Il primo processo delle streghe in Val di Non/Parte IV
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PARTE IV.
L’EPILOGO
Il Ms. 618 è mutilo, non sappiamo quindi l’esito del processo dalle sue carte; per buona sorte ci fu chi tirò il bilancio di questa nefasta inquisizione: quel Lorenzo Torresani notaio e avvocato di Cles che fuggevolmente nominammo come procuratore e deputato di qualche accusato. Del famoso suo volume di fogli 358 col titolo: Annotationes ex approbatis pontificiii cesarei que juris professoribus collectae abbiamo un paio di pagine ricopiate nel Ms. 615, della T., ma preziosissime; giacché nella prima parte dei documenti da esse riprodotti troviamo la Relazione che il Ramponi, il Barbo e l’Arnoldo fanno dell’esito del processo:
prima vice, così annunziano, fuerunt incineritae duae mulieres
secunda vice. quinque.
Dunque 7 bruciate probabilmente nella primavera del 1614. Se noi gettiamo un’occhiata sul nostro elenco di accusate ed al luogo della Gadenta, morta in carcere, poniamo la Maria di Paolo Vito di Nano, abbiamo, con gran probabilità, la lista delle Vittime sacrificate sul rogo della pubblica superstizione.
I motivi della condanna furono i seguenti:
quae in specie demonio se addixerunt forma tradita a Farinac. q. 20 N.° 77 conventibuv nocturnis, non in somniis vel dilusorie (cabal. Cont. 13 Cr. 209) sed actualiter et corporaliter in monte nominato Ruveno (de quo monte ipsius sit mentio ab Ex. D. Mattiolo) versus Mendulam spectante ad Romenos Honnos loco pasquorum et in illius summitate inter fuerunt, rem veneream cum Demone fecerunt, homines veneno necaverint, tempestates diabolica arte excitaxerunt et segetibus ac animalibus nocuerunt. Par di leggere la confessione della Pillona.
In una terza bruciata di streghe (10 aprile 1615) furono sacrificati tre penitenti e abiurati, tra i quali Leonardo Perizalli, cancelliere del giudizio di Castelfondo, abitante di Romeno. Costoro torti tormento funis et vigilia persisterunt quantunque la tortura fosse ferox et atrox ut nemo resistere posset.
Il Perizalli il cui nome compare gia nel Processo generale, giacchè si dice che egli al sentir dei processi contro le streghe si ammalò, fu un grosso boccone per il fisco; il Panizza scrive che l’auri sacra fames ebbe non piccola parte nei processi per le streghe, io, per debito di imparzialità, devo dire che non si può, sugli Atti generali almeno, basare un’accusa sicura, quantunque certi dati muovano a sospettare. I beni confiscati del cancellarius erano circa dell’importo di 30.000 fiorini, de’ quali parte venne devoluta a Massimiliano II che la elargì al barone e cavaliere Thunn, cubiculario supremo! L’asta della massa immobile diede 6000 fiorini versati da un Fattori. Degli altri rei, i meno indiziati furono sottoposti alla tortura, altri esiliati, altri — inabili alla tortura — condannati a una multa di 600 fiorini e al bando, altri infine multati più o meno gravemente.
In generale, col progredire del tempo prevale la clemenza. I giuristi sono assaliti da dubbi, da scrupoli di coscienza; si inclina a credere possibile uno spaventevole errore giudiziario; si dubita della bontà della procedura. L’inquisizione vacilla e perciò diventa più mite. Ecco che Eugenio Bartolameo Visintainer, un buon giureconsulto del tempo, ha il dubbio, un grave dubbio di fatto, che il demonio potesse assumere negli striozzi forme umane concrete, cosicchè poi le streghe torturate avrebbero — in buona fede — accusato degli innocenti, ma, dopo molto cercare, trova nei libri tecnici un assioma che egli registra nel documento sopracitato: Diabolum non posse in conventu representare innocentem, così pure trova che la confisca dei beni non si poteva applicare alle streghe o agli stregoni (sortilegi) penitenti.
