Il nostro padrone/Parte prima/II

II

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II.

— Mio padre era un uomo benestante, — raccontò Predu Maria Dejana, — un proprietario quasi ricco, un galantuomo che tutti onoravano: morì giovane, lasciando noi figli in tenera età. Era questo il suo destino! Egli non aveva altro pensiero che la sua famiglia, e morì quando la sua famiglia aveva maggior bisogno di lui! Quelli che non credono in Dio ci dicono: ecco che cosa fa il vostro Dio! Io però credo a quello che diceva mio zio prete, che cioè ogni cosa sia prestabilita, [p. 14 modifica] nella mente di Dio. I suoi fini? Egli solo lo sa: noi non possiamo saperlo. Altrimenti, se noi non ci spieghiamo così le cose, diventiamo pazzi. Egli è il nostro padrone, e il padrone non è obbligato a dar schiarimenti ai suoi servi.

Il capo-macchia fece segno di sì; anche lui credeva in Dio. Ma non approvò quest’altra ipotesi del Dejana:

— Ed è appunto quando noi ci dimentichiamo di Dio, quando noi vogliamo far giustizia da noi stessi, è appunto allora che diventiamo pazzi. Quando noi, per esempio, commettiamo una cattiva azione, o un delitto....

— Ebbene, bisogna appunto frenarsi, — disse con calma alquanto sprezzante il capo-macchia, bisogna esser sempre padroni di noi stessi. Dio è il nostro padrone, sì, ma un pochino dobbiamo esserlo anche noi....

— Impossibile!

— Basta calcolare le conseguenze, esser prudenti, pazienti, compatire.... tollerare....

Ma il Dejana rise, col suo riso goffo pieno di amarezza e riprese a raccontare la sua storia. Sua madre, rimasta vedova, s’era lasciata ingannare e truffare da molte persone.

— L’ultimo inganno di cui fu vittima fu il suo matrimonio con un mercante di [p. 15 modifica] Luras, di quelli che viaggiano con tre o quattro pezze di tela e panno sull’omero, e il metro in mano!

Egli pronunziò queste parole con disprezzo e rabbia; e al ricordo del patrigno il suo viso si rannuvolò.

— Mia madre era una donna saggia, buona, religiosa; amava i figli come può amarli una santa, eppure fu la loro rovina. Il Lurisincu, il nostro patrigno, era un mostro di malvagità, e fu il mio tormento, la mia sventura. Era destino anche questo! Egli si stabilì nel paese e dilapidò le nostre sostanze. In ultimo mia madre fu costretta a vendere tela e berrette in una botteguccia di panno1 ultimo avanzo della nostra fortuna. Egli bastonava a sangue noi figliastri, ed anche i bambini nati da lui e da mia madre. Era una bestia; da un uomo simile io non potevo certo ricever buoni esempi.

Il capo-macchia ascoltava e taceva, e solo dopo che il suo compagno ebbe finito di raccontare tutti i guai della sua disgraziata famiglia, domandò se il patrigno era vivo ancora.

Predu Maria sospirò:

— È morto! [p. 16 modifica]

Attraverso il velo mobile della pioggia che cominciava a cadere, si scorgevano le prime case di Nuoro; allo svolto della strada apparvero tre alberi, curvi sul paracarri, quasi intenti a guardare lo sfondo roccioso del paese e le lontananze della valle grigia di vapori; poi la vettura si avanzò nel silenzio della Via Majore, fra due file di casette addormentate. Solo una donna col busto avvolto nella tunica e un’anfora di latte sul capo, si scansò mentre la diligenza si fermava davanti a un portone spalancato.

Il capo-macchia saltò svelto a terra, coi suoi sacchetti infilati al braccio, aprì l’ombrellone e aiutò Predu Maria a scendere.

— Se vuole posso accompagnarla. Si appoggi a me, — gli disse bonariamente prendendogli il braccio. — Venga, venga, non perdiamo tempo, se no ci inzuppiamo per bene.

— Ebbene, Dio glielo paghi! — esclamò Predu Maria commosso da tanta gentilezza.

Impiegarono un buon quarto d’ora per arrivare alla casa del Moro.

Predu Maria sentiva acutissimi dolori al piede, ma si trascinava stoicamente senza lamentarsi; arrivati sotto l’arco del Seminario, allagato da un rigagnolo di fango che scendeva dal rialzo ove sorge [p. 17 modifica] la Cattedrale, il Papi dovette però sostenerlo con più forza per aiutarlo a passare; e quando furono più su gli domandò:

— Il Moro Antonio Maria è quello che è stato condannato per firme false?

La domanda era fatta con accento calmo e senza intenzioni offensive; tuttavia il Dejana rispose vivacemente:

— Ma che firme false! È stata tutta una calunnia, una trama di nemici.... di testimoni pagati.... Una disgrazia....

