Il probabile falsificatore della Quaestio de aqua et terra/II

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I III


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II.


Dei nuovi editori della Quaestio solamente il Torri si occupa alquanto delle molte quisquilie che precedono e seguono il trattato1; il Fraticelli ed il Giuliani riproducono puramente il testo creduto di Dante. A noi non è lecito trascurare l’assetto della edizione 1508, che è abbastanza caratteristico.

Le quattordici facciatine della dissertazione sono circondate da prose e versi d’occasione. Era costume del tempo, senza dubbio; ma qui ci sembra siasi abusato del costume, quasi che l’editore volesse far servire l’edizione più a gloria propria che non dell’autore. Dopo un epigramma latino in lode del dedicatario, il lungo titolo ed un tetrastico a Dante (tuttociò sulla c. 1 r), s’adagia sulle carte 1 v e 2 r la gonfia lettera di dedica al cardinale Ippolito d’Este, di cui si professa «cliens indignus» l’autore «Magister Johannes Benedictus de Castilione Arretino, ordinis Eremitarum divi Augustini, sacrae Theologiae doctor minimus». L’epistola è piena di lodi per il cardinale, la cui dottrina, sin dai più teneri anni alimentata, è, con preziosità d’imagini e di paragoni, alzata alle stelle dal frate scrittore, il quale confessa di essere stato particolarmente indotto a scrivere dall’amore d’Ippolito per le cose antiche e dal suo mecenatismo. Egli è della Chiesa «propugnaculum atque vallum invictissimum» e, aggiunge il piaggiatore agostiniano, «tuo ingenio, tua fortitudine, Bononiam illam studiorum matrem ab hostilibus armis [p. 11 modifica]liberasti. Proh Diis immortales! Ferraria alterum Camillum genuit, qui Gallos Senones exuvias ex urbe asportantes, bellona favente, profugavit». Passa poi a tessere l’elogio del padre suo Ercole d’Este, che paragona a Scipione, a Paolo Emilio, a Marcello. E prosegue: «Insulsum mihi esset laudes tuae Illustrissimae sororis D. Isabellae Marchionissae Mantuanae dominaeque meae obticescere, quae ex prosapia regali originem duxit. Rarae heroides hoc tempore comperiuntur, quae litteris, moribus, honestate, generositate, munificentia, comitate, facundia, pudicia, fide tuae sorori doctiloquae sint comparandae. Graecas illas, romanas et Hortensii filiam emulatur. Lucretiam pudiciciae speculum romanam castitate excedit: deinde Bibliam, Quirinam integerrimaeque sinceritatis spectaculum probitate integritate Illustrissima soror tua praecellit». E dopo aver nuovamente lodata la facondia del cardinale, conclude: «Quamobrem hanc questionem pene divinam, a Dante Florentino poeta clarissimo olim decisam, disputatam, et manu propria exaratam, celsitudini tuae dedicavi, in qua duo elementa aquae et terrae describit, qualemcunque eminentiorem locum contineant. Qua de re mihi visum fuit, ne tam erudita, perutilis ac famigerata quaestio periret, conatus sum ut in lucem prodeat, et ne ipsius Dantis ingenium speculationemque astronomicae artis delitescat. Igitur agnoscere poteris benivolentiam, amicitiam quam erga celsitudinem tuam sororemque tuam Illustrissimam habeo. Haec quaestio quippe Mantuae fuit auspicata, quam magis deamo quam patriam meam. Ideo tuam celsitudinem quaeso quod serena facie melifluoque eloquio eam perlegere velit. Quoniam tempore proximo malora etiam opera tuae dominationi dedicabo, cui plurimum Cliens tuus commendat. Vale!»

