Il nostro padrone/Parte prima/VIII

VIII

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VIII.

Bruno preparò la polenta e mangiò in compagnia del dispensiere, sul rozzo tavolo sotto la grande tettoia rischiarata da un lume ad olio.

— Fa già freddo! — diceva il dispensiere, sebbene fosse vestito di panno e avesse uno scialle intorno al collo.

— Io non lo sento! — rispose Bruno, ma l’altro replicò con disprezzo:

— Tu e la scorza avete la stessa sensibilità!

Egli era un giovinotto magro e malaticcio, cieco di un occhio; e il suo viso pallido e sbarbato, dal profilo sottile, guardato dalla parte dell’occhio sano sembrava il viso di un fanciullo, mentre dall’altro lato appariva triste e bieco come il viso d’un vecchio malvagio.

— Tu, però, farai fortuna, tu, — riprese, vedendo che Bruno non si [p. 76 modifica] offendeva. — Ieri carbonaio, oggi capo‐macchia, domani sarai anche tu speculatore!

— E perchè no? Gli altri, come hanno cominciato? — rispose Bruno con calma.

— Rubando, si sa!

— Signor Lorenzo!

— Fammi il piacere, chiamami Lorenzo; sei mio superiore! Ma che freddo, stasera! Ha molto piovuto a Nuoro?

— Oh sì!

— Vorrei con me una donna! Ma bella e grassa, che potesse scaldarmi! Potevi portarne su una!

Egli socchiudeva l’occhio sano, quasi per nascondere il difetto dell’altro; e non rideva, e non sorrideva, e Bruno non sapeva se egli scherzasse o parlasse sul serio.

— Eh, sì, ce n’era una, di molto bella, che io volevo portar su, stamane. Ma non volle venire!

— Ma era bella davvero?

— Forse lei la conosce; è la serva del Perrò, Sebastiana.

— Altro che la conosco! Quella sarebbe una bella compagnia.... un po’ pericolosa, però....

— Oh, perchè? Perchè?

Bruno desiderava notizie della fotografia smarrita dallo speculatore, ma si accorse che il dispensiere diffidava di lui. [p. 77 modifica]

— Perchè? Ma perchè è molto bella e c’è pericolo d’innamorarsene sul serio.

— Che male ci sarebbe?

— Nessuno. Se tu la vuoi, prenditela. Per me non ho difficoltà ad accordartela! Ho sentito dire, però, che sua madre, la conosci? un bastimento, ha minacciato di dar querela per corruzione di minorenne a chiunque osa avvicinare troppo sua figlia! D’altra parte c’è il Perrò che pensa a tutelare la ragazza....

— Dove la vedi, tu? — domandò Bruno pensieroso.

— Dove, figlio mio? A Nuoro.

— Tu vai spesso a Nuoro?

— Più spesso che a Parigi.

— Conosci anche l’altra serva del Perrò?

— L’amica, vuoi dire? L’ho veduta due volte; sembra un sorcio morto, puh! C’è una raschiatrice di scorza che le rassomiglia.

Si volse e sputò dietro la sedia, tanto le raschiatrici di scorza gli destavano nausea; e Bruno non ebbe il coraggio di continuare a parlare di Marielène, ma continuò a pensarci. Gli pareva di vederla, con la sua veste rossa e il viso giallognolo; e come suggestionato dalle parole di Lorenzo provava un senso di ripugnanza.

Dopo il pasto i due uomini giocarono alle carte. [p. 78 modifica]

— Quanto di posta? — domandò Lorenzo.

— Tre soldi.

— Usano così al tuo paese?

— Usano così.

— Non conoscono la lira, al tuo paese?

— Non la conoscono, ma vengono qui, per conoscerla!

— È vero! — ammise il dispensiere, traendo di tra le pietre del muro a secco un mazzo di carte così sucide che sembravano nere.

Bruno riaccese la sua pipa, accavalcò le gambe e prese le carte ad una ad una, esaminandole attentamente da ambe le parti per accertarsi che non avevano segni particolari; e per qualche tempo i due giocatori tacquero, pensierosi e attenti come se la posta fosse di migliaja di lire. Si sentiva il vento fremere a intervalli, poi il suo rumore cresceva, si avvicinava, diventava cupo e fragoroso come un rombo di tuono, e di nuovo diminuiva e s’allontanava ridiventando un lieve fruscìo. Pareva che un treno attraversasse la solitudine della montagna.

L’indomani arrivò lo speculatore. Gentile e affabile anche con i più umili lavoranti, egli battè la mano sulla testa ai ragazzi e interrogò a lungo i vecchi e le [p. 79 modifica] donne che lo guardavano come affascinate; ma ad un tratto vide un sacco che qualcuno aveva smarrito in mezzo al sentiero e cominciò ad urlare come un cane bastonato. La sua voce echeggiava nella foresta e pareva che anche gli alberi ne tremassero. Vestito da cacciatore, con stivaloni muniti di sproni, armato e carico di borse, egli sembrava, sul suo cavallo bajo, un vero conquistatore di terre, mezzo brigante e mezzo cavaliere; e i suoi piccoli occhi metallici guardavano lontano come occhi di falco, ma avevano spesso una fissità di sogno.

