Il nostro padrone/Parte prima/IX

IX

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IX.

Predu Maria arrivò il giorno dopo. Non zoppicava più, ma era alquanto dimagrito, e i suoi occhi parvero al capo‐macchia più chiari del solito, come gli occhi di un uomo malato.

— Sono quasi scappato di nascosto, — egli raccontò. — Non voleva che io cercassi lavoro, quel diavolo! Quando seppe che venivo quassù mi ha coperto d’ingiurie: pareva volesse mangiarmi vivo! Ma guarda, se ci vuol pazienza! Adesso dice che non mi guarderà più in faccia.

Egli scuoteva la testa, ma pareva impensierito per il dispiacere dato al suo ospite ed amico.

— Eh, capisco, — disse Bruno con calma, — le relazioni sue col Perrò non sono ottime. [p. 85 modifica]

— Ma non è per questo, diavolo! Egli s’infischia dei pregiudizi della sua nonna. È che voleva che io non facessi lo «scorzino». Ma se non lavoro che cosa devo fare? Devo impiccarmi? Il muratore non lo so fare, e neppure il calzolaio. Il proprietario non è cosa facile farlo! Ah, ah, non è vero?

Egli rideva, col suo riso goffo; ma quando pronunziò le parole «devo impiccarmi» guardò in modo strano i rami dell’albero sotto cui stavano seduti.

Bruno prese un lieve tono di scherzo, sorrise, abbassò la voce:

— E.... quel matrimonio?...

— Ma niente! Quella donna non ha neanche voluto vedermi; ed è proprio diventata una signora. Vado, picchio alla porta: vien fuori una bellissima creatura, l’altra serva, lei la conosce, la figlia della maestra Saju....

— Conosco! Conosco!

— Va bene. — C’è Marielène? — Ora vado a vedere. Chi è lei? — Un suo compaesano. — La ragazza va, ritorna: — non è in casa. — E c’era, così Dio mi assista. — Torno ancora. La ragazza si mette a ridere, io le dico: — Va, e di’ a quella signora che c’è un suo compaesano, Predu Maria Dejana. — Ma la ragazza doveva [p. 86 modifica] aver già ordine di non ricevermi perchè mi rispose pronta: la mia compagna non è in casa. Mi dispiace, non c’è. — Allora mi sono arrabbiato. Avevo sì o no ragione? Aspetta, te la faccio io, dico fra me. Esco, aspetto che Sebastiana vada fuori, picchio di nuovo; vedo una testa alla finestra, ma nessuno apre. Allora dissi fra me: andate al diavolo tutti; forse è meglio così. Tuttavia, per contentare chi mi aveva messo in mente l’idea di riavvicinarmi a Marielène, cercai ancora di vederla e le scrissi. Nessuna risposta. Aspettai che ella uscisse, ma mi dissero che non va mai fuor di casa. Adesso non voglio più sentirne a parlare, voglio vivere tranquillo, onestamente, guadagnarmi un pezzo di pane e mangiarmelo. Tanto, quel che ha da accadere accadrà! È inutile combattere, il nostro destino non è dentro il nostro pugno!

Egli guardò entro il suo pugno, quasi per accertarsi che era vuoto davvero; e per distrarlo Bruno lo condusse nella dispensa, consigliandolo di fornirsi del necessario per la giornata. Predu Maria prese un pane nero, un po’ di formaggio e un’aringa, e domandò se c’era acquavite. Ce n’era, ma i lavoranti non potevano prenderne che una piccola quantità per giorno. [p. 87 modifica]

Egli dovette contentarsi di questa piccola quantità, e quando seppe che gli veniva segnata a conto, per un valore triplo dell’usuale, sebbene conoscesse la feroce speculazione delle dispense, guardò fisso Lorenzo e disse con disprezzo:

— Il boia si accosti! Vuol dire che l’acquavite è più salata dell’aringa. Neanche a Parigi è così cara la roba!

Invece di offendersi, Lorenzo sollevò le palpebre e fissò il suo grande occhio dolce in viso al nuovo «lavorante».