Non basta. A c. 2 v seguono tre distici del Moncetti ad Ippolito d’Este e quindi dieci esametri al medesimo del padre Girolamo Gavardi d’Asola, egli pure «Eremitarum ordinis minimus», come si professa in una lettera che segue subito dopo, diretta al suo compagno di religione Moncetti, che v’è chiamato «regens Patavinus» e «praeceptor» dello scrivente. In un latino artificiosissimo esalta il Gavardi la dottrina varia e profonda di Dante e poi così dice della Quaestio (a c. 3 r e v): «Iam multae olympiades praeteriere quod haec Questio florulenta in scriniis quiescebat: medius fidius, mi praeceptor candidissime, ut hoc opusculum pene divinum elucubrationes, algores multaque [p. 12 modifica]exantlasti, in lucem exiliret2........ Praeterea opusculum Dantis poetae Florentini plurimis locis adulterinum lucubrationibus minerva tua levigatum effecisti, ut in lucem exiliret. O floridum doctiferum opusculum! Philomusii, Dialectici, Geometrae, Phisici, Astronomici, denique omnes philosophantes ineffabilem doctrinam decerpent, propterea quod, mi clementissime praeceptor, te quaeso et exhortor, ut in lucem prodire facias, ne fiat iactura huius opusculi tam praeclari. Quod ad sydera extollendum est hercle, mi praeceptor, religionis nostrae clypeus. Pauci hac tempestate religiosi scaturiunt, qui ad tua fastigia possint accedere. Quid antiqui scriptores referunt, Socratem, Eschinem, Pythagoram in disserendo acerrimos disputatores fuisse, in disserendo Socrati, Eschini, Pythagorae es equiparandus, in arguendo es affabilis, comis, omnibus gratiosus, in legendo copiosus et elegans, in concionando populo benignus, qui voce tua melliflua dulcisona mortalium corda mulces. Mantua illa celeberrima opulentiarum atque musarum fertilissima in maximo honore te habet. Omnes tanquam Calcanta vaticinantem res futuras ariolum praedicant, qui pestem mortiferam ante alios venturam praevidisti. Vale.»

Leggonsi quindi ancora due distici inconcludenti del Gavardi al Moncetti e poi, finalmente, viene la Quaestio aurea ac perutilis. Dopo la quale il padre Gavardi si sbizzarrisce di nuovo in esecrabili versi latini, che sono per ordine i seguenti: 1º, un decastico «in praeconium Illustrium Dominorum Venetorum»; 2º, un altro decastico al Duca Alfonso d’Este; 3º, un epithalamion per le nozze di Alfonso con Lucrezia Borgia, la quale v’è con insistenza chiamata «sponsa pudica»; 4º, tre distici «ad Ferrariam alloquentem cum Alphonso Duci magnanimo»; 5º, un tetrastico all’Eucaristia; 6º, un esastico ad Egidio da Viterbo, generale dell’ordine Agostiniano; 7º, un tetrastico ad Ambrogio Napoletano, dottore in teologia «ac Regentem bononiensem excellentissimum ejus praeceptorem»; 8º, un carme di sei distici ad Librum. Quivi il Gavardi si rallegra col libro che sarà ospitato da Ippolito e da Alfonso, uomini così dotti, e che avrà i favori di Lucrezia. [p. 13 modifica]


               Inde pudica dabit Lucretia mollia vultu
                    Oscula sydereo: regia tecta vides;
               Colliget illa rosas et nectet laurea serta

                    Mixta simul violis dulcia verba canet.

Terminati questi sdilinquimenti, viene la nota del Moncetti, che abbiamo riferita in addietro, e poi l’Impressum.

Non c’è che dire: il Moncetti ed il suo sozio e discepolo seppero far servire molto bene questa stampa al proprio esaltamento ed a quello dei loro protettori. Ma vediamo quali notizie di fatto si possano ricavare, da tutto quel contorno di versi e di prose, in riguardo a fra Benedetto.

