Il nonno/Il sogno del Pastore

Il sogno del Pastore

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Ballora La Lepre

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Il sogno del Pastore.

È la notte di Natale, ma sembra una notte d’autunno, fresca e diafana. La luna illumina la pianura solitaria. Un corso d’acqua, qua largo, là stretto, serpeggia fra le stoppie nere, e sparisce luccicando all’orizzonte, ove pare che vada a gettarsi silenzioso in un mare di vapori azzurri, in un vuoto lontano.

Sono le prime ore della notte. Il pastore guarda le greggie pascolanti. Gialle e nere alla luna, le pecore assonnate vanno melanconicamente per la pianura cercando l’erba fredda sotto i cespugli, lungo le muricce coperte di musco; e i loro campanacci dondolano e suonano una strana musica, monotona come una cantilena, che va e viene e squilla e trema argentina col lento sbandarsi della greggia, animando e nello stesso tempo rendendo più intenso il silenzio della pianura.

Il pastore guarda; e sogni selvaggi passano nei suoi occhi.

Egli è sceso dalle aspre montagne natìe, i cui freddi pascoli, odorosi di tirtillo e di timo nelle splendide primavere, ora son coperti di neve se[p. 142 modifica]gnata dalle orme delle lepri fuggenti e dei mufloni dai languidi occhi.

Il pastore ha lasciato gli alti pascoli ai primi soffi autunnali, ed è calato alla pianura con la sua greggia, i suoi cani, il suo sacco, — lungo mantello d’orbace ch’egli getta sul capo e allaccia sotto il mento — col suo cavallo, i suoi arnesi di sughero, i suoi cucchiai d’unghia di pecora, e con la sua provvista di pane d’orzo per tutto l’inverno.

Egli è un nomade, ma ha una numerosa famiglia stabilita nell’alto villaggio delle montagne.

Mentre guarda le pecore al pascolo, egli ha negli occhi la visione della rozza casa ove i suoi cari passano il rude inverno; ecco, dietro i vapori luminosi della luna sorgono le vette argentee della montagna e sotto le candide conche abitate dal muflone splendono i lumi del piccolo paese. La casa del pastore è di pietra e di legno, e nell’ampia cucina fuma l’antico focolare di pietra, e sul fuoco di tronchi bolle una grande pentola nera.

La casa del pastore è ricca; v’è legna, lardo, patate, fagiuoli. Le donne del pastore hanno lavorato tutto l’anno negli orti, irrigando i solchi, hanno raccolto le castagne e le noci nei boschi, e sgranato i fagiuoli violetti tigrati di nero.

La casa è ricca, e la figliuola primogenita, grassa e rossa nel suo stretto costume di orbace, è fidanzata ad un uomo che a sua volta raccoglie molto orzo e frumento.

Tuttavia il maggiore, cioè il capo della famiglia, smarrito nella solitudine della pianura, sogna il [p. 143 modifica]giorno in cui egli sarà tanto ricco da avere un servo che gli custodisca le greggie.

Ah, egli allora non dovrà più perdere i capelli per salvare le sue pecore. S’arrangi il servo, e se una sola pecora va smarrita guai a lui!

Egli, il pastore, allora davvero ricco, se ne starà seduto accanto al focolare, soffiando sul fuoco col suo bastone di sambuco, guardando ogni tanto entro la pentola, chiacchierando colle sue donne e sputando sulla cenere.

La sua barba sarà bianca e lunga; egli sarà grasso e rosso. Verrà il genero, ed entrambi si metteranno a cantare una gara estemporanea, bevendo ogni tanto vino e acquavite.

Ah, questa sarà la vera vita felice! Ma quanto tempo ancora occorrerà per arrivare alla realtà di questo sogno, quanti Natali ancora da passare lontano dalla famiglia, nella desolazione delle notti della pianura!

Non v’ha mezzo per abbreviare la rude via? Ebbene, sì, sì, c’è un mezzo; egli lo sa, egli v’ha pensato tutto il giorno. Nel pascolo limitrofo al suo c’è un altro pastore che vuol darsi al commercio del grano, e perciò ha venduto quasi tutto il suo gregge, e fra pochi giorni venderà il resto e se ne andrà.

Adesso è laggiù, al di là del fiume, e dorme entro la sua capanna, con la testa appoggiata ad una pietra, sotto la quale c’è una borsa di cuoio coi denari ricavati dalla vendita delle pecore.

Il nostro pastore pensa che sarebbe facile impresa andare laggiù e impadronirsi della borsa. [p. 144 modifica]

Ebbene, sì, egli andrà. La notte avanza: le pecore si ritirano una dietro l’altra nelle mandrie, e lentamente cessa il tintinnio dei loro campanacci dondolanti.

Il pastore siede davanti all’apertura della sua capanna, e pensa.

