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[139] VARIETÀ 15

quelle di Roma, così ricche d’opere monastiche, teologiche e filosofiche. Crediamo probabile sia rimasto inedito; ma il titolo ci fa indovinare che cosa dovesse essere: una delle tante opere polemiche piene di sottigliezze, cui diede luogo l’ardita dottrina di Scoto Erigena, in quel mare tante volte burrascoso della filosofia scolastica. Trovammo invece rilegato in un raro volume della Nazionale di Torino1 certo opuscolo del Moncetti, di cui non sappiamo che altri abbia fatto cenno. È un frutto della sua dimora in Francia, giacchè fu stampato in Parigi, da Enrico Stefano, nel 1515, e consiste in una consolatoria in forma di dialogo diretta alla regina di Francia in occasione della morte di re Luigi XII. Il Moncetti «inter sacrae theologiae doctores minimus»2, vi si chiama «totius Franciae et Angliae vicarius generalis atque commissarius apostolicus». Il dialogo filosofeggia, considerando il fine della vita umana, sicchè fin verso la chiusa la morte del re è lasciata in disparte compiutamente. Tutta l’operetta, che ha valore scarsissimo, serve all’autore di pretesto per isfoggiare la sua indigesta dottrina. Notevole la preoccupazione ch’egli ha della critica: «Solent enim, dice egli, rudes ac ignari nimium rerum iudices, si quod novum opus in publicum venerit, mox livoris tabe illud inficere ac depravare: aut certe si a veritate coacti nonnumquam laudent, frigide satis ac remisse nimium laudant: eo tantum animo ut sua in coelum tollent inanissimi boatores»3. La consolatoria è preceduta da una lettera di dedica a «Lodovico Silvio Mauro Philologo Sartano» al quale il Moncetti professa affetto e stima grandissimi. Da lui si accomiata dicendo: «Vale, animae dimidium meae, et quidem foelix faustusque, ac Licurgum tuum vicaria amplectitor charitate». Ad intendere le quali parole bisogna aver presente che nella intitolazione il Moncetti si dice da sè:

  1. Il volume è segnato XV, VII, 260 ed ha prima un trattato d’Egidio Romano, sul quale ritorneremo. Sgraziatamente tanto il trattato quanto l’opuscolo mancano del frontispizio.
  2. Anche nel De aqua Dante si qualifica «inter vere philosphantes minimus».
  3. Sentimento analogo esprime Dante nell’ultimo paragrafo del De aqua, là dove dice che alla dissertazione intervenne tutto il clero veronese «praeter quosdam, qui, nimia caritates ardentes, aliorum rogamina non admittunt, et per humilitatis virtutem Spiritus Sancti pauperes, ne aliorum excellentiam probare videantur, sermonibus eorum interesse refugiunt».