratti, volgendosi al più grande. — Perchè hai riso? Cos’hai pensato? Che cosa pensi? Cos’hai inteso dire di me?

Il suo viso era stravolto e pallido; il ragazzo parve intimorito; ma tacque.

Il maestro stette un minuto in silenzio; poi gridò: — È finita la lezione! Uscite.

Usciron tutti in silenzio. Egli prese il cappello, chiuse la scuola, e corse difilato alla casa comunale.

L’inserviente, che stava sull’uscio, gli disse che il sindaco c’era. Egli entrò nell’uffizio senza chieder permesso, ansante. Trovò il sindaco al tavolino, che scriveva, e accanto a lui, in piedi, con la papalina in capo e un registro sotto il braccio, il delegato consigliere, che voltò gli occhiali verso di lui.

Il sindaco alzò il viso in atto d’interrogazione, e con l’aria d’essere piuttosto seccato che stupito di quella visita intempestiva.

Il maestro entrò in discorso subito, con la voce leggermente alterata: — Son venuto, signor sindaco, con suo permesso, scusi l’ora indebita, a domandarle una spiegazione.... Io credo che lei sia in grado di spiegarmi.... Insomma, c’è qualche cosa per aria, a danno [p. 171 modifica]mio, tutto è cambiato intorno a me.... E lei lo deve sapere.... Io faccio il mio dovere con coscienza, l’ho sempre fatto.... con coscienza e con cuore. Ma c’è qualcuno che lavora contro di me di sottomano.... I miei scolari che m’han sempre rispettato.... non son più quelli di prima. Che cosa mi si rimprovera? In che cosa ho mancato? Qui c’è un malinteso, una calunnia. Ho diritto di sapere, di difendermi. Da galantuomo a galantuomo. Parli lei. Son qui pronto.

Il sindaco parve impicciato. Ma a quella domanda non si poteva scappare.

Si grattò la fronte con la grossa mano nodosa, e rispose, guardando il maestro nel petto: — Non c’è calunnie.... si calmi. Solamente.... io gliel’ho detto più d’una volta. Con gli scolari ci vorrebbe più severità, più.... che so io? Lei va troppo con le morbide. Ecco la mia idea. Quanto a me.... non ci sarebbe altro. Ma infine....

Ma infine, — rispose il maestro, più alterato; — è impossibile che non ci sia altro. Io insegno, educo come mi detta il cuore e la coscienza. Si deve badare ai risultati. La mia classe è sempre stata disciplinata. Me ne appello a tutto il paese. Se non fosse che la troppa bontà, i ragazzi non m’avrebbero perso il rispetto. C è altro. C’è una calunnia. La dica!

Il sindaco scrollò una spalla, come un uomo infastidito, che non avesse colpa nell’affare spinoso di cui si trattava; e si voltò verso il delegato con un atto d’impazienza, come per dirgli che toccava a lui a cavarsela.

— Sì, signor sindaco — ripetè il maestro, a voce alta — c’è qualche tristo soggetto che mi discredita!

E fissò il delegato.

Questi, punto finalmente nel vivo, voltò verso il maestro la faccia livida, e gli disse balbettando, rabbioso, con l’accento di chi dice la parola che spiega tutto: — Lei ca.... carezza troppo i ragazzi!

— Che cosa intende di dire? — domandò il maestro, impallidendo.

— Lei m’ha capito! — rispose l’altro.

Il maestro stette un momento lì, come impietrito; poi calò sulla faccia del delegato un potentissimo schiaffo che gli mandò per aria la papalina, gli [p. 172 modifica]occhiali e il registro, facendogli batter l’altra guancia contro il calendario attaccato al muro; e gli urlò all’orecchio: — Prendi, bugiardo, porco, vigliacco!

Il sindaco s’avventò contro il maestro, ma urtò nel delegato, che stramazzò; e mentre si chinava a rialzarlo, il Ratti scomparve.