Il mio delitto/XII
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XII.
Se la cornice è la stessa, il quadro é molto cambiato. Il salottino Luigi XV non risuona più di allegre risate e di progetti per l’avvenire, e al posto consueto non sorridono più i begli occhi che mi facevano tanto bene.
Sento intorno a me un vuoto come quando ho perduto mio padre e mi par d’essere un’altra volta sola nel mondo. So che non ritroverò più la spensierata vivacità che mi facea correre con entusiasmo alle feste ed ai teatri; mi danno noia i colori vivaci e mi rincresce lasciare il lutto che ho adottato dopo la morte della mia amica.
Guai se non avessi il sorriso d’un’altra Margherita, la mia figlia. e quello d’Albertino, il figlio della mia povera amica!
Mi dedico ad essi interamente: ho, è vero, questa missione nella vita che mi sostiene, ma sono ancor giovane e avrei io stessa tanto bisogno d’appoggio e di protezione!
Ho un grande aiuto nel barone Ruggeri, ma egli è troppo compreso dei suoi doveri verso il proprio figliuolo per occuparsi molto di me. In ogni modo quando siamo riuniti coi nostri figli nel solito salottino, passiamo dei momenti meno tristi. Ci sforziamo a sorridere per i nostri bimbi e qualche momento diventiamo bimbi anche noi per giocare con loro.
La nostra gioia è seguire attentamente il risvegliarsi di quelle intelligenze bambine, di scoprire ogni giorno nuovi progressi e di raccontarci reciprocamente le nostre scoperte.
Quando son venute le bambinaie a portarli via per metterli a letto e restiamo soli, facciamo dei serii discorsi sul modo di educarli e sul loro avvenire, e ci par di sentire aleggiare intorno a noi lo spirito buono di Margherita che ci approvi e sorrida.
Non è più il dolore profondo dei primi giorni, ma la sua memoria è sempre viva in noi, e se di lei non parliamo per non rattristarci a vicenda, essa è spesso il soggetto dei nostri pensieri.
Qualche volta vien anche mio marito a partecipare ai nostri discorsi e a giocare coi bimbi, ma quella vita tranquilla non è fatta per il suo spirito irrequieto; dopo mezz’ora, i bimbi lo annoiano e sente il bisogno di allontanarsi in cerca di altre emozioni. La società è il suo elemento e quando ha tentato di trascinarmi nuovamente nel suo ingranaggio se ne va dicendo:
— La miglior cosa è seguire il proprio gusto, a te piace stare a casa come una reclusa: buon divertimento! io me ne vado.
È un fatto che la società mi annoia: se da ragazza rimanevo abbagliata dallo splendore delle sale illuminate, dalle signore vestite elegantemente e coperte di gemme cogli sguardi affascinanti, ormai sotto a tutto quello scintillio non vedo che menzogna e mi fanno stizza quei ritrovi dove si apprezza di più un vestito elegante che un cuore sincero.
Ma le mie amiche non mi lasciano in pace e cominciano a bersagliarmi: dicono che è una posa la mia, che non s’è mai visto ritirarsi dal mondo per la morte d’una amica, e portarne il lutto per anni, e che devo avere il cervello poco equilibrato per andare a simili esagerazioni. Quelle che mi sono rimaste più fedeli vengono di tanto in tanto a tentarmi di riprendere la mia vita
cordelia. Il mio delitto | 8 |
di prima. Amelia Gandini, figlia d’un avvocato di provincia, alla quale non par vero d’esser stata balzata, causa un ricco matrimonio, nell’alta società, dove si diverte un mondo col suo carattere allegro, viene spesso ad esortarmi a lasciare la mia vita tranquilla, dicendo:
— Proprio non ti posso permettere di stare rinchiusa fra quattro mura, voglio che tu venga con me al prossimo ballo; alla tua età e nella tua condizione è un dovere prender parte alla vita mondana, e poi quella vita piace a tuo marito e lo sai l’articolo del codice: la moglie deve, ecc.
— Se tu lasci la società, essa si dimenticherà di te, — mi susurra Ida Silvani.
— Perché si nasconde quando potrebbe regnare? — diceva il capitano Roberti; — badi che se lascia libero il campo mormoreranno di lei.
La baronessa Sanvitale, una bella bruna dagli occhi sentimentali, è la sola che mi dà ragione.
Essa capita spesso a vedermi nella mia solitudine ed ha tentato inutilmente di occupare nel mio cuore il posto rimasto vuoto dalla morte di Margherita, essa mi approva dicendomi:
— Come fai bene a non dar retta alle chiacchiere e a startene tranquilla! Non c’è di vero che le gioie e gli affetti di famiglia. Che cos’è mai la società? Un’unione di gente che s’annoia insieme, un impasto d’invidiuzze, di pettegolezzi, di maldicenza. Te beata che hai avuto il coraggio di rinunciarvi!