Un quarto processo — più mite — fu quello tenuto dal Pievano di S. Sisinio Johannes Ramponi, decano foraneo ecc. assistito da Ludovico Particella assessore, consigliere del Cardinale, Principe Vescovo Madruzzo ecc, in Castel Nano addí 16 giugno 1615 contro i giugali Vigilio e Maria Rosati di Romeno per aver preso parte ai «conventus personarum maleficarum in monte Roveno». La multa fu grossa: al fisco 750 fiorini a testa, e 100 altri così distribuiti:
25 | denari | per | la | chiesa | di | S. Maria di Romeno |
25 | „ | „ | „ | „ | „ | San Romedio |
25 | „ | „ | „ | „ | „ | San Sisinio di Sanzeno |
25 | „ | „ | „ | „ | „ | S. Maria del Rosario pure di Sanzeno |
Insieme dunque circa 1600 fiorini, non calcolate le spese del processo. E beati loro che si salvarono dalle fiamme colla dichiarazione che alleghiamo quantunque già pubblicata, per dare completa cornice al nostro quadro.
⁂
E ora qualche riflessione. E’ notevole la poca parte che, pubblicamente e palesemente almeno, in questi processi prende il Clero. Il Decano Ramponi non appare nei documenti passati in rassegna mai e poi mai come persona agente. Testimoni di ordine sacerdotale nessuno. Se ci fu chi trasmodò — quantunque anche contro di esso non parli nessun fatto specifico — fu il Barbi, il quale fu troppo spesso negligente nelle formalità della procedura. Infatti, quantunque il verbale del processo citi una volta il Maleus Maleficarum e le Annotaziones del Torresani enumerino le fonti principali delle norme procedurali cioè:
1. Prospero Farinaceo (Tractatus de Haeresi) Farinac
2. Petrus de Bimbsfeld (De Lamiis, de Confessionibus maleficarum) Binsfeld
3. Caspar Molinaeus vel Caballinus (Contentiosus) Cabal
4. Fredericus Martini (Commentarius de iure censuum, Interpelationes Caroli. Constitutionis tridentinae) Fred. Martini
5. Tommas Grammaticus (Decisiones) Gram. dec.
6. Johannes Baptista Boiardus (Practicum criminale) Baiard
il processo andò avanti a spinte senza quella coscienziosità che avrebbe (ben difficilmente) potuto forse forse salvare qualche innocente.
Non sappiamo infatti alcun particolare della procedura seguita nel dibattimento finale, cioè nella fase immediatamente antecedente alla sentenza e al supplizio, resta però fisso il fatto che nella istruttoria informativa mancano i boni viri che nei processi del Tirolo sono in numero di 3, di 6, di 11. Nè si può dire che la giustizia abbia seguito qui le norme volute dall’Arsenale (pag. 175).
Difficile per certo ed intricata molto è la materia delle Streghe e perchè sovente assai s’ha per le mani e agevolmente ancora si può in ogni modo errare, dice l’Autore serenamente; e continua più giù: non siano facili i giudici a proceder contro ad alcuna donna per la mala fama d’essa; perché facilmente si leva cotal fama contro a qualche donna, massimamente quando è vecchia e brutta.
Il Rapp attribuisce la sciatteria nella procedura alla modificazione dei criteri giudiziali subentrata coll’adozione dei giudici di carriera (gelehrte Richter) e del sistema segreto di processo; a quanto pare dunque questo vero e proprio regresso nell’arte inquisitoria e istruttoria non è un fenomeno trentino, ma generale (op. cit. 18 Nota).
E’ deplorevole, però, che la procedura del Barbo non solo non sia stata biasimata e criticata, come successe a qualche inquisitore del Tirolo che s’ebbe le minacce di vendetta di molti mariti o di parenti delle accusate e l’ammonizione, anzi perfino il bando, dal vescovo, ma sia stata subita supinamente dalla popolazione e approvata dalla autorità Vescovile, meno cosciente e meno giusta di quella d’altre diocesi vicine.
