Il matrimonio per concorso/Nota storica

Nota storica

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Atto III
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NOTA STORICA

Un ventaglio cade e si rompe. Incidentino da nulla, donde un geniale commediografo nella maniera più naturale del mondo fa scaturire una sua argutissima favola... Dicono al Goldoni che dei Piccoli Avvisi i londinesi si servono anche per combinar matrimoni. Il fatto lo colpisce. Vi scorge, o crede, un ottimo spunto di commedia. Ma dall’artificiosa trovata esce di necessità il lavoro più artificioso che darsi possa. In questo Matrimonio per concorso ognuno avverte lo sforzo.

Continui equivoci di persone, resi possibili e mantenuti solo dall’attenta sostituzione di nomi comuni ai propri. Malintesi che si complicano fino a disorientare anche lo spettatore. Troppi «incantesimi», troppi «disordini», troppe «confusioni», come esclama Doralice, la vittima più tormentata dell’inestricabile imbroglio. S’aggiunga alla derrata un travestimento: di quelli che abbondano nei drammi musicali del Nostro e troppo ricordano l’ingenuo teatro del Nelli. Ripieghi stantii della vecchia commedia. Ammiri chi vuole l’abilità nell’ aggrovigliare i fili. In questo Matrimonio per concorso manca l’alito vivificatore dell’arte. Non sappiamo se nel comporla il G. cedesse al «gusto depravato della platea», come afferma Carlo Cocchetti (Letture di famiglia, Trieste, 1859, p. 146). Cedette sicuramente alla necessità di mandare un lavoro purchessia al Vendramin. Ma ben nota lo stesso critico che «gli incidenti vi ridondano stemperatamente». «Stracca e debole nei caratteri» dice la commedia il Caprin (C. G., Milano, 1907, p. 202). Però, a difesa dell’autore, non si scordi che doveva essere commedia d’imbroglio; nulla più. «Ha una curiosa aria di pochade moderna», avverte opportunamente G. Piazza (Il piccolo, Trieste, 11 genn. 1909).

Da quelle squallide figure di convenzione che sono i suoi personaggi si stacca, per qualche tratto originale, Pandolfo, curioso tipo di furfante arricchito, un po’ Fabrizio (Innamorati), un po’ Brighella (Figlia ubbidiente). «Questo carattere di Pandolfo è una novità notevole nel teatro goldoniano — osserva Ernesto Masi. — È una mescolanza complicata di pazzo, di fanatico e di briccone, in cui non si sa bene quale dei tre prevalga e che si accosta ai tipi di composizione e di derivazione modernissima» (Scelta di commedie di C. G., Firenze, 1897, vol. II, p. 475). Lo Schmidbauer rileva l’antitesi del mercante disonesto col galantuomo (Anselmo), che nel teatro del Nostro non è certo la prima. Ma, in barba alla morale, anche questa volta chi per ragioni d’arte perde la gara è il virtuoso. Il travestimento di Filippo suggerisce allo Schmidbauer il pensiero che il Goldoni non sapesse figurarsi i tedeschi che soldati. Tutta la commedia gli sembra «un nodo quasi inestricabile di equivoci» (Das Komische bei Goldoni, München, 1906, pp. 142, 150).

