Il guarany/Parte Quarta/Capitolo III
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CAPITOLO III.
LA SORTITA.
Lo strepito che si udì, fu cagionato da uno sparo uscito dal mezzo degli alberi.
Il vecchio aimorè vacillò; il suo braccio, che vibrava la clava con una forza erculea, cadde inerte; il corpo rovinò come l’ipè della foresta percosso dal fulmine.
La morte era stata quasi istantanea; appena uno stertore d’agonia risuonò nel suo largo petto, poc’anzi ancor tanto vigoroso: cadendo ora già cadavere.
Nell’atto che i selvaggi stavano come stupefatti alla vista dell’accaduto, Alvaro colla spada in mano e la carabina ancora fumante precipitavasi nel mezzo del campo. Di due colpi rapidi tagliò i lacci di Pery; e facendo mulinelli colla spada rattenne i selvaggi, che, riavutisi, caddero sopra di lui ruggenti di furore.
Bentosto si udì una scarica di archibugi; e dieci uomini imperterriti, con alla testa Ayres Gomes, saltarono alla loro volta innanzi colla spada in pugno, e cominciarono a far grossi squarci nei corpi degli Aimorè.
Non parevano uomini, ma dieci demonii, dieci macchine di guerra, che vomitassero la morte da ogni banda; nell’atto che la loro mano destra faceva infiniti rigiri colla spada, che mai non cadeva in fallo, la sinistra maneggiava il pugnale con una destrezza e sicurezza ammirabile.
Lo scudiero colla sua gente avea fatto un semicerchio intorno Pery ed Alvaro; e presentavano una barriera di ferro e fuoco alle onde degl’inimici che muggivano come fiere, arretravansi e lanciavansi di nuovo, infrangendosi contro quella diga.
Nel breve intervallo, che seguì tra la morte del cacico e l’assalto degli avventurieri, Pery colle braccia incrociate guardava impassibile a tutta questa scena.
Comprese allora il gesto che la sua signora aveagli fatto dall’alto dello spianato, e il raggio di speranza e di contento che parve brillar nel suo sembiante.
In fatti nel primo momento di afflizione Cecilia si era precipitata per veder l’Indiano, chiamarlo e supplicarlo anche di non esporre la sua vita inutilmente.
Non avendolo veduto, la fanciulla provò una disperazione crudele; ritornò da suo padre, e colle guancie irrorate di lagrime, col seno anelante, colla voce piena d’angoscia, gli chiese di salvar Pery.
Don Antonio de Mariz, prima che sua figlia gli facesse questa dimanda, già avea pensato a chiamare i suoi fedeli compagni, e seguito da loro correre contro il nemico e liberar l’Indiano dalla morte certa e inevitabile cui andava incontro.
Ma il fidalgo era uomo d’una lealtà e generosità a tutta prova; sapea che quell’impresa era d’un rischio immenso, e non volea obbligare i suoi compagni a partecipare ad un sacrifizio, che egli solo avrebbe fatto di buon grado per l’amistà che portava a Pery.
Gli avventurieri, che si erano dedicati con tanta costanza alla salvezza della sua famiglia, non aveano le stesse ragioni per mettersi in pericolo della vita a causa d’un uomo che non apparteneva alla loro religione, e che non avea con loro il menomo vincolo di comunità.
Don Antonio de Mariz, perplesso, irresoluto fra l’amicizia e il suo scrupolo generoso, non seppe che rispondere a sua figlia; cercò di consolarla, dolente di non poter soddisfare subito alla sua volontà.
Alvaro che contemplava questa scena dolorosa a qualche distanza, nel mezzo degli avventurieri fedeli e devoti cui comandava, fece di repente una risoluzione.
Il suo cuore era straziato vedendo che Cecilia soffriva; e ancorchè amasse Isabella, la sua anima nobile sentiva pur sempre per la donna, cui avea votato i suoi primi sogni, un’affezione pura, rispettosa, una specie di culto.
Ci avea un certo che di singolare nella vita di questa fanciulla: tutte le passioni, tutti i sentimenti che l’avvolgevano, subivano l’influsso della sua innocenza; andavano poco a poco purificandosi, e prendevano un non so che d’ideale, una forma d’adorazione.
