CXXXI. Della città che si chiama Quisai (Quinsai)

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CXXXI. Della città che si chiama Quisai (Quinsai)
CXXX CXXXII

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CXXXI (CLII)

Della cittá che si chiama Quisai (Quinsai).

Quando l’uomo si parte della cittá di Cinga (Cianghan), e’ va tre giornate per molte belle cittá e castella ricche e nobile, di grande mercatanzie e artefici; e sono idoli, e sono al Gran Cane, e hanno moneta di carte; egli hanno da vivere ciò che bisogna al corpo dell’uomo. Di capo di queste tre giornate si si truovanota la sopra nobile cittá di Quisai, che vale a dire in francesco «la cittá del cielo»: e conterovvi di sua nobiltá, peroch’ella è la piú nobile cittá del mondo e la migliore. E dirovvi di sua nobiltá, secondo che il re di questa provincia inscrisse a Baiam, che conquistò questa provincia delli Magi; e questi lo mandò a dire al Gran Cane, percioch’egli, sappiendo tanta nobiltá, nolla farebbe guastare; ed io vi conterò per ordine ciò riscrittura conteneva: e tutto è vero, peroch’io Marco il viddi poscia co’ miei occhi. La cittá di Quisai dura in giro di cento miglia, e hae dodicimila ponti di pietra; e sotto la maggiore parte di questi ponti vi potrebbe passare sotto l’arco una gran nave, e per gli altri bene mezza nave. E niuno di ciò si maravigli, percioch’ella èe tutta in acqua e cerchiata d’acqua, e [p. 175 modifica] però v’ha tanti ponti per andare per tutta la terra. In questa cittá v’ha dodici arti, cioè d’ogni mestiere una; e ciascuna arte hae dodicimila istazioni, cioè dodicimila case; e in ciascuna bottega hae almeno dieci uomeni, e in tale quindici e in tale venti e in tale trenta e in tale quaranta1, non tutti maestri, ma discepoli. Questa cittá fornisce molte contrade. E havvi tanti mercatanti e si ricchi e in tanto novero, che non si potrebbono contare, che si credesse. Anche vi dico che tutti li buoni uomeni e le donne e2 li capi maestri non fanno nulla di loro mano, ma stanno cosí dilicatamente come se fossero re, e le donne3 come se fossero cose angeliche. Ed evvi uno ordinamento, che niuno puote fare altra arte che fece il padre: se ’l suo valesse centomila bisanti d’oro, non oserebbe fare altro mestiere. Anche vi dico che verso mezzodí hae uno lago che gira bene trenta miglia, e tutto dintorno ha belli palagi e case fatte maravigliosamente, che sono4 di buoni uomeni gentili; e havvi monisteri e badie d’idoli in grande quantitá. Nel mezzo di questo lago hae due isole: su ciascuna hae un molto bel palagio e ricco, si ben fatto che bene pare palagio d’imperadore. E chi vuole fare nozze o conviti, si ’l fa in questi palagi, e quivi è sempre fornito di vassellamenti e di scodelle e di taglieri e d’altri fornimenti. Nella cittá ha molte belle case e torri di pietra e spesse, ove le persone portano le cose quando s’apprende fuoco nella cittá, che molto ispesso vi s’accende, perchè v’ha molte case di legname5. Egliono mangiano tutta carne, cosí di cane come d’altre brutte bestie, e come delle buone: che per cosa del mondo niuno cristiano mangerebbe di quelle bestie ch’egli mangiono. Ancora vi dico che ciascuno de’ dodicimila ponti guarda dieci uomini di di e di notte,6 perchè niuno fosse ardito di rubellare la cittá. Nel [p. 176 modifica]mezzo della cittá v’hae un monte, ove hae suso una torre, ove istá suso sempre uno uomo con una tavoletta in mano, e davvi suso7 d’un bastone, che bene s’ode dalla lunga: e questo fa quando fuoco s’apprendesse nella cittá, o che mischia o battaglia vi si facesse. Molto la fa ben guardare il Gran Cane, percioch’è capo di tutta la provincia dei Magi, e perchè n’ha di questa cittá grande rendita, sí grande che a pena si potrebbe credere8. E tutte le vie della cittá sono lastricate di pietre e di mattoni; e cosí tutte le mastre vie delli Mangi, sí che tutte si possono cavalcare nettamente, ed a piede altresie. E ancora vi dico che questa cittá hae bene tremila9 istufe, ove prendono gran diletto gli uomeni e le femmine; e vannovi molto ispesso, perochè vivono molto nettamente di lor corpo: e sono i piú belli bagni del mondo e i piú grandi, che bene vi si bagnano insieme cento persone. Presso a questa cittá a quindici miglia è il mare occeano, ed è tra greco e levante. E quine è una cittá ha nome Giafu (Ganfu), ove ha molto buon porto,10 e havvi molte navi che vengono d’India e d’altri paesi. E da questa cittá al mare hae un gran fiume, onde le navi possono venire infino alla terra11. Questa provincia delli Magi hae partita il Gran Cane12 in otto parti, e hanne fatti otto reami grandi e ricchi, e tutti rendono ogni anno trebuto al Gran Cane. E in questa cittá dimora l’uno di questi re, e hae sotto sè bene centoquaranta cittá grandi e ricche. E sappiate che la provincia delli Magi ha bene milledugento cittadi, e ciascuna ha guardie per lo Gran Cane, com’io vi dirò. E sappiate che, in ciascuna di quelle, il meno che abbia si sono mille guardie: e di tale n’ha diecimila e di tale ventimila e di tale trentamila, sí che il numero sarebbe sí grande che non si potrebbe contare nè credere di leggieri. Nè non intendiate che quegli uomeni [p. 177 modifica]siano tutti tarteri: ma ve n’ha del Cattai; e non sono tutti a cavallo quelle guardie, ma gran partita a piede. La rendita del Gran Cane di questa provincia delli Magi non si potrebbe credere nè a pena iscrivere, e ancora la sua nobiltá. L’usanze de’ Magi sono com’io vi dirò. Egli è vero che quando alcuno fanciullo nasce, o maschio o femmina, il padre fa iscrivere il dì e l’ora e il punto e il segno e la pianeta sotto ch’egli è nato, sí che ogni uomo lo sa di sè queste cose; e quando alcuno vuole fare alcuno viaggio o alcuna cosa, vanno a’ loro astrolagi, in cui hanno gran fede, e fannosi dire lo loro migliore13. Ancora vi dico che, quando lo corpo morto si porta ad ardere, tutti i parenti si vestono di canovaccio, [cioè vilmente], per dolore: e vanno cosí apresso al morto, e vanno sonando loro istormenti, e vanno cantando loro orazioni d’idoli, E quando e’ sono lá ove il corpo si dee ardere, e’ fanno di carte uomeni e femmine, cavalli, danari, cammelli e molte altre cose; quando il fuoco è bene acceso, fanno ardere il corpo con tutte queste cose: e credono che quel morto, cioè colui, avrá nell’altro mondo tutte quelle cose da divero al suo servigio; e tutto l’onore, che gli è fatto in questo mondo quando s’arde, gli sará fatto, quando andrá nell’altro mondo, dagli idoli. E in questa terra èe il palagio del re che si fuggì, ch’era signore de li Magi, ch’è il piú nobile e il piú ricco del mondo; ed io ve ne dirò alcuna cosa. Egli gira dieci miglia, ed è quadro con muro alto e grosso, e attorno e dentro a questo muro sono molti belli giardini, ov’ha tutti buon frutti; ed havvi molte fontane, e piú laghi, ov’ha molti buon pesci. E nel mezzo si è il palagio grande e bello: la sala è molto bella, ove mangerebbono molte persone, tutta dipinta ad oro e ad azurro, con molte belle istorie; ond’è molto dilettevole a vedere, e per la [p. 178 modifica]copritura non si può vedere altro che dipintura ad oro. Non si potrebbe contare la nobiltá di questo palagio: egli v’ha venti sale tutte pari di grandezza, e sono sí grande che bene vi mangerebbono agiatamente diecimila uomeni14, e si ha questo palagio bene mille camere. E sappiate che in questa cittá ha centosessanta [mila di] «tomani» di fumanti, cioè di case; e ciascuno tornano è dieci (mila) case fumanti: la somma si è un milione seicentomila di magioni abitanti, nelle quali ha gran palagi. E havvi una chiesa di cristiani nestorini solamente. Sappiate che15 ciascuno uomo della cittá e di borghi hae iscritto in su l’uscio lo nome suo e di sua moglie e de’ figliuoli e de’ fanti e degl’ischiavi, e quanti cavagli egli tiene: e se alcuno ne muore fa guastare lo suo nome, e se alcuno ne nasce si lo vi fa porre, sí che il signore della cittá sa tutta la gente, per novero, che èe nella cittá. E cosí si fa in tutta la provincia de li Mangi e del Cattai. Ancora v’hae un altro costume: che gli albergatori16 iscrivono in sulla porta della casa tutti gli uomini degli osti suoi, e ’l die che vi vengono; [e ’l die che se ne vanno si spengono la scrittura;] sí che il signore può sapere chi va e chi viene. E questo è bella cosa e saviamente fatta. Or v’ho detto di questo una parte: or vi vo’ contare della rendita che hae il Gran Cane di questa terra e suo distretto, ch’è17 dell’otto parti l’una de li Mangi. [p. 179 modifica]

