Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 20 — |
chio dei due; le sue mani rossastre parevano tinte di mosto ed esalavano un odore non sgradevole di acquavite all’anice.
Egli fece sedere il Dejana accanto al fuoco, gli battè una mano sulla spalla e si curvò ad esaminargli il piede slogato.
— Adesso viene mia nipote; la manderò subito a chiamare la maestra Saju.... Tu la conosci? — domandò al capo-macchia. — Quella è brava ad accomodar le ossa!
Il forestiere accennò di sì; conosceva quasi tutti, a Nuoro.
Intanto il Dejana raccontava le sue disgrazie di viaggio, la vana ricerca del fantastico cavallino, lo slogamento del piede, i modi da turco del vetturino, l’ajuto insperato del signor Bruno Papi, signor Bruno, vero?
— Bruno, solo Bruno, — rispose il capo macchia, respingendo il bicchierino di acquavite che Antoni Maria gli offriva.
— Tu devi bere, com’è vero Cristo. Altrimenti mi offendo!
— Mi dispiace, non posso. Sono astemio.
— Che uomo sei tu, allora? Scommetto che ti piace il caffè come alle donne.
— Mi piace, sì!
— Non ne ho! Se tu però ritorni, più tardi, faremo i maccheroni. Quelli almeno ti piacciono!