— A Parigi si sta meglio che qui, figlio mio! — disse, avvolgendo un pezzo di lardo in una carta unta. — Bisogna che ci decidiamo a viver là! Cosa ne pensi?

— Te lo dirò posdomani!

Bruno aspettava, per condurre il Dejana al lavoro, e nell’attraversare la radura gli fece notare che le raschiatrici sollevavano la testa per osservarli. Predu Maria disse con sarcasmo:

— Forse si accorgono che sono un proprietario caduto in miseria!

Infatti, benchè poveramente vestito egli conservava un aspetto diverso da quello dei soliti scorzini.

— Belle ragazze, eh! — riprese dopo aver guardato le povere donne coperte di stracci. — Non rassomigliano certo a Sebastiana! [p. 88 modifica]

— Mi pare che Sebastiana le piaccia di molto! — esclamò Bruno con insolita vivacità.

Allora Predu Maria, che aveva già la scure in mano ma esitava e pareva si vergognasse a cominciare l’umiliante lavoro, gli fece una confidenza.

— Un tempo le donne mi piacevano molto. Ma adesso, psss! — soffiò, e sollevò in alto l’indice roteandolo come per indicare un cirro di fumo che sale e svanisce. — Nè esse mi guardano, nè io le guardo!

— All’amico Antonio Maria piacciono ancora!

— A lui sì! Sarebbero la sua rovina, se egli non fosse già rovinato!...

Parlando del suo amico, il Dejana guardava la scure e corrugava la fronte; e rimasto solo fissò l’albero con uno sguardo pieno di tristezza e di umiliazione. Sì, forse Antonio Maria non aveva torto; quel lavoro, il più umile dei lavori, non era per gli uomini della loro razza. Veramente Predu Maria Dejana aveva un tempo considerato degradante, per un uomo abile e non stupido, qualsiasi lavoro manuale; e adesso, trovandosi davanti al tronco che pareva aspettasse con impassibilità stoica i colpi della scure, egli sentiva tutta la [p. 89 modifica] sua degradazione. Per un momento parve che l’albero e l’uomo, discendente di una razza che forse un giorno aveva considerato la pianta quasi come un essere amico e protettore, stessero l’uno di fronte all’altro come due amici diventati nemici.

Ma dopo un attimo di esitazione l’uomo sollevò la scure e pensò:

— Forse anche questo è un castigo.

La pianta fremette e le sue foglie caddero come lagrime. E il picchio dell’accetta di Predu Maria si fuse col rumore delle altre scuri, e a poco a poco egli si abituò, non al suo lavoro, ma alla sua umiliazione.

Cadde la sera; egli sedette davanti a una delle capanne e svolse il fazzoletto ove teneva le sue scarse provviste; ma non aveva fame e sentiva una grande stanchezza, un amaro senso di abbandono: e nessuno degli altri poveri «lavoranti» le cui figure si movevano nel crepuscolo come ombre melanconiche, gli sembrava più misero e più solo di lui. Ma a un tratto una voce lo chiamò: egli balzò in piedi e vide Bruno che passava dietro la capanna e lo invitava a seguirlo. Andarono sotto la tettoia e sedettero intorno al rozzo tavolo su cui Lorenzo aveva già preparato le carte e una bottiglia di vino. [p. 90 modifica]

— Lei gioca, Dejana? — domandò Bruno. Lorenzo li guardò e si mise a ridere.

— E datevi del tu, immondezze!

Nonostante le sue ingiurie, i suoi sarcasmi e il suo tono aggressivo, egli riuscì a farsi ascoltare benevolmente da Predu Maria; e come tutte le persone il cui avvenire è oscuro, entrambi parlarono del loro passato. Una volta, da ragazzo, il Dejana era stato con suo padre ad una festa campestre nei dintorni del paese di Lorenzo.

— C’era un vecchio, mi ricordo. Egli aveva una paralisi alla faccia e quando parlava, l’angolo della bocca gli toccava l’orecchio. Ed ecco, la notte prima della festa sognò il Santo, che gli ordinava di calarsi nel pozzo accanto alla chiesa. L’indomani egli vi si fece calare, entro una coffa1. La gente si ammucchiava intorno al pozzo come gli acini d’un grappolo attorno al raspo. A un tratto un urlo salì dalla folla: il vecchio, tirato su, appariva livido e gelato e come morto entro la coffa grondante acqua; ma all’improvviso si alzò e si mise a ridere; e la sua bocca non era più storta. Egli era guarito.