  1. Berl. e non credè che i siano tuti maistri; ma i è omeni che fano i comandamenti di maiestri, e da questa zitade se fornisse molte altre zitade e provinzie.
  2. Berl. e maistri de boteghe.
  3. Berl. Pad. sono... molto bele, e viveno in gran delizie. — Fr. sunt ausi mout deliès et angelique chouse.
  4. Pad. de zentiliomeni.
  5. Berl. * la zente dela quale adora le idole, e sono soto la signoria del Gran Can, e spendeno monede de carta.
  6. Pad. per guardar la zitá, che niuno non fesse alcuno malefizio, o che...
  7. Pad. con uno mazo.
  8. Berl. * e per questo la fano tanto guardare, azò che la non possa revelare.
  9. Berl. bagni.
  10. Pad. e vienghe grandisima quantitá de nave...
  11. Pad. * quel fiume passa per parechie altre contrade.
  12. Pad. in nuove regnami; e zascadun... á ’l so re... Questi nuove re è molto grandi e posenti, ma tuti sono ala segnoria del Gran Can, e convien che zascuno fázano raxon ogni ano de intrade e delle spese e delle altre cose ali fatori del Gran Can (Fr. as safators dou grant sire).
  13. Pad. * e secondo che i conseiano, cusì fano, o de l’andar o de star.
  14. Pad. * e è depenta a oro molto nobelmente.
  15. Berl. i brozexi (Fr. les borzois) de quela zitade, ed ezian de tute le altre, ano tal usanza e consuetudine, che zascaduno áno scrito... dei fioli e de tuti i so’ schiavi e serve.
  16. Berl. Pad. scriveno ei nome de tuti quelli che alberga in lo ostello, e il dì e ’l mese che i èno albergati.
  17. Berl. la nona parte.