Fra Benedetto Moncetti da Castiglione Aretino3 ci appare anzitutto in grande relazione con gli Estensi e coi Gonzaga. Egli è professore ed ha tenuto, o tiene, ufficio di reggente in Padova, ove forse lo ebbe a maestro il Gavardi. Predilezione massima ha per Mantova, dove pare dimorasse a lungo e si trattenesse a più riprese. Il Gavardi dice che vi si segnalò come profeta; profeta di sciagure, perchè predisse la peste, forse quella famosa del 1506. Questi dati, che si ricavano dagli accessori della Quaestio, non discordano da quel poco che del Moncetti ci sanno i biografi speciali degli Agostiniani, unici scrittori che si trattengano alquanto su fra Benedetto. Il più antico fra essi (o almeno fra quelli a noi accessibili), il Panfilo, così ne scrive: «Ioannes Benedictus Moncettus de Castellione Aretino, philosophus et theologus insignis. Qui cum Patavii in loco nostro Eremitano academiam regendam suscepisset, maxima documenta sui ingenii ac virtutis praebuit, dum per hoc tempus quasdam adversus Scotisticas subtilitates defensitaret conclusiones, quas ipse late explicat in libro a se edito, qui inscribitur: Tractatus aureus de distinctione rationis contra Scotum. Is etiam fuit vicarius ordinis in Gallia, ut provinciae Franciae et Narbonae corruptos mores reformaret corrigeretque» 4. L’Elsio5 [p. 14 modifica]aggiunge che nel 1517 fu «Regens Perusinus» e nel 1525 segretario del Duca di Milano. «Fuit etiam consiliarius et secretarius Ducis Mantuani». Della sua morte dà i seguenti particolari: «Cum valde mortis amaritudinem timeret, et a Deo subitaneam sed non improvisam mortem poposcisset, voti compos effectus, genibusque flexis in oratione intra proprium cubiculum expiravit, sicque inventus est a Fr. Xisto Buoninsegni socio ejus, cum illi, ut ad matutinum surgeret, lumen deferret. Obiit anno 1547». Il loquace Luigi Torelli diluisce queste poche notizie in un lago di ciarle. Egli peraltro sa alcune cose nuove, vale a dire che il Moncetti «coronato con la laurea magistrale» fu «mandato reggente in varî studî principali dell’Italia», e che «riuscì un celeberrimo predicatore». Scrive inoltre che si distinse, non solamente fra noi, ma anche fuori, come «matematico ed astrologo fra i più eccellenti eccellentissimo» e che n’ebbe onori dal Duca di Milano, da Enrico VIII d’Inghilterra, dall’imperatore Massimiliano, il quale in un privilegio ch’è nel convento d’Arezzo «concede a questo gran Religioso alcune gratie singulari e nello stesso diploma lo chiama Vicario generale dell’ordine di S. Agostino nella Germania». Infatti i suoi superiori lo avrebbero mandato a reggere e riformare, non solo la Francia, come dicono i più antichi biografi, ma anche la Germania e l’Inghilterra. Sulla edificante morte di lui il Torelli si diffonde, rammentando che molti de’ suoi correligionari lo chiamano, a cagion di essa, beato6.

Ricerche speciali nell’archivio Vaticano e a Parigi darebbero forse buoni risultati; ma non sappiamo se il personaggio sia tale da valerne la pena, per quanto la sua riputazione presso i contemporanei non sia stata mediocre7. Delle sue opere il Tractatus aureus contra Scotum (aureus, come la Quaestio aurea) non ci venne fatto di trovarlo registrato dai bibliografi, nè di rintracciarlo nelle biblioteche di varie città italiane, neppure in [p. 15 modifica]quelle di Roma, così ricche d’opere monastiche, teologiche e filosofiche. Crediamo probabile sia rimasto inedito; ma il titolo ci fa indovinare che cosa dovesse essere: una delle tante opere polemiche piene di sottigliezze, cui diede luogo l’ardita dottrina di Scoto Erigena, in quel mare tante volte burrascoso della filosofia scolastica. Trovammo invece rilegato in un raro volume della Nazionale di Torino8 certo opuscolo del Moncetti, di cui non sappiamo che altri abbia fatto cenno. È un frutto della sua dimora in Francia, giacchè fu stampato in Parigi, da Enrico Stefano, nel 1515, e consiste in una consolatoria in forma di dialogo diretta alla regina di Francia in occasione della morte di re Luigi XII. Il Moncetti «inter sacrae theologiae doctores minimus»9, vi si chiama «totius Franciae et Angliae vicarius generalis atque commissarius apostolicus». Il dialogo filosofeggia, considerando il fine della vita umana, sicchè fin verso la chiusa la morte del re è lasciata in disparte compiutamente. Tutta l’operetta, che ha valore scarsissimo, serve all’autore di pretesto per isfoggiare la sua indigesta dottrina. Notevole la preoccupazione ch’egli ha della critica: «Solent enim, dice egli, rudes ac ignari nimium rerum iudices, si quod novum opus in publicum venerit, mox livoris tabe illud inficere ac depravare: aut certe si a veritate coacti nonnumquam laudent, frigide satis ac remisse nimium laudant: eo tantum animo ut sua in coelum tollent inanissimi boatores»10. La consolatoria è preceduta da una lettera di dedica a «Lodovico Silvio Mauro Philologo Sartano» al quale il Moncetti professa affetto e stima grandissimi. Da lui si accomiata dicendo: «Vale, animae dimidium meae, et quidem foelix faustusque, ac Licurgum tuum vicaria amplectitor charitate». Ad intendere le quali parole bisogna aver presente che nella intitolazione il Moncetti si dice da sè: [p. 16 modifica]«Licurgus vulgo nuncupatus!». Dove e come diamine s’acquistasse quel così onorifico appellativo, Dio lo sa. Nella dedicatoria, del resto, fa professione di grande modestia e dice che quelle «nugationes» le ha composte in Parigi «intercapedinatim pro animi levamine», in mezzo alle molte cure della sua missione apostolica. Accenna chiaramente ad altre opere da lui fatte stampare in Italia: «Addis insuper hactenus nostris mirum in modum fuisse delectatum lucubratonusculis, quae quidem in Italia nostra habeantur impressae». In fine promette all’amico che, se questo scritto gli riuscirà gradito, ne pubblicherà degli altri «statim, et quaestionum nostrarum super regia morte et proprietatum mysticarum libellos, maiora insuper quae apud nos observantur ac domini scrinia magnopere exire cupiunt11, sub tuo emittam favore». Che questo disegno dell’ambizioso agostiniano venisse effettuato, non consta.