La splendida inquisitione d’Anaunia rimase impressa nella memoria dei contemporanei e dei posteri come un portento di processo, come provvedimento salutare, come un capolavoro dell’arte forense. Il processo, magistralmente sfruttato dal Dandolo, non è che la copia, più interessante, più ricca di particolari e di tratti tipici, ma sempre una copia del nostro. Il Manoscritto di quella inquisizione è, fortunatamente, conservato in tutta la sua integrità, cosicchè lumeggia anche il nostro in ciò che riguarda la denunzia, la sentenza e l’esecuzione. Le somiglianze sono innumerevoli nei costituti; ci sono dei passi che coincidono quasi letteralmente: certe descrizioni di contatti impudichi del demonio con le streghe, delle trasformazioni di vecchie in gatte e delle loro peregrinazioni notturne; le ricette per la preparazione di fatture erbarie o magiche; pur tuttavia il nostro manoscritto offre un quadro più mite, più umano, più sobrio, più corretto, più morale. La fantasia c’entra poco, quasi solo sforzata dalle torture e dai tormenti, il verisimile campeggia sempre e dovunque, mentre nel processo di Nogaredo gli elementi si allargano, si accendono, si gonfiano: qui la tregenda si delinea, come nei processi tedeschi, in tutta la più romantica ricchezza di fantasia, i particolari delle confessioni, delle deposizioni ricalcano motivi già adombrati nel nostro ma con una passionalità tutta meridionale: anche se è da supporsi che in Val di Non l’astio, l’odio personale, la vendetta, la rappresaglia abbiano alcunchè collaborato a intessere la trama delle accuse: ciò accadde sporadicamente, con molta mitezza e con una certa parsimonia d’impudenza: nel costituto dandoliano invece il livore si fa sfacciato, calpesta ogni coscienza, ogni pudore, ogni più esile parvenza o simulazione di veridicità, mentre il giudice, solo il giudice, non se ne accorge e fa tesoro di ogni scioccheria in barba a quel po’ di buon senso sancito dalla legge di Roma codificata nell’Arsenale, in barba alle esperienze fatte nel nostro processo e rilevate onestamente dai Visintainer e dai Torresani. Insomma nella stupenda inquisitione si può parlare di errore giudiziario causato dai tempi, dalla tradizione forense, in cotest’altro al contrario appare netta la corruzione del foro e dell’ambiente. Infatti sul finire della azione giudiziaria di Val di Non s’era incominciato a prescindere dalla pena capitale; si limitava la pena alla multa, una multa esosa, commisurata da criteri schifosamente interessati, ma sempre una semplice multa. e si sarebbe potuto sperare che il brutto capitolo dell'esecuzione cruenta fosse chiuso definitivamente a tutto onore della tecnica forense, del buon senso e dell’umanità. Ma la resipiscenza fu di breve durata e di lì a trent’anni si ebbe nel processo di Nogaredo una replica, storicamente più interessante e più commovente, umanamente parlando più ignobile della prima copia. Naturalmente non mancano divergenze essenziali nelle dimensioni dell’inquisitoria. Il processo dandoliano è scarso di attori: i personaggi sono vivi, bene individualizzati, nervosamente delineati dalle deposizioni, ma sono pochi; il nostro ha comune con quello del 1485, di Innsbruck e di Wilten, la larghissima partecipazione del popolo: le persone sospette sono parecchie in ogni villaggio, i testimoni sono numerosissimi; vestendo con parole d’oggi criteri d’altri tempi si potrebbe parlare di una strana epurazione religiosa, di un referendum pubblico, di una ancor più strana statistica dei peccati contro l’ortodossia confessionale.