Lorenzo ascoltava con attenzione, e il [p. 91 modifica] suo occhio brillava di gioia. Tuttavia disse:

— Forse avrai sognato! Io non ricordo questo fatto.

— Tu eri piccolo, allora; ti giuro che il fatto è vero. È stato certo un miracolo, come quelli che accadono a Lourdes.

Al nome di Lourdes Lorenzo si fece pensieroso, e a un tratto, come seguendo un pensiero segreto, disse:

— Se avrò denari, un giorno o l’altro ci andrò.

E gli altri due capirono che egli sperava di riaver miracolosamente l’occhio. Ma dopo un momento egli riprese il suo accento beffardo, e raccontò che una volta, da ragazzetto, aveva pregato e digiunato per ottenere una grazia.

— Anche mia madre andava in pellegrinaggio, coi capelli sciolti, e faceva elemosine per ottenere questa grazia. Niente! Dio non esiste, o è sordo come un badile!

Predu Maria lo fissava coi suoi occhi scintillanti, e sebbene ricordasse che anche lui aveva pregato invano il cielo perchè la sua famiglia venisse liberata dal mostro che la tormentava, disse con fede:

— Egli solo lo sa quello che fa! Altrimenti non sarebbe Dio. Se egli dovesse fare tutto quello che gli domandiamo, [p. 92 modifica] sarebbe come un padre che accondiscende a tutti i capricci dei suoi figli.

— Sembri un prete, figlio caro; scommetto che giocare a carte ti sembra peccato mortale!

Infatti era così, ma per non passare per troppo stupido Predu Maria giocò e vinse. La posta dopo la prima sera era aumentata; e Bruno aveva preso gusto a giocare perchè vinceva spesso.

Durante la partita il discorso cadde ancora su Sebastiana, e siccome Bruno ripeteva ciò che aveva sentito raccontare dal capo‐macchia anziano, che cioè la maestra Saju minacciava di querela chiunque osasse tentare di sedurre sua figlia, Lorenzo ricominciò a ridere con sarcasmo.

— Oh perchè ridi? Anche tu sapevi questo fatto: o sai forse qualche altra cosa? — insisteva Bruno.

— Io? Niente. Rido perchè ne ho voglia.

Ma il capo‐macchia insolitamente irritato cominciò a difendere la maestra Saju e Sebastiana e Marielène.

— Voi fate presto a disprezzare, a sospettare. Elena, per esempio, Elena, per voi è una donna perduta. Secondo me invece, è più onesta di molte mogli legittime. Vive con un uomo onesto, lavora, non fa del male a nessuno. Sappiamo noi [p. 93 modifica] quali circostanze l’hanno condotta ad unirsi al Perrò? Secondo me, poi, essa non è una donna felice. Forse la sua esistenza è tutta di sacrificio....

Predu Maria non rispose, ma quando andò a coricarsi, in una delle capanne abbandonate dai toscani, ringraziò il Signore di avergli fatto trovare compagni amabili e onesti come Bruno e Lorenzo. Per qualche momento egli si sentì quasi felice. Dunque c’era della gente onesta che aveva pietà dei caduti, dei vinti; gente che cominciava a volergli bene, a trattarlo come un proprio simile. Egli non disperava di farsi perdonare anche da Dio; gli sembrava che Egli vedesse entro il suo cuore, Egli che guarda attraverso le tenebre degli errori umani come le stelle guardavano attraverso i rami della capanna: e si addormentò facendo buoni proponimenti e dicendo a sè stesso come ad un amico ravveduto:

— Lavorerai, Predu Marì, andrai di bosco in bosco, finchè le forze ti reggeranno. Vivrai sempre così, in una capanna, come gli eremiti. Quando sarai vecchio il Signore penserà a te: non ha pensato anche ad Elia nel deserto?


Note

  1. Cesta di virgulti.