Lo stesso amore ardente, sensuale, di Loredano, venuto al cospetto di lei, addormentata nella coscienza della sua anima pura, si tacque ed esitò un istante prima di mancare alla santità del suo pudore.
Alvaro scambiò cogli avventurieri alcune parole, e avviossi al luogo ov’era don Antonio de Mariz e sua figlia.
— Consolatevi, donna Cecilia; disse il giovane, e sperate!
La fanciulla fissò in lui i suoi occhi azzurri pieni di gratitudine; quella parola era almeno una speranza.
— Che avete in animo di fare? dimandò don Antonio al cavaliere.
— Trarre Pery dalle mani del nemico!
— Voi!... sclamò la fanciulla.
— Sì, donna Cecilia; disse il giovane: quegli uomini devoti vedendo la vostra afflizione si sentirono commossi, e fecero voto di togliervi a una grande ambascia.
Alvaro attribuiva quella generosa iniziativa ai suoi compagni, laddove essi altro non aveano fatto che accettarla con ardore.
Quanto a don Antonio de Mariz, egli provò un’intima soddisfazione udendo le parole del giovane; i suoi scrupoli cessavano dal punto che la sua gente si offeriva spontanea a mandar ad effetto quella impresa scabrosa.
— Mi cederete una parte de’ vostri uomini? Quattro o cinque mi bastano; continuò il giovane dirigendosi al fìdalgo; serberete il rimanente per difendervi in caso di alcun assalto impreveduto.
— No, rispose don Antonio; conduceteli tutti, giacchè prestansi a sì nobile azione, che non ardiva esigere dal loro coraggio. Per difender la mia figliuola basto io solo, quantunque vecchio.
— Scusatemi, signor don Antonio, replicò Alvaro; ma è un’imprudenza a cui mi oppongo: pensate che a due passi di qui trovansi uomini perduti, che nulla rispettano, e che spiano il momento di farvi del male.
— Sapete se apprezzo il tesoro, di cui Dio mi affidò la custodia. Pensate che vi abbia in questo mondo cosa che possa indurmi ad esporlo a un nuovo pericolo? Credetemi: don Antonio de Mariz, solo, difenderà la sua famiglia, nell’atto che voi salverete un buono e nobile amico.
— Vi affidate di soverchio alle vostre forze!
— Confido in Dio, e nella possa che collocò nelle mie mani: possa terribile, che quando sarà venuto il momento opportuno fulminerà tutti i nostri nemici colla rapidità del baleno.
La voce del vecchio fidalgo, pronunciando coteste parole, erasi rivestita di un’enfasi solenne; il suo viso illuminossi di un’espressione d’eroismo e maestà, che facea risaltare viepiù l’austera bellezza del suo busto venerabile.
Alvaro guardò con rispettosa ammirazione il vecchio cavaliere, nell’atto che Cecilia, pallida, palpitante per le emozioni che provava, attendeva con ansietà la decisione che stavano per prendere.
Il giovane non insistè, e si soggettò alla volontà di don Antonio de Mariz:
— Vi ubbidisco; andremo tutti e ritorneremo più prontamente.
Il fidalgo gli strinse la mano:
— Salvatelo!
— Oh! sì, sclamò Cecilia, salvatelo, signor Alvaro.
— Vi giuro, donna Cecilia, che solo la volontà del cielo potrà far ch’io non adempia al vostro ordine.
La fanciulla non trovò una parola conveniente per ringraziarlo di quella generosa promessa; tutta la sua anima si espanse in un sorriso divino.
Il giovane l’inchinò; raggiunse gli avventurieri, e loro diè ordine di prepararsi alla partenza.
Quando entrò nella sala, allora vuota, per prendere le sue armi, Isabella, già consapevole del suo proponimento, giunse pallida e accorata e corse al suo incontro.
— Andate a battervi? diss’ella con voce tremante.
— Vi maravigliate di ciò? Non ci battiamo tutti i giorni coll’inimico?
— Da lungi!... difesi dal sito! Ma adesso è cosa ben diversa!
— Non vi accorate, Isabella! Fra un’ora sarò di ritorno.
Il giovane si pose le pistole e la spada alla cintola, e si mosse per uscire.
Isabella lo agguantò per le mani con un moto repentino; i suoi occhi scintillavano d’una luce strana; le sue guancie stavano come accese da un vivo fuoco.