Note

  1. Oltre la descrizione menzionata della stampa veneta, il Torri dà notizie e saggi degli accessorî di quell’edizione nel vol. V, pp. 159 e 161.
  2. Che costruzione! Ai danni del contorto latino fratesco cospirò l’ignoranza, o la disattenzione, dell’antico tipografo. Noi ci arbitriamo di correggere gli errori manifesti.
  3. Castiglione Aretino è una terra di Val di Chiana, tra Cortona ed Arezzo. Già nel sec. XIV si chiamava Castiglione Fiorentino, per essere stato incorporato nel contado di Firenze; ma sembra che il più antico nome sopravvivesse, perchè il Moncetti si dice costantemente di Castiglione Aretino. Cfr. Repetti Dizion. geogr. fis. stor. della Toscana I, 608 sgg.
  4. G. Pamphili, Chronica ordinis fratrum eremitarum Sancti Augustini, Roma, 1581, c. 101 v.
  5. Encomiasticon Augustinianum, Bruxellis, 1654, p. 332.
  6. L. Torelli, Secoli Agostiniani, vol. VIII, Bologna, 1686, pp. 255 sgg.
  7. Importunammo parecchi amici perchè facessero ricerche su questo soggetto, senza ricavarne molto frutto. Ma la colpa non fu certamente loro, onde qui adempiamo al grato obbligo di ringraziarli pubblicamente. A Padova frugò per noi nell’Universitaria, nell’Antoniana e nella Comunale il prof. Guido Mazzoni; ma non trovò come e quando il Moncetti vi stesse. A Firenze fece per noi ricerche il prof. Pasquale Papa, a Bologna il prof. Angelo Solerti, a Roma il dr. Carlo Merkel.
  8. Il volume è segnato XV, VII, 260 ed ha prima un trattato d’Egidio Romano, sul quale ritorneremo. Sgraziatamente tanto il trattato quanto l’opuscolo mancano del frontispizio.
  9. Anche nel De aqua Dante si qualifica «inter vere philosphantes minimus».
  10. Sentimento analogo esprime Dante nell’ultimo paragrafo del De aqua, là dove dice che alla dissertazione intervenne tutto il clero veronese «praeter quosdam, qui, nimia caritates ardentes, aliorum rogamina non admittunt, et per humilitatis virtutem Spiritus Sancti pauperes, ne aliorum excellentiam probare videantur, sermonibus eorum interesse refugiunt».
  11. Anche la Quaestio «in scriniis quiescebat», quando ve la trovò il fortunato Moncetti (nuper reperta).