Bruno gli andava appresso, guardandolo con ammirazione: ricordava che più di una volta lo aveva invidiato, non per la sua ricchezza, ma per la sua resistenza e la sua attività, e che aveva pensato: «alla sua età, io non sarò che un vecchio invalido, seduto come il mi’ nonno sulla soglia d’un casolare», ma quella mattina, seguendolo attraverso la foresta, sentiva come un soffio di vita nuova, e quella figura equestre, sullo sfondo dei boschi, di quei boschi secolari che a un cenno di quell’uomo cadevano, gli destava un senso di meraviglia e di gioja. Quello era un uomo di cui bisognava seguir l’esempio! [p. 80 modifica]

V’erano giorni in cui Bruno sentiva un vero odio di razza contro tutta la genterella che invadeva la foresta; e i gridi dei carriolantes1 che incitavano i buoi, le cantilene delle donne, e persino le risate dei ragazzi gli dispiacevano. Egli s’aggirava continuamente intorno ai lavoratori, pesava la scorza, riempiva le bollette: taceva, ma il suo pensiero lavorava come la sua mano. I suoi progetti si facevano sempre più distinti, e propositi dimenticati gli risalivano dal profondo della memoria; l’idea dell’albergo lo tentava, perchè Marielène era una buona cuoca e anche lei non avrebbe certo smesso di lavorare, ma un albergo non può come una speculazione arrischiata formare la fortuna d’una famiglia. La speculazione è la chiave che apre le porte della fortuna, il badile che può strappare alle viscere della terra, a furia di rischi e di sforzi, il tesoro nascosto.

La sera, sotto la tettoja, egli non riusciva a tener completamente segreti i suoi pensieri a Lorenzo, e spesso gli diceva:

— Se io fossi un impresario o uno speculatore mi agiterei, lavorerei e farei lavorare, ma più che il risultato [p. 81 modifica]dell’impresa mi piacerebbero gli sforzi e i rischi necessari per condurla a buon termine.

— E finita quella?

— Ne tenterei subito un’altra, più arrischiata, e poi un’altra ancora.

— Vorresti conquistare il mondo, allora! Io, invece, figlio mio, vorrei coricarmi al fresco d’estate, e in un buon letto caldo d’inverno.

— E in primavera?

— In primavera? Andrei a Parigi!

Una sera, dopo che si fu coricato sul suo letto alto, fatto di rami e di un pagliericcio di felci, Bruno sentì una smania, una irrequietudine come se avesse la febbre. Era stanco e non poteva dormire, sentiva il profumo dei ciclamini e l’odore dei funghi, e gli sembrava d’essere ancora lassù, nei suoi boschi, «caporale» in una «piantonaia»; e per scacciare questo vago senso di nostalgia pensava a Marielène, allo speculatore, al suo avvenire. Invano, pensando a Marielène cercava di sfuggire al ricordo di Sebastiana; la figura della fanciulla lo perseguitava, fresca, ridente, voluttuosa. Finalmente si addormentò, ma ella gli apparve anche nel sogno: era venuta nella capanna per cercare la fotografia smarrita dallo speculatore, e frugava fra le felci del [p. 82 modifica]pagliericcio, mentre Bruno, sollevato sul gomito, le diceva: — Non ti vergogni? Una bambina quale ancora tu sei dovrebbe essere meno sfacciata. Vattene.

Ella si mise un dito sulle labbra, gli sorrise e sussurrò:

— Tu non capisci niente!

Allora egli tese le braccia, nel sogno, e l’attirò a sè, flessibile, fresca e ridente di amore. E dopo quella sera l’immagine di lei andò a tenergli spesso compagnia, nel silenzio della notte sui monti, ed egli l’accoglieva, ma con melanconia, dicendole che mille e mille ostacoli si frapponevano fra loro.

Ma di giorno, quando ripensava ai sogni della notte, se ne stizziva. Fra lui e Sebastiana, anche se ella fosse stata per lui tenera nella realtà come lo era nel sogno, si frapponeva davvero un ostacolo insuperabile: la volontà di lui. Egli non voleva innamorarsi di lei; e si accorgeva che era la primavera che riscaldava il suo sangue come riscaldava le roccie ed i tronchi!

Gli elci cominciavano a lasciar cadere le foglie vecchie ed a coprirsi di germogli: e tutto il bosco prendeva un colore giallognolo e delicato, come se il sole già ardente lo indorasse coi suoi raggi. [p. 83 modifica]

Un giorno il Perrò fece leggere al capo‐macchia una lettera nella quale Predu Maria Dejaua domandava lavoro e assicurava che il signor Papi poteva dare di lui le migliori informazioni. Bruno protestò.

— Io non lo conosco! Abbiamo viaggiato assieme, ed egli mi raccontò una lunga storia, pregandomi di ottenergli un posto. Se lei ricorda, io gliene parlai, ma in quanto a informazioni io non oso darne.... So che è stato in una casa di pena....

— Va benone! — gridò il vecchio. — Di canaglia ne abbiamo abbastanza!

Ma per scrupolo di coscienza Bruno aggiunse altri particolari.

— Il Dejana è compaesano della signora Elena....

Questo particolare non commosse lo speculatore; c’erano tanti compaesani della «signora Elena» che si raccomandavano a lui! Tuttavia prima di ripartire domandò:

— Quel Dejana, mi dicesti, abita col Moro? È ancora sotto sorveglianza della questura?

— No, deve aver scontato anche la sorveglianza; altrimenti non avrebbe lasciato il sue paese.

— Allora, lo terrai tu, sotto la tua sorveglianza! Mandagli a dire che venga. [p. 84 modifica]

Sebbene contrariato, Bruno scrisse un biglietto a Predu Maria dicendogli che finalmente poteva mandargli una buona notizia: «Il signor Perrò, dopo le buone informazioni che io gli diedi sul suo conto, decise di darle lavoro: venga subito».


Note

  1. Carrettieri.