Alvaro cercò sciogliere le mani da quella pressione ardente, appassionata:
— Isabella, diss’egli con dolce rimprovero; volete che manchi alla mia parola, che mi arretri innanzi ad un pericolo?
— No, giammai vi chiederei una simil cosa! sarebbe d’uopo ch’io non vi conoscessi, e che non... vi amassi!...
— Ma dunque lasciatemi partire.
— Ho una grazia a implorare da voi.
— Da me?... In questo momento?
— Sì! In questo momento!... Non ostante ciò che mi diceste poc’anzi, malgrado il vostro eroismo, so che andate incontro ad una morte certa, inevitabile.
La voce di Isabella si fece balbettante:
— Chi sa... se più ci vedremo in questo mondo!
— Isabella!... disse il giovane nell’atto che volle lanciarsi fuori della sala, per togliersi alla commozione che s’impadroniva di lui.
— Prometteste di concedermi la grazia che io vi chieggo.
— Quale?
— Avanti di partire, avanti di dirmi addio per sempre...
La giovane fissò sul cavaliere uno sguardo che fascinava.
— Parlate!... Parlate!...
— Avanti di separarci, lasciatemi, ve ne supplico, un vostro ricordo!... Ma un ricordo che rimanga ben fisso nella mia anima!
E la fanciulla cadde in ginocchio appiè di Alvaro, ascondendo il suo volto, che il pudore in lotta colla passione coprì d’un brillante carminio.
Alvaro la rialzò confusa, vergognosa per quello che avea fatto, e applicando le labbra all’orecchio di lei proferì, o, per meglio dire, mormorò una frase.
Il sembiante d’Isabella si rasserenò; un’aureola di felicità le cinse la fronte; il suo seno dilatossi, e respirò con quell’ebbrezza ch’è propria d’un cuore felice.
— Io ti amo!
Fu la frase che Alvaro lasciò cadere nella sua anima, e che la riempì tutta d’un effluvio celeste, d’un cantico divino, che risuonava nel suo orecchio e facea palpitare tutte le sue fibre.
Quando rivenne da quell’estasi, il giovane era già uscito dalla sala, e riunivasi ai suoi compagni pronti alla partenza.
Fu in questo punto che Cecilia, avvicinatasi imprudentemente alla palizzata, fece a Pery un cenno, con cui gli dicea di sperare.
Il piccolo drappello partì comandato da Alvaro e da Ayres Gomes, che da tre dì non lasciava il suo posto entro la sala d’armi del fidalgo.
Quando i bravi combattenti disparvero nella foresta, don Antonio de Mariz si raccolse colla sua famiglia nella sala, e seduto sulla sua poltrona attese tranquillamente.
Non mostrava la menoma tema di essere assalito dagli avventurieri in rivolta, distanti appena di pochi passi, e che non lascerebbero di giovarsi di un occasione tanto propizia.
Don Antonio stava a questo riguardo in una compiuta sicurezza; dopo chiuse le porte ed esaminato il polverino delle sue pistole, raccomandò il silenzio per poter sentire ogni minimo rumore.
Vigilante e attento, il fidalgo riflettea al tempo stesso sul fatto che allora accadeva, e che avea impressionato profondamente il suo animo.
Conosceva Pery e non potea comprendere come l’Indiano, sempre tanto intelligente e perspicace, si fosse lasciato adescare da una folle speranza al punto di andar da solo ad assaltare i selvaggi.
L’estrema devozione di lui per la sua signora, la disperata condizione in cui si trovava, ben poteano render ragione di quell’imprudenza, se il fidalgo non avesse saputo che Pery possedea pur anco la calma, la forza e il sangue freddo, che rendono l’uomo superiore ad ogni pericolo.
Il risultato delle sue riflessioni fu che nel procedere di Pery ci avea alcun che di oscuro, che dovrebbe spiegarsi in appresso.
Nell’atto che egli si abbandonava a cotesti pensieri, Alvaro avea fatto una giravolta, e favorito dalla festa dei selvaggi si accostava senza essere veduto.
Quando scoperse Pery ad alcune braccia di distanza, il vecchio cacico alzava la clava sul suo capo.
Il giovane si pose la carabina alla faccia, e la palla sibilando andò a perforare il cranio del selvaggio.