Ernesto Masi che col solo fatto d’aver accolto questa commedia nella sua Scelta mostrò di farne conto, non risparmia qua e là la critica nelle sue note. «Giochetti alquanto volgari» derivati dalla commedia dell’arte, gli sembrano i quiproquò continui delle due fanciulle e dei due babbi, e «goffaggine inescusabile» il travestimento di Filippo (ibid., pp. 499, 537). Tralasciamo appunti minori. Pur senza ignorarne i difetti volle comprendere il Matrimonio [p. 576 modifica]per concorso tra sole undici scelte, perchè la ritenne «tipica veramente» per le vicende della carriera artistica del Goldoni in Francia. A noi sembrano per questa ragione veramente tipiche e tali che senza il soggiorno in Francia non le avremmo avute, prima di ogni altra, il Ventaglio e il Burbero. Il Masi, già editore delle bellissime lettere goldoniane all’Albergati, avverte il parallelismo tra molti passi del carteggio e la copia di notizie su Parigi che con discutibile diletto del pubblico il Goldoni volle introdurre nella sua commedia. «Il Goldoni precorre le Guide e i Baedeker d’oggidì» osserva egli (vedi pp. 480, 506-509). La novità, secondo il Dejob, ebbe imitatore il Picard (Les femmes dans la comédie, ecc. Paris, 1899, p. 372). In una lettera della Dubocage all’Algarotti vede Arturo Graf confermata la sincerità delle lodi date dal Goldoni alla vita parigina (lett. del 24 marzo 1763). Vi si legge che al Goldoni nella nuova dimora piace tutto «jusqu’au tapage des rues» (L’Anglomania, ecc. 1911, p. 163). Tempra d’una nota simpatica le informazioni baedekeriane qualche nostalgico accenno alla lontana Venezia e all’Italia. Quei «benedetti nostri zecchini» tanto più redditizi colà che a Parigi, la sempre «benedetta gondola di Venezia» che «con quaranta soldi di Francia serve dalla mattina alla sera», i «quattro risi alla Veneziana», l’augurio che «giungano alle orecchie dell’autore lontano le liete voci de’ suoi amorosi concittadini» provano quanto sinceri fossero i famosi versi Da Venezia lontan do mile mia... E Anselmo sospira «oh, Italia, Italia! quando avrò il piacere di rivederti?» E Filippo assicura «che il nostro paese non ha niente ad invidiare a qualunque altra parte del mondo». Di fronte all’esuberante nazionalismo francese si destava nel Nostro l’orgoglio della sua italianità.

Altri giudizi di studiosi sono decisamente benevoli a questo Matrimonio per concorso. Il Carrer, forse per non conoscer la commedia, accetta a occhi chiusi la lode dell’Andres (Origine e progresso ecc., vol. VI, p. 53), il quale la comprende tra le migliori, accanto al Burbero e al Curioso accidente, nientemeno (Notizie sulla comm. ital. ecc. Venezia, 1825, p. III, pp. 108, 109). Nè minor stima sembra farne Francesco Righetti in queste sue parole: «quivi [a Parigi], a confusione de’ suoi nemici, ad onore eterno del nome italiano, scrisse il Burbero benefico, il Curioso accidente (sic), il Matrimonio per concorso, l’Avaro fastoso» (Studi sull’arte drammatica, Torino, 1834, vol. I, p. 173). E il Ventaglio? Quasi lo stesso pensiero ha il Meneghezzi. «Nella pacifica, agiata e libera condizione, in cui trovavasi» a Parigi, gli vennero fatte le commedie più vicine alla perfezione: tra queste «quel vivacissimo Matrimonio per concorso» (Della vita e delle opere di C. G., p. 133). Anche Carlo Borghi la mette tra le buone (v. Modena a Carlo Goldoni, p. 105).