La luna cala sul limpido arco del cielo; il fiume va sempre silenzioso attraverso la pianura che tace. Un solo punto rosso brilla al di là del fiume; è il fuoco del pastore che ha venduto le sue greggie. L’uomo delle montagne guarda quell’occhio di fuoco e pensa alla bella vita che potrà menare fra un anno, alle canzoni estemporanee, ai bicchierini d’acquavite, al servo che guiderà le sue greggie.

Ebbene, sì, egli andrà. È tempo di farla finita con questa vita nomade, è tempo di vivere in famiglia, di passare il Natale in paese.

Egli andrà; egli va; egli cammina silenzioso, senza lasciar traccie, come la volpe; egli guada il fiume, egli è presso la capanna del pastore, è sull’apertura della capanna. Il pastore dorme, con la testa appoggiata ad una pietra; sotto la pietra ci deve essere, c’è la borsa. Il nostro pastore ha un momento di esitazione: poi entra, si curva sul dormiente e lo uccide; scosta il cadavere e solleva la pietra. [p. 145 modifica]

Orrore! Sotto la pietra, invece della borsa, c’è un mondo di vermi bianchi, schifosi, brulicanti sull’umida terra; i loro piccoli occhi maligni hanno uno strano bagliore verde.

Il pastore impallidisce, trema, fruga per tutta la capanna; la borsa non c’è, il suo delitto è stato inutile. Allora egli fugge attraverso la pianura, ma ha sempre davanti agli occhi la visione di quei vermi bianchi, brulicanti, dagli occhi verdi maligni.

Dopo lungo errare torna alla sua capanna; il suo cane rosso urla disperatamente alla luna, scuotendo la catena. Che è avvenuto?

Il pastore corre alle mandrie, e le mandrie sono vuote. Egli ascolta, ma il silenzio della notte è turbato solo dal rauco urlare del cane. Un sudore di morte gli bagna la nuca: orrende imprecazioni gli escono dal petto ansante. Egli è rovinato: durante la sua assenza ignoti predoni gli hanno rubato il gregge, e sono spariti senza lasciare tracce, come la volpe.

Urlando di rabbia, il pastore si getta fra le macchie, e corre e corre, e attraversa la pianura cercando il punto ove i ladri hanno guadato il fiume.

Ecco, forse è qui; i giunchi sono calpestati, l’acqua scarsa brilla riflettendo il cielo sereno e la tremolante luna.

Il pastore si tuffa nell’acqua, ma l’acqua non è così scarsa come sembrava; più egli avanza, più affonda: ecco, sino alle coscie, fino alla cintola, [p. 146 modifica]fino al petto, fino alla gola. Ah, egli è perduto, egli affoga; i suoi occhi non vedono più che una distesa d’acque gorgoglianti, cosparsa di vermi bianchi dagli occhi verdi lucenti.

Allora egli prova una terribile impressione, gli sembra di essere morto, di non poter più riveder i suoi cari, le sue montagne natie: gli sembra che per tutta l’eternità dei secoli egli debba restare, palpitante e cosciente, nella fredda profondità di quelle acque, tra quel mondo di vermi.

Una terribile disperazione lo vince; vuol muoversi e non può, vuol gridare e non può; fa uno sforzo supremo e si sveglia tremando, e si ritrova seduto sull’apertura della sua capanna, ove s’era addormentato pensando di andare a rubare la borsa del pastore vicino.

Per alcuni istanti egli vibra in tutta la persona, ancora oppresso dall’incubo. Poi, lentamente, torna alla realtà. Il suo gregge dorme nelle mandrie: laggiù, al di là del fiume, brilla rosso e tranquillo il fuoco del pastore. La luna cala nella notte serena.

Il pastore si alza, si scuote, ed una tristezza profonda gli copre il cuore. Gli sembra d’aver commesso davvero il delitto, e sente un grande rimorso, ed il presentimento di tristi cose.

Che farà per espiare? Come placherà l’ira del Bambino Gesù?

Ebbene, egli confesserà al pastore vicino la mostruosa idea e l’orribile sogno che ha avuto: poi scannerà tre pecore e ne distribuirà le carni ai poveri del più vicino villaggio. [p. 147 modifica]

L’indomani, il pastore vicino viene a visitar l’amico. E l’amico gli racconta l’orribile sogno avuto; ma non ha il coraggio di confessargli che ha davvero pensato d’ammazzarlo. Il vicino ride, ride anche il nostro pastore, poi entrambi scannano una pecora (tre, ha pensato bene l’amico, sono veramente troppe!) da distribuirsi ai poveri. Avvisati, i poveri vengono dal paese, si disputano le porzioni di carne, e tornandosene dicono:

— Che buon uomo è quel pastore! Perchè ha sognato di ammazzare un cristiano, ha scannato una pecora e l’ha data a noi poveri. Nostro Signor Gesù lo rimeriti.

Intanto nella capanna i due pastori amici, che hanno tenuto per loro le carni più delicate della pecora, fanno girare sulle brage gli schidioni di legno, e cantano vibrate strofe estemporanee, prendendo per argomento il sogno avuto, ma solamente il sogno.