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146 | grazia deledda |
fino al petto, fino alla gola. Ah, egli è perduto, egli affoga; i suoi occhi non vedono più che una distesa d’acque gorgoglianti, cosparsa di vermi bianchi dagli occhi verdi lucenti.
Allora egli prova una terribile impressione, gli sembra di essere morto, di non poter più riveder i suoi cari, le sue montagne natie: gli sembra che per tutta l’eternità dei secoli egli debba restare, palpitante e cosciente, nella fredda profondità di quelle acque, tra quel mondo di vermi.
Una terribile disperazione lo vince; vuol muoversi e non può, vuol gridare e non può; fa uno sforzo supremo e si sveglia tremando, e si ritrova seduto sull’apertura della sua capanna, ove s’era addormentato pensando di andare a rubare la borsa del pastore vicino.
Per alcuni istanti egli vibra in tutta la persona, ancora oppresso dall’incubo. Poi, lentamente, torna alla realtà. Il suo gregge dorme nelle mandrie: laggiù, al di là del fiume, brilla rosso e tranquillo il fuoco del pastore. La luna cala nella notte serena.
Il pastore si alza, si scuote, ed una tristezza profonda gli copre il cuore. Gli sembra d’aver commesso davvero il delitto, e sente un grande rimorso, ed il presentimento di tristi cose.
Che farà per espiare? Come placherà l’ira del Bambino Gesù?
Ebbene, egli confesserà al pastore vicino la mostruosa idea e l’orribile sogno che ha avuto: poi scannerà tre pecore e ne distribuirà le carni ai poveri del più vicino villaggio.