Meglio che a rapidi accenni, non sempre fondati sopra un serio esame della commedia, daremo peso a quanto ne scrivono il Dejob, il Rabany, il Taylor. Il primo, ricordato il doppio quiproquò dei Jeux de l’amour et du hasard del Marivaux, riassume la tela del Matrimonio per concorso e conclude: «Aucun de nos auters contemporains les plus célèbres dans l’art d’accumuler les quiproquos, n’à éte plus inventif en ce genre et, on le voit, une équivoque initiale très simple produit ici toutes les autres. De plus, Goldoni, tout en préparant l’explication finale, sait la dérober jusqu’à la fin, même quand il parait se mettre dans la nécessité de la fournir; par exemple à la [p. 577 modifica]sixieme scène du dernier acte» che il Dejob racconta per mostrare l’abilità del Nostro nel differire d’un altro poco lo scioglimento (op. cit., p. 369). Plaude a questa commedia pure il Rabany in quel suo volume che ignora il Ventaglio e lesina la lode ai Rusteghi. Il Matrimonio per concorso è per lui «un veritable chef-d’oeuvre d’imbroglio comique, genre ou Goldoni était passè maitre... Les imbroglios s’accumulent; on confond les amoureux, les fiancées et les pères... Tout s’arrange enfin à la satisfaction generale et l’on applaudit à la dextérité, avec laquelle l’auteur a su emméler et dénouer cette intrigue, en conservant toujours les fils dans sa main, sans les confondre jamais». E il lavoro gli sembra notevole anche per tutto ciò che vi si dice della vita parigina, «tout ceci mèlé habilement à l’action, sans l’arréter jamais» (C. G. Le théatre et la vie en Italie pp. 235-6, 388). Con pari favore discorre il Chatfield-Taylor, accoppiando però costantemente nel suo esame il Matrimonio al Ventaglio. Così, ci sembra, toglie al capolavoro assai più che non doni all’altro. «Dir questa [Il Ventaglio] l’ultima parola della commedia dell’arte — scrive il valoroso critico americano — è ingiusto forse per il Matrimonio per concorso, commedia... che con quella ha il vanto di mostrare nella miglior luce l’abilità scenica del Goldoni, abilità, in cui gareggiano con lui solo commediografi quali Scribe e Sardou. In verità sarebbe difficile trovare una trama tessuta con maggior perizia che questa del Matrimonio per concorso, ma anche questo lavoro, come il Ventaglio, difetta di un forte carattere centrale, primo elemento d’una grande commedia. Oltracciò n’è artificioso il tono. Non un solo accento naturale si sente in questa vivace commedia d’intrigo». Mostra poi come in Francia il Goldoni fosse obbligato a tornare indietro. «Egli cercò la sua via a ritroso, come valido montanaro che combattuto dagli elementi scende a valle in attesa d’un momento più propizio per iscalare la vetta più alta. Esperto dell’arte sua, pratico de’ capricci del pubblico, dalle altezze della commedia realista torna alla commedia improvvisa e dei suoi elementi compone lavori come Il Ventaglio e il Matrimonio per concorso, l’ultima parola di quella commedia e l’ultima dell’artificio scenico, poichè nessun drammaturgo moderno costruì agili commedie con maggior abilità che non facesse il Goldoni in queste sue due. Sempre versatile, esperto, quest’artista che aveva fedelmente dipinto l’uomo si trasforma in artigiano, nel senso letterale della parola. Artigiano per forza di circostanze. Dormiva in lui l’artista, mentre adattava l’arte sua ai bisogni della Comédie Italienne, poichè Ventaglio, Matrimonio per concorso altro non sono che armature abilmente innalzate da mano maestra. Per divenire commedia pura devono esser solidamente murate dell’eterna verità che fa belle le commedie veneziane del Goldoni artista» (Goldoni, a biooraphy, New York, 1913, pp. 513-517).

Le Memorie non ricordano questa commedia. Se ne fa menzione in questi versi inviati a Giovanni Fontana, allora segretario d’Ambasciata a Parigi:

          Principiato ho a mandar de’ miei lavori
               A Vinegia quest’anno, e vo’ il sapete,
               Voi che mi deste i stimoli maggiori.
          Qual commedia mandai saper volete?
               Eccola: Il Matrimonio per concorso.
               Ritornate a Parigi, e la vedrete

[p. 578 modifica](Componimenti diversi, Venezia, Pasquali, 1764, T. II, p. 228), e ripetutamente nelle lettere. In data 11 luglio 1763, all’Albergati, si legge: «Ho spedito una nuova Commedia per il Teatro di San Luca a Venezia, intitolata Il Matrimonio per concorso. Ne ho fatta una per qui, intitolata Les deux Italiennes, ma tutta scritta, avendo protestato a questi signori di non voler più fare commedie a soggetto, le quali non ponno far onore all’autore, nè profitto al teatro» (Raccolta Masi, p. 220). Les deux Italiennes figurano erroneamente in calce alle Memorie nel Catalogue delle commedie che il testo ricorda. È detta comédie en trois actes en prose, e si aggiunge: elle n’a pas été jouée. Il fatto che la trama del Matrimonio per concorso si accentra su due italiane: la circostanza che le due commedie sorsero nello stesso tempo: la consuetudine poi che il Goldoni aveva di rielaborare per Venezia quanto dava ai Comici italiani di Parigi inducono il pensiero che le due commedie fossero la stessa cosa. Congettura già espressa da Ernesto Masi, il quale ad avvalorarla sottolinea queste battute della commedia:

«Fontene. Avete fatto passare dei grandi dispiaceri a quest’altra povera italiana [Doralice]?

Lisetta. Ne ho passati anch’io per essa una buona parte; credo che possiamo esser del pari (Atto III, sc. XII)».

e le parole di Fontene nella scena penultima:

«Due donne italiane, figlie di due mercanti italiani; lo stesso albergo, molte circostanze uniformi della persona...» ecc.