La fama pubblica dà, per concludere, alla prima persecuzione delle streghe di Val di Non una attenuante di soggettiva buona fede che manca al processo di Nogaredo. Resta aperta la questione se nel primo caso si sia fatto abuso della tortura con eguale larghezza e leggerezza che nel secondo. I documenti fin’ora esplorati tacciono, come già abbiamo constatato, ma quel tanto che dall’istruttoria emerge parla a favore di maggiore coscienziosità e correttezza (una correttezza sempre relativa, ben s’intende!) anche in questo rispetto. — Dunque chi volesse tracciare la traiettoria del furore fanitico attraverso il seicento dovrebbe, purtroppo, darne un diagramma parabolico: incominciando con un certo buon senso, con quasi certa buona fede e con maggiori cautele la pratica forense venne man mano a cadere in preda della cecità superstiziosa e, aiutata da una più larga inventiva della fantasia popolare, finisce cogli eccessi deplorati e illustrati dal Dandolo cogli orrori degli ultimi processi.
⁂
L’elemento folcloristico.
I primi processi contro le streghe tenuti in Völs (1510) a danno di nove imputate (Documenti del Ferdinandeo) come pure quello a carico di Orsola Zanggerin di Neunkirchen nel Salisburghese condannata dal giudizio urbano e circolare di Kitzbühel (1594) ànno la caratteristica comune di una larga infiltrazione di elementi leggendari e tradizionali nelle confessioni delle vittime. Sia per vera e propria mania religiosa, sia per isteria prodotta da suggestione individuale o collettiva o dal dolore della tortura, sia per mera obbedienza ai suggerimenti del giudice inquisitore, le poverette descrivono nella loro confessione tutto le avventure che s'intrecciano nel mito medioevale delle fate, del sabba e della vita sovranaturale delle devote al demonio. Tipico il tratto antropofagico del pasto di bambini: costante il particolare della fuga (sulla granata) attraverso i comignoli, nel vortice del vento (Windsbrant) per portarsi ai conventicoli notturni del diavolo, ai festini sacrileghi, alle orgie saturnali sul monte Rosengarten, sullo Schlern o in altri noti boschi diabolici (luci demoniaci).
Nella nostra istruttoria questa descrizione è assai sbiadita: un semplice accenno nel particolare della tregenda sul Roen: la fantasia manca, o si riduce a povere invenzioni: si vede che questa mitologia non è indigena nel paese o è ridotta a pochi elementi importati dal furore antilammico stesso o dai rapporti internazionali fra latini e germani iustaconfinanti.
L'unica creazione che pare indigena è quella del Salvanel o homunculus silvanus, un derivato delle figure mitologiche di Satiro o di Pan: questa contaminazione (come direbbero i filologi) cioè questo frutto della commistione di due concetti, l’uno cristiano del demonio, l’altro della divinità binaturata boschereccia del Fauno, è abbastanza esattamente delineata: nei processi tedeschi abbiamo la forma diabolica: die teuflisch Gespenst, che ricorda il nostro Salvanel ma è assai meno concreta negli attributi; essa corrisponde piuttosto al nostro fantasma. Un parallelo fra il cosidetto Basadonne e la Windsbraut avrebbe qualche buon argomento a sua giustificazione, ma nel nostro materiale non c’è traccia che possa indurci a tentarlo. Maggior ricchezza di particolari fantastici appare nel processo di Nogaredo, ma essi, lungi dall'esser prodotto autoctono del folclore terraneo, mi paiono piuttosto il frutto nefando della leggenda e della letteratura forense. I processi stessi diedero l’indirizzo, la materia prima e il primo germe a un vasto ciclo di superstizioni sulle fatture, sulla tregenda e sul connubio col diavolo. Siamo di fronte all’evoluzione d’uno strano concetto del soprannaturale (i filosofi che negano la vitalità delle idee, mi perdonino questa sintesi) che da oscure e incerte origini viene concretandosi, materializzandosi in un mondo tutto nuovo di creazione collettiva e di innegabile valore estetico; la scuola romantica lo seppe! Ciò non toglie che di queste, come di altre consimili produzioni della fantasia, il mondo avrebbe potuto fare a meno, anche a costo, forse, di rinunciare a qualche pagina delle più tipiche del Faust.
Interessanti sono i piccoli saggi di folclore religioso che faccio seguire nell’Appendice. La preghiera della Croce è forse il monumento più ben conservato ed ha un senso compiuto espresso in un giro stilistico abbastanza corretto. Ricorda la preghiera della antica scuola lombarda (Bonvesin da Riva) del secolo XIV e non è punto escluso che da essa provenga, quantunque mi lusinghi più l’opinione che si tratti di una giaculatoria indigena, d’un primo gioiello della letteratura religiosa anaune.