— Sempre così.... per voi! Tutti i reati son disgrazie!

— Son dunque fortune? Del resto, Antonio Maria Moro non ha bisogno di rubare! È ricco; la sua nonna è una delle donne più benestanti di Nuoro....

— Ma lo ha cacciato fuori di casa, dopo quell’affare! Aveva falsificato anche la firma di lei.... che non sa scrivere!

Questo particolare fece ridere il Dejana. Ah, quell’Antonio Maria! Egli lo ammirava! Generoso, senza vizi, commetteva il male per aiutare gli altri, mentre per conto suo menava una vita quasi di stenti.

Che quest’uomo generoso vivesse modestamente, i due nuovi amici se ne convinsero nel vederne l’abitazione.

Un cortiletto recinto da un muro in rovina precedeva una specie di portico [p. 18 modifica] primitivo composto di tre archi in muratura coperti da un tetto nella stessa condizione del muro di cinta. In fondo al cortile un sambuco già coperto di foglie ombreggiava un pozzo; e sulle pietre di questo, come sul tetto e sui muri, cresceva il musco umido e verde. Il luogo pareva disabitato, ma appena i due visitatori furono nel portico un uomo s’affacciò alla porticina d’ingresso, guardò il Dejana e scoppiò a ridere.

— Predu Maria Dejana! Chi si vede! Quando sei arrivato, buona lana?

— Proprio adesso!

— Che hai fatto a quel piede?

— Me l’ho storto.

— Come l’anima tua, allora!

Il capo-macchia lasciò che il Dejana entrasse, e salutò per andarsene; ma Antonio Maria con un gesto energico gli accennò di avanzarsi.

— Avanti! E tanto so chi sei!

Attraversarono una stanzetta d’ingresso che pareva una cantina, umida, ingombra di tini, di botti, di pajuoli di rame, di decalitri e d’imbuti, ed entrarono in una seconda stanza vasta e bassa che serviva da camera da letto e da cucina. Il fuoco ardeva nel camino, e da una piccola finestra si scorgeva una roccia di granito, [p. 19 modifica]sola in un paesaggio umido e verde; alcune goccie di pioggia cadevano dal tetto di canne sostenuto da fusti di pioppo.

— So chi sei! — ripetè Antonio Maria, sostenendo il Dejana, ma rivolto al capo-macchia, e minacciandolo scherzosamente con un dito. — E diglielo pure, al tuo padrone, che jaja2 mia la sua tanca3 non gliela vende. Per sotterrarcelo, se la vuole! E dunque, che abbiamo fatto a questo piede, Pedru Maria Dejà? Io non ti aspettavo fino a domani; ma si vede che quando zoppichi vai più svelto di quando sei sano!

— Correvo con otto gambe! Ma senza questo bravo ragazzo a quest’ora sarei sepolto nel fango come una cipolla!

I due risero ancora, e il capo-macchia osservò che il loro modo di ridere, di parlare, di muoversi, era quasi identico. Parevano due fratelli, tanto si rassomigliavano persino nel modo di vestire. I loro visi eran segnati dalle impronte della medesima razza; profilo irregolare, fronte mobile, mascelle forti e sporgenti; però Antonio Maria, calvo e coi capelli rasi, la nuca forte e grassa, sembrava il più [p. 20 modifica]vecchio dei due; le sue mani rossastre parevano tinte di mosto ed esalavano un odore non sgradevole di acquavite all’anice.

Egli fece sedere il Dejana accanto al fuoco, gli battè una mano sulla spalla e si curvò ad esaminargli il piede slogato.

— Adesso viene mia nipote; la manderò subito a chiamare la maestra Saju.... Tu la conosci? — domandò al capo-macchia. — Quella è brava ad accomodar le ossa!

Il forestiere accennò di sì; conosceva quasi tutti, a Nuoro.

Intanto il Dejana raccontava le sue disgrazie di viaggio, la vana ricerca del fantastico cavallino, lo slogamento del piede, i modi da turco del vetturino, l’ajuto insperato del signor Bruno Papi, signor Bruno, vero?

— Bruno, solo Bruno, — rispose il capo macchia, respingendo il bicchierino di acquavite che Antoni Maria gli offriva.

— Tu devi bere, com’è vero Cristo. Altrimenti mi offendo!

— Mi dispiace, non posso. Sono astemio.

— Che uomo sei tu, allora? Scommetto che ti piace il caffè come alle donne.

— Mi piace, sì!

— Non ne ho! Se tu però ritorni, più tardi, faremo i maccheroni. Quelli almeno ti piacciono! [p. 21 modifica]

Bruno capì che doveva andarsene; si alzò quindi, strinse la mano al Dejana e gli disse:

— Non potrò forse ritornare fino a stasera; così le darò una risposta.


Note

  1. Negozio di stoffe.
  2. Nonna.
  3. Vasta estensione di terreno per lo più destinata a pascolo.