Nella commedia per Parigi i personaggi francesi parlavano certo la loro lingua, ciò che nel Matrimonio con goffa inverisimiglianza non fanno. Secondo il Masi le «tante allusioni e notizie relative a Parigi, che trovansi nel Matrimonio per concorso, se poteano importare in Italia, pei Parigini sarebbero state un fuor d’opera e senza alcuna opportunità». Quindi le inserì appena nel Matrimonio. Possibile. Ma accogliendole nelle Deux Italiennes il Goldoni poteva illudersi di lusingare la vanita di quel pubblico, come, con un procedimento un po’ simile, aveva sperato nell’Amor paterno.

Qualche apprezzamento dell’autore del suo lavoro è in queste notizie al Vendramin [lett. dell' 11 luglio 1763]: «Ho spedito una Commedia ben copiata, e sigillata, diretta a V. E., intitolata Il Matrimonio per concorso. Vi ho unito un foglio, scritto di mia mano, con tutti quegli avvertimenti, che ho creduti necessari per la direzione della Commedia tanto rispetto agli abiti, che alla scena. I Comici per altro non avranno da fare alcuna spesa, sendo una Commedia vestita alla Francese, che si rappresenta in una camera e in un giardino. Spero che V. E. ne sarà contenta, e che il pubblico l’aggradirà. Vi è qualche cosa, che riguarda Parigi, che farà piacere. L’intreccio e grande. Vi sono de’ colpi di Teatro. È onestissima...». La scrisse senza le maschere perchè così le commedie gli sembrano «più naturali e più succose». A Parigi invece l’obbligano a servirsene, e vede che «perdono assai». Conti l’E. S. al fido e saggio Stefano Sugliaga «i cento ducati, prezzo di essa commedia» e al caso s’incarichi lui «di cambiar quel che occorre» (Mantovani, Carteggio ecc., Mil., 1885). Replica il Vendramin dispiacente di non poter eseguire la commedia perchè «folta di personaggi». Propone di sopprimere la parte della Falchi (che lasciava col marito Francesco il suo teatro) perchè crede «sia [p. 579 modifica]una di quelle parti che l’esservi o no poco conti». Risponde il Goldoni pel tramite del Sugliaga: «Circa alla mancanza della Donna che impedisce non poter fare il pettegolezzo delle due donne, dirò come dice saviamente il Cavaliere sudd.° [Vendramin]: la scena non è necessaria in modo che non si possa lasciare; si può lasciare, ma si perde una bella scena, che può far piacere a chi conosce e a chi non conosce Parigi» (lett. 19 Settembre, ibid.) «E questa — annota il Mantovani — probabilmente la scena X dell’atto II, in cui agiscono Monsieur Rose e Madame Fontaine, poi Doralice». Crediamo di apporci meglio intendendo il dialogo della scena I (atto II) tra Madame Plume e Mademoiselle Lolotte, sulle passeggiate di Parigi. La parte da sopprimere sarebbe dunque una di queste due. insignificanti davvero per l’azione: non certo quella di Mad. Fontaine, della quale l’intreccio non può dispensarsi.

I Notatori del Gradenigo annunciano per il giorno 3 novembre 1763:

«Nel teatro di S. Luca oggi si rappresenta la novissima commedia, spedita da Parigi dal nostro commendabile Poeta C. Goldoni, e porta per titolo Il Matrimonio per concorso». Ma nulla si trova sull’accoglienza ch’ebbe dal pubblico il lavoro. Il Mantovani bensi afferma che «ebbe esito infelice assai» (ibid., p. 193) e a prova rimanda alla prefazione del Pasquali. È un lapsus calami, beninteso, perchè quell’edizione non accolse mai la commedia. Il Matrimonio fu stampato la prima volta a Bologna nel 1775, dal Savioli e Pitteri l’anno 1778, e nel 1789 dallo Zatta, come inedita, forse perchè le due altre erano stampe abusive. Ma sempre senza prefazione alcuna. Verisimilmente sulla fede del Mantovani, senza citare fonte alcuna, accenna all’insuccesso del lavoro anche il Malamani (Nuovi appunti e curiosità goldoniane, Venezia, 1887, p. IO!) e dopo di lui il Caprin (op. cit., p. 202).

Se insuccesso fu, la commedia per questo non disparve. Con la scorta dell’ inedita Cronistoria di Cesare Musatti e dei preziosi appunti di Giuseppe Ortolani possiamo ricordare buon numero di recite lino al 1820.

1780, 31 luglio, al Teatro di Via Paganini di Rovereto la Comp. Perelli (Atti dell’Accademia degli Agiati, 1907, dal riassunto della commemorazione goldoniana di Enrico Brol).

1795, 4 novembre, al Teatro Sant’Angelo (Gazz. Urb. Ven.).

1796, 3 dicembre, al S. Angelo, la Comp. di Giuseppe Pellandi con Anna Fiorilli e con Teodora Ricci che faceva la «madre» (v. Giornale dei teatri del Teatro moderno applaudito; v. anche Ortolani, Ricordi di una grande attrice. Anna Fiorilli Pellandi, Fanfulla d. domenica, 20 agosto 191 I).

1797, 30 gennaio, replica c. s. (ibidem).

1802, 23 ottobre, al S. Gio. Crisostomo di Venezia, la Comp. Venier-Modena-Asprucci (Giornaletto Teatrale di Velli e Menegatti).

1803, 13 gennaio, nello stesso teatro, la stessa Compagnia.

1804, 31 gennaio, la stessa Comp. al S. Benedetto che nell’ottobre precedente s’era aperto per la prima volta alla Commedia.

1804, 1O novembre, replica c. s.

1805, 27 settembre, al S. Gio. Grisostomo la stessa Compagnia (sempre la stessa fonte). [p. 580 modifica]

1813, 9 ottobre, al S. Benedetto, la Comp. Pellandi con Blanes e Vestri (Giorn. dipartiment. dell’Adriatico).

1815, 28 novembre, allo stesso teatro la Comp. Blanes (ibid.).

1820, 4 gennaio, al S. Benedetto, la Comp. Vestri e Venier (Gazz. privil. di Venezia e Giorn. dei teatri comici, dalla Bibl. teatrale, Venezia, Gnoato).

1820, 25 marzo, al S. Gio. Grisostomo la Comp. Dorati col sottitolo: Pandolfo mercante milanese in Parigi (v. Giorn. dei teatri comici).

1820, 1O settembre, al D’Angennes di Torino, la Comp. Mascherpa e Velli, col sottitolo c. s. (ibid.).

La copiosa serie di recite nella sola Venezia prova che la commedia fu nel repertorio de’ nostri comici per tre decenni e più. Ben s’intende che le stesse compagnie l’eseguirono anche altrove.

Importa occuparsi ancora d’una memoranda esecuzione del Matrimonio per concorso a Monza ai 10 o agli 11 di gennaio del 1798, tanto più che l’aneddoto, narrato da Giuseppe Riva (La Patria, Monza, 3 e 10 marzo 1907, n. 329, 330), spiega la fortuna della fiacca commedia durante il periodo napoleonico. Le scene dell’atto secondo, dove rivivono figure e modi del l’ancien régime, offrivano il fianco alla satira e alla caricatura. N’approfittarono largamente quei comici, racconta il Riva. «Chiedendo quasi inspirazione ed aiuto alle tradizioni non molto remote dell’arte comica estemporanea, si erano permessi d’infarcire monologhi e dialoghi di quante tirate rivoluzionarie potevano suggerire la qualità del personaggio e le vicende del fatto rappresentato, non omettendo, siccome si esprimeva il rapporto dei nostri Municipali sulla memorabile serata, di spargere il ridicolo sulli trapassati titoli blasonici con digressioni estemporanee lor quando occorreva loro di nominare qualche titolato». Fin là potevano contare sul consenso del pubblico. Ben altra accoglienza trova la comparsa di Filippo travestito da colonello tedesco. " I commedianti non aveano certo pensato — continua il Riva — alle probabili conseguenze della comparsa d’una divisa austriaca sulla scena, quando contro di essa, additata come simbolo di vergognosa tirannide, avevano raddoppiato i loro colpi così i battaglioni del Bonaparte come gl’improvvisati aizzatori dei comizi". Incominciò un chiasso indiavolato e qualcuno chiese che s’abbassasse la tela. Intervenne il comandante militare della piazza, Laine. Il pandemonio cessò e si potè continuare. Per la burrascosa serata vi fu tra le diverse autorità uno scambio di rampogne e di giustificazioni. Il Laine nel suo rapporto attestò che nel Matrimonio per concorso «il n’y a rien cantre les bonnes moeurs ni contre la constitution». Chi in Milano sopraintendeva allora al buon ordine e al governo dello spirito pubblico, ebbe a rimproverare la Municipalità di Monza d’aver tollerato sulle scene dal maggior teatro, fra le «pezze d’antico sistema contrarie o non confacenti all’attuale Governo», anche commedie del Goldoni. Manetta Ortiz, che in una sua rassegna di cose goldoniane riassume l’articolo del Riva, dopo un’arguta disamina del libro del Falchi sul preteso giacobinismo goldoniano chiede celiando: «Non parrebbe... che il rivoluzionario Goldoni fosse giudicato un retrivo dai rivoluzionari autentici?» (Giorn. storico d. lett. ital,, 1908, p. 199).

Nel dire la commedia onestissima il Lainè si trova d’accordo con l’autore. [p. 581 modifica]Pur senza far torto alla virtù delle due italiane quel loro trovarsi esposte, a causa dell’avviso, alla insolente curiosità del primo venuto non sembra pienamente giustificare il lusinghiero qualificativo. A buon conto, in un curioso elenco, dove si risponde alla domanda: si possono leggere le commedie del Goldoni?, di questa si consiglia la lettura solo agli adulti! (Rivista di letture, 15 maggio 1914).

Scrive li Taylor che al Matrimonio per concorso «basterebbe il tocco rinnovatore d’un commediografo-speculatore moderno e d’un compositore popolare per diventare una di quelle commedie musicali care al pubblico de’ nostri giorni» (p. 514). La prova darebbe ragione al Taylor? Certo con più sicure speranze il Matrimonio per concorso potè trasformarsi in opera buffa già un secolo fa. Il 20 aprile del 1813 si esegui al S. Moisè di Venezia il Matr. p. conc. tratto «dalla commedia del Goldoni» da G. Poppa e musicato dal Farinelli (Giorn. dipart. dell’Adriatico). Nel carnovale del 1814 si diede alla Scala un melodramma Avviso al pubblico, parole di Gaetano Rossi, musica di Giuseppe Mosca. La commedia in musica fu detta anche La Gazzetta. Così il Salvioli a pag. 455 dell’incompiuta sua Bibliografia universale del teatro drammatico italiano (Venezia, 1903).

Del Matrimonio per concorso conosciamo solo una traduzione inglese e una polacca:

The wedding by concourse. A comedy in three acts in prose by Charles Goldoni, 1795. Translated from the Italian original by the scolar M.r Pinkerle with the help of his Master Sir I. Maheit, 1806, at Trieste. Manoscritto della Biblioteca di S. Marco A. K. 8. 75631. È insieme alla Locandiera, tradotta dallo stesso (v. Rivista d’Italia, 1907, p. 728).

Il matrimonio per concorso, comedia (sic) in tre atti in prosa, del avocato (sic) Carlo Goldoni dla uzytku uczacych sie jezika wloskiego w Uniw. Wilensk osobno z dziel przedru Kowana. Wilno, 1811, w 8ce. 3 zlp. (Estreicher) Bibliografia polska, Krakow, 1874, II vol., p. 54).

Assai prima che dal Masi il Matrimonio per concorso era stato pubblicato da Leonardo Nardini nel suo Teatro italiano (Londra, Dulau e C.,° 1800, con l’avvertenza: trovasi anche da L. Da Ponte [il librettista del Mozart], n. 5, Pali Mail), dove, sa dio con che criteri, oltre alla nostra del G.. si leggono solo La Scozzese e La donna di maneggio! Nella ristampa della collezione, curata da Romualdo Zotti l’anno 1822, il curioso trifoglio ricompare. Anche il Montucci volle il Matrimonio nella sua Scelta.

E. M.


Il Matrimonio per concorso fu stampato la prima volta a Bologna (a S. Tomaso d’Aquino) nel 1775 e ristampato a Venezia (Savioli e Pitteri, t. XIV) nel 1778. Un’ed. riveduta e corretta uscì a Venezia presso lo Zatta (cl. I, VII) nel 1789 e di qui fu ristampato dal Bonsignori (Lucca, XVI, 1769), dal Masi (Livorno, XIV. 1790), dal Garbo (Ven., VII, 1793). La presente ristampa seguì il testo dell’edizione Zatta, ma reca in nota, a piè di pagina, tutte le varianti delle edizioni precedenti.