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142 grazia deledda

gnata dalle orme delle lepri fuggenti e dei mufloni dai languidi occhi.

Il pastore ha lasciato gli alti pascoli ai primi soffi autunnali, ed è calato alla pianura con la sua greggia, i suoi cani, il suo sacco, — lungo mantello d’orbace ch’egli getta sul capo e allaccia sotto il mento — col suo cavallo, i suoi arnesi di sughero, i suoi cucchiai d’unghia di pecora, e con la sua provvista di pane d’orzo per tutto l’inverno.

Egli è un nomade, ma ha una numerosa famiglia stabilita nell’alto villaggio delle montagne.

Mentre guarda le pecore al pascolo, egli ha negli occhi la visione della rozza casa ove i suoi cari passano il rude inverno; ecco, dietro i vapori luminosi della luna sorgono le vette argentee della montagna e sotto le candide conche abitate dal muflone splendono i lumi del piccolo paese. La casa del pastore è di pietra e di legno, e nell’ampia cucina fuma l’antico focolare di pietra, e sul fuoco di tronchi bolle una grande pentola nera.

La casa del pastore è ricca; v’è legna, lardo, patate, fagiuoli. Le donne del pastore hanno lavorato tutto l’anno negli orti, irrigando i solchi, hanno raccolto le castagne e le noci nei boschi, e sgranato i fagiuoli violetti tigrati di nero.

La casa è ricca, e la figliuola primogenita, grassa e rossa nel suo stretto costume di orbace, è fidanzata ad un uomo che a sua volta raccoglie molto orzo e frumento.

Tuttavia il maggiore, cioè il capo della famiglia, smarrito nella solitudine della pianura, sogna il