La canzone di Santo Stefano è conservata in uno stato miserando: la grafia aggrava le oscurità e le difficoltà della versione. Già la prima parola: Bramant - Chiamant - Beamant è indecifrabile e tutti i primi periodi sono privi di un senso definito. Nel resto della cantilena si delinea un dialogo che arieggia pure la scuola lombarda e si veste di proposizioni un po’ più chiare.
L’orazione della Cattarina Castellana confonde Massenza con Maddalena e Maria Santissima, almeno così mi pare; è una giaculatoria popolare abbastanza ingenua.
L’orazione delle tavole da Roma, un prezioso monumento di cicalata religiosa, è bene conservata; solo il principio e un po’ oscuro. Come la Ricetta contro el mal de cau s’avvicina molto a quei poveri squarci di rimele popolari che ancor oggi, ultimi fossili di una letteratura passata, sopravivono nelle menti e nei discorsi del popolo.
Con queste povere reliquie ci riesce di sospingere d’un secolo indietro la soglia della letteratura nonesa finora conosciuta.
L’elemento linguistico.
Il fatto che la stesura dell’istruttoria non è latina, come in altri processi del genere, ma volgare, mi fece sulle prime concepire delle speranze che poi rimasero, in parte, disilluse: il linguaggio è il dialetto veneto aulico, proprio di tutti i documenti del tempo deformato da elementi trentini e anauni mescolati a toscanismi già frequenti nel mosaico artificiale del parlar zevil. Qualche volta la lingua aulica — nei momenti più commossi e più dominati dall’emozione — si avvicina assai al vernacolo anaune puro: ma solo per breve giro di frasi che ci lasciano intravedere uno stato glottologico non molto diverso dal presente.
Ecco un elenco degli elementi che mi paiono degni di nota:
lessico significato
menzonar = accennare, discorrere
causonar = accusare
scaveiada = scapigliata
cigar = gridare
lessico significato
scandole = tavole del tetto
zatte = zampe
taiero = tagliere
mezzena de lardo = misura volumetrica del lardo
lessico significato
famei = famiglio
el bòi = il bue (il detto buoi)
la polla = la gallina
cùgola = palla (Kugel)
spudizzo = saliva
fuor oltra = oltre, fuori
restelar el feno = rastrellare il fieno
segasone = segagione
brazzo = braccio
besegar = lavoracchiare
làres = larice
Clouz = Cloz
spreuza = fenile
fiozzo = figlioccio
haver un ramo de stria = aver alcun poco della strega
ledàmo = letame
nezza = nipote
beveranda = pozione
fantisella = serva
doi = due, trei = tre
instriata = stregata
seslare = mietere le frugi
Mattè di Mauri = Matteo dei Mauri
anco = anche
ge = la (particella pronominale IIIa persona
gi = enclitico: dargi, fargi
cugnata = cognata
cavo = capo
tonsare = tosare
chierega = chierica
già doi anni = due anni fa
moier = moglie
cinq = cinque
la mane = la mano
lessico significato
schena = la schiena
Gnes = Agnese
volsuta = voluta
havetti = avete (?)
il mio animali = animale (?)
drio = dietro
sgnavolava = miagolava
barba = zio
pare = padre
pradi = prati
dedi = diti
disnar = desinare
vedèl = vitello
Pragena = Preghena
Mezalon = Mezzalone
roffioi = ravioli
pastume = pastime
cosina = cucina
còser = cuocere
cosinar = cucinare
sfessello = fuscello
miazza = specie di torta
svazilare = vacillare
sédese = sedici
subia = lesina
missér = suocero
istà = estate
techìr = attecchire
besavedello = scipito, scimunito
armenta = mucca
puta, putella = fanciulla
domenega = domenica
segador = falciatore
caliar = calzolaio
plazola (od. plazuol) = radura
stuva = stanza
forfes = forfice
poina = ricotta
lessico significato
cuolgarse = coricarsi
affiapparse = rammollirisi
ottobrio = ottobre
settembrio = settembre
imbostià, imbostì = adirato
suzolenda, sugolenta = madida di sudore
foglar = focolare
sdraz, crivel = cribro
cisora = forfes = forfice
ortel (?) = forfes = forfice (pag. 334 del Ms. cortel?)
