Il romanzo d'un maestro (De Amicis)/Il secondo anno a Camina/XI
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LAMPI.
Ma dopo quel giorno il figliuolo del catastaro non andò più alla ripetizione; anche qualcuno degli altri non si lasciò più vedere. Il maestro si confermò nel suo sospetto. Il delegato doveva avere insinuato ai parenti ch’egli fingeva di far le ripetizioni per favore, ma con l’idea di chieder poi dei quattrini alla fin dell’anno scolastico, sotto gli esami. La cosa era chiara. E non domandò nemmeno spiegazioni agli alunni, per non suscitare un pettegolezzo: si riserbò a domandarle alle famiglie più tardi. Ma scoperse una novità che gli spiacque: in alcuni degli alunni più grandi e più svegli di mente un’arditezza insolita, che lo costrinse a punire, e anche dopo che li aveva puniti, un sorriso ostinato che tradiva un pensiero segreto. Pareva che fosse corsa una voce a suo carico, la quale avesse scemato la sua rispettabilità, ed era impossibile che si trattasse soltanto dell’affare delle ripetizioni. Subito egli immaginò che qualche suo nemico d’Altarana, il sindaco forse, avesse scritto al paese qualche cosa d’odioso contro di lui, per screditarlo; senonchè gli parve assurdo che avessero tardato due anni a vendicarsi, e si ricredè. Ma poi, notando in un maggior numero d’alunni quel contegno nuovo dei primi, e questo facendosi più libero, e vedendosi egli guardato anche da varie persone del paese con un’aria singolare, tra di curiosità e di canzonatura, gli venne il timore d’aver contratto qualche cosa di ridicolo, o nelle mosse o nel modo di parlare, qualcuno di quegli abiti o vezzi nervosi o cervellotici che ci s’attaccano qualche volta, a poco a poco, senza che ce n’accorgiamo; e fece un attento esame di sè, osservandosi nel discorrere e nel gestire, e perfin nel camminare per la strada;... ma senza scoprire nulla di nulla. Rimase così in un dubbio penoso. Ma aveva una certezza in questo dubbio, ed era che, qualunque fosse la cagione immediata di quello che accadeva, questa doveva aver origine dal delegato. E un giorno decise d’andar diritto da lui, a provocare risolutamente un colloquio, in cui potessero tutti e due sfogarsi ed intendersi una buona volta, o rompere una guerra aperta e giustificata.
Ma quando fu sull’uscio dell’orto, la vista di quella figura cadaverica, immobile in fondo al pergolato, sopra un sedile che pareva la pietra d’un sepolcro, gli tolse ogni speranza di fare un passo utile, e lo respinse fuori senz’altro. Avrebbe voluto rivolgersi al parroco; ma era malato. Pensò a don Bruna; ma questi, vivendo fuori del paese, non poteva sapere. Si rivolse allora al medico condotto, ch’era il suo vicino abituale al caffè, un novarese, un giovane di buon senso, se non in quanto aveva da tre anni la fissazione di voler far rappresentare l’Amleto nel teatro di Camina, per far lui la parte del protagonista. Lo abbordò un giorno in un vicolo, e gli domandò con l’accento d’un amico se sapeva che cosa ci fosse, che cosa si dicesse nel paese contro di lui. Quegli arrossì un poco, e non rispose subito. Poi disse imbarazzato: — Non saprei.... m’immagino.... cosa vuole? È un certo paese.... Saranno dei pregiudizî.... Ci sono anche dei differenti modi di vedere, secondo i caratteri.... Lei è troppo buono. Creda a me, la gentilezza non conta nulla con la gente dura, che non la capisce.... o la piglia per tutt’altro. Tratti più brusco.... anche coi ragazzi. Alle volte le autorità credono che la troppo indulgenza sia.... debolezza. — E lo piantò senza dir altro. Indulgenza? pensò il maestro; debolezza? È dunque sempre lo stesso rimprovero: non tanto zucchero, come ha detto il sindaco.... Ma perchè non me lo direbbero fuor dei denti? a che pro tanti misteri? E perchè i ragazzi non ridevan prima?... Ah! non può esser questo soltanto.