Il flauto nel bosco/Giustizia divina
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Giustizia divina.
A questo fatto straordinario ho proprio assistito io, — raccontò un vecchio a noi donne sedute all’ombra della capanna da bagno e ad una raggiera di ragazzi e giovani seminudi sdraiati intorno, pancia a terra, col corpo nel sole e la testa nell’ombra. — Da giovane mi divertivo ad assistere ai dibattimenti nella Corte d’assise.
Non c’è luogo al mondo dove la vita si conosca meglio, in tutta la sua miseria e la sua passione e, a volte, anche nella sua grandiosità. Vi racconterò, adesso che abbiamo tempo, alcune di queste storie: e oggi voglio cominciare con una che ancora, alla distanza di mezzo secolo, mi turba e m’impressiona, e della quale mi sono ricordato in molