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170 | Il secondo anno a Camina |
Il ragazzo chinò il viso, senza rispondere.
— Te l’hanno proibito? — domandò il maestro.
Quegli non rispose.
— O sei tu che non hai più avuto voglia di venire?
Istintivamente, il ragazzo accennò col capo di no, risoluto.
— No, è vero? — ripetè il Ratti. — E in fatti, non potevi mica esser malcontento del tuo maestro; non puoi mica dire ch’io t’abbia mai fatto altro che del bene, fin dal primo giorno che sei venuto a scuola; e non mi hai perduta l’affezione, non è vero?
A quelle parole il ragazzo ruppe in pianto, mettendosi una mano sugli occhi, e tornando ad accennare di no, come prima.
— Questo mi basta — disse il maestro, e prendendogli il capo fra le mani, lo baciò in fronte.
Tutti gli alunni più grandi diedero in una risata.
Il maestro si sentì un colpo al cuore e cambiò viso.
— Perchè avete riso? — domandò.
Tutti cessaron di ridere; nessuno rispose.
— A te! — gridò il Ratti, volgendosi al più grande. — Perchè hai riso? Cos’hai pensato? Che cosa pensi? Cos’hai inteso dire di me?
Il suo viso era stravolto e pallido; il ragazzo parve intimorito; ma tacque.
Il maestro stette un minuto in silenzio; poi gridò: — È finita la lezione! Uscite.
Usciron tutti in silenzio. Egli prese il cappello, chiuse la scuola, e corse difilato alla casa comunale.
L’inserviente, che stava sull’uscio, gli disse che il sindaco c’era. Egli entrò nell’uffizio senza chieder permesso, ansante. Trovò il sindaco al tavolino, che scriveva, e accanto a lui, in piedi, con la papalina in capo e un registro sotto il braccio, il delegato consigliere, che voltò gli occhiali verso di lui.
Il sindaco alzò il viso in atto d’interrogazione, e con l’aria d’essere piuttosto seccato che stupito di quella visita intempestiva.
Il maestro entrò in discorso subito, con la voce leggermente alterata: — Son venuto, signor sindaco, con suo permesso, scusi l’ora indebita, a domandarle una spiegazione.... Io credo che lei sia in grado di spiegarmi.... Insomma, c’è qualche cosa per aria, a danno