Ella così predicava, ma intanto era di tutte le feste; non c’era pericolo che ne lasciasse una, e vi andava facendo la vittima. Io non la poteva soffrire, mi pareva ipocrita, quantunque tutti la dicessero una perfezione, un modello di bontà e di virtù.
Io resisto per molto tempo a tutte le preghiere e a tutte le tentazioni e non so decidermi ad abbandonare la mia vita tranquilla.
Però è qualche tempo che anche Ruggeri mi consiglia a riprendere la vita mondana; io non lo capisco, forse teme che io mi sacrifichi per lui e per i bimbi, e vuol gareggiare in generosità.
È certo che se non dò retta alle chiacchiere delle amiche, la sua insistenza mi fa pensare.
Una sera abbiamo avuto su questo argomento un lungo discorso.
Avevamo mandati a letto i bambini e si parlava delle feste e degli spettacoli del prossimo carnevale; tutt’a un tratto egli disse:
— Ma è proprio vero che volete vivere ritirata anche quest’anno? Vi confesso che fate molto male e se volete un consiglio sincero, da amico, è di riprendere la vita di società.
— Ma se non mi diverto più, se m’annoio?
— Vi annoiate perchè ne avete perduta l’abitudine; ma date retta a me, face uno sforzo, ritornate in società e vi troverete contenta.
Io crollavo il capo con incredula e non capivo perchè mettesse tanta insistenza a farmi uscire dal mio guscio.
— Guardate, — soggiunsi io, — non saprei davvero che andarci a fare.... Far tappezzeria è troppo presto, ballare non ne ho più voglia.
— E perchè avete perduta l’abitudine; poi c’è la musica.
— Dio mio! non mi parlate di musica, — replicai, — è la cosa per me più sublime, ma anche la più terribile: la buona musica non si sente tanto spesso, e l’altra è uno strazio, un inferno dal quale non ci si può salvare; si può fuggire da un seccatore alzandosi e andando in un’altra sala, ma per la musica non c’è scampo, ci perseguita, ci insegue, ci strazia, e poi per giunta bisogna applaudire e ringraziare. Chi ci salva al giorno d’oggi dagli strimpellatori di note? No, no, preferisco la mia casa e la vostra compagnia.
Egli fece un inchino, e rispose:
— Vi sono molto obbligato per quello che mi risguarda, ma mi rincresce vedervi così disillusa e stanca della vita alla vostra età. In società vi sono divertimenti per tutti i gusti; per quelli che non vogliono saperne di musica e di ballo c’è sempre la conversazione ed il gioco.
— È vero, — diss’io, — la solita conversazione frivola e monotona, e il tavolino da gioco. Capisco, quello è almeno un porto di salvezza, un rifugio per quanti hanno qualche cosa da dimenticare: i vecchi, le gioie della gioventù; gli uomini d’affari, i fastidi della giornata. Intorno al tavolino da gioco non c’è bisogno di parlare, né d’aver dello spirito, il gioco é un modo pei ricchi di vuotare le tasche, e pei poveri una speranza di riempirle, è un’occupazione, è un divertimento, ci si può trovare l’obblio e delle emozioni; ma io ho la disgrazia che se prendo in mano le carte muoio dal sonno.
— Avrete anche ragione, ma una signora come voi ha dei doveri verso la società e non può privarla della sua presenza, poi a Manfredi piace quella vita, avete una figlia da condurvi un giorno o l’altro, e non sta bene a questo mondo far diversamente da quello che fanno gli altri.
— Ecco, sempre sacrificarsi e mai poter fare quello che piace. È una schiavitù. una vera noia! — esclamai.
— E poi, — soggiunse ripigliando il filo del suo discorso, — che cosa sapete voi del mondo e della società che avete appena intravveduta o vista come la può vedere una ragazza o una sposa di diciott’anni? Siete ancora troppo giovane e vi assicuro che non è permesso ad una donna della vostra età ritirarsi dal mondo senza una ragione potente.
Ci fu qualche minuto di silenzio, ma le parole di Ruggeri mi fecero pensare. Forse temeva ch’io volessi far quella vita per lui e per i bimbi, come era stato il mio primo pensiero, forse invece era lui che avea desiderio di ritornare nel mondo e non osava farlo prima di me; mi balenò anche l’idea che la gente trovasse a ridire della mia vita ritirata e che ciò gli facesse dispiacere.
— Insomma, — conclusi col dire; — già che ci tenete tanto, voglio contentarvi; ma badate che dovete venir anche voi a farmi da cavaliere.
—— Per me è differente, alla mia età. se n’è già avuto abbastanza; però se vi fa piacere ci verrò, non foss’altro per rifugiarmi intorno al tavolino da gioco.
—— Dunque siamo d’accordo, — diss’io; — nella prossima stagione i giornali potranno annunciare ai quattro venti che la contessa Ilda Manfredi è ricomparsa sulla scena del mondo e siate pur certo che le amiche poco benevole diranno che sono rimasta nascosta tutto questo tempo per fare maggior effetto.