somenze = sementi
galanta dòna = buona donna
parévese = vicino, confinante
revoltel = avvolto
terfoi = trifoglio
pìuse = cataplasma
pederzemoi = prezemolo
el lisoppo = hisoppo
prevet = prete
la pìstola = l'epistola
infern = inferno
mi no hai = io non ho
conse = cose
autri = altri
l'era tut neger = era tutto negro (nero)
fàusa = falsa
lessico significato
scuffia = cuffia
gallon = coscia
zot = zoppo
struppiato = storpio
gozza = goccia
Zoana = Giovanna
carnier = canestro
meio = meglio
caloneg = canonico
citar avanti la rason o comandar avanti la rason = citare in Giudizio
cognen morir tuti ’n bot = dobbiamo morir tutti una volta
anda Cattarina = zia Caterina
far ad’uno od. adun = insieme
fossat sott’alla villa = un piccolo fosso sotto il villaggio
pagni = panni
miorar = migliorare
limoz = lumaca
la gril = animaletto campagnolo della specie della donnola
la Prasli = nome di luogo
gromial = grembiule
figà = fegato
baiadorazza = chiaccherona
giorno della cendra (cendriola) = mercoledì delle Ceneri
Specialmente le forme verbali lasciano intravedere lo stato morfologico odierno. Si vedano i seguenti esempi:
1. Si mi el saves mi vel diruessi et si mi nol sai no lo voi qui dir che vòi piutosto patir mili mort che nar a meter ent autri (pag. 440) (Soraton),
2. Mi hai sapest, ne in vita eterna non sarai (saprò) (ibidem),
3. digando (440) = dicendo,
4. tuoi sto pan = prendi questo pane (Coredo),
5. lagiai pur dir (440) = lasciateli pur dire,
6. avevest ti (442) = avevi tu?
7. l’hai mi = la ho,
8. Voi ben andar a gattarla e veder si la n'è (487)
9. togando = togliendo.
10. che mi eri = che io ero,
11. lagei dir (411) = lasciali (lasciateli) dire,
12. che ’l diaol me portia via = che il diavolo mi porti
13. voleu che vaga a dir che (de?) questa et quell’autra che mi no sai negot et si no son neanca mi stria voleu che diga quel che mi no sui (427),
14. Nol sai = non lo so.
15. Et si g’è qualcuno chel venga a star alla morte con mi che voi domandargi mili perdoni. Bisogna pur che gi sia sta qualcun aprou a mi (ibidem).
16. Mi nol so chi abi maleficiate le persone perchè si mi el saves mi vel diruessi et si nol sai no lo voi qui dir (ibidem).
17. abbu = avuto.
18. No habiestu mai più allegrezza = che tu non abbia più felicità!
19. habbiando = avendo,
20. le sassau = sapessero (550),
21. digandoge = dicendogli.
22. creparà, cantarà, insegnarò = morirà, canterà, insegnerò.
23. vorestu? = vorresti,
24. sibbi = sia,
25. fussi = fosse,
26. vorressi = volesse.
Caratteristico l’uso del passato rimoto (perfectum — perfetto definito): il passato rimoto entra nel discorso troppo spesso e troppo spontaneamente per non farci plausibile il dubbio che sia stato ancor vivo nel vernacolo (el disse, trovassimo [= trovammo], venissimo [= venimmo], dubitassimo, vidissimo, ecc. el portò).
La dittongazione pare abbia avute le stesse vicende che ha oggi. Per stabilirne l’estensione e la suddivisione mancano dati sicuri. Tipico il futuro in -arò. (Vedi sopra, gli esempi).