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Tempesta 169

un vicolo, e gli domandò con l’accento d’un amico se sapeva che cosa ci fosse, che cosa si dicesse nel paese contro di lui. Quegli arrossì un poco, e non rispose subito. Poi disse imbarazzato: — Non saprei.... m’immagino.... cosa vuole? È un certo paese.... Saranno dei pregiudizî.... Ci sono anche dei differenti modi di vedere, secondo i caratteri.... Lei è troppo buono. Creda a me, la gentilezza non conta nulla con la gente dura, che non la capisce.... o la piglia per tutt’altro. Tratti più brusco.... anche coi ragazzi. Alle volte le autorità credono che la troppo indulgenza sia.... debolezza. — E lo piantò senza dir altro. Indulgenza? pensò il maestro; debolezza? È dunque sempre lo stesso rimprovero: non tanto zucchero, come ha detto il sindaco.... Ma perchè non me lo direbbero fuor dei denti? a che pro tanti misteri? E perchè i ragazzi non ridevan prima?... Ah! non può esser questo soltanto.


TEMPESTA.


Torturato da questa incertezza, egli andò alla scuola il giorno dopo con la ferma risoluzione di scoprire in qualunque modo la verità. Essendo arrivato di qualche minuto in ritardo, trovò la classe in disordine e s’avvide che il suo arrivo troncava delle conversazioni accalorate. Stentò a ottenere il silenzio. Incominciò la lezione e la condusse oltre la metà, notando nella scolaresca una divagazione straordinaria, e come un sorriso generale e continuo; il quale, dai più grandi, in cui era astuto, s’andava sfumando fino ai più piccoli, che sorridevano senza saper perchè, per imitazione.

A un certo punto, si mise a interrogare. Interrogò pel primo il figliuolo del catastaro.

Questo s’alzò, ma non seppe rispondere. Sul suo visetto altero appariva una confusione anche maggiore di quella che egli mostrava per solito quando non sapeva.

Il maestro s’avvicinò al suo banco e gli disse: — Vedi, sei indietro. Hai bisogno di studiar meglio queste regole. Perchè non sei più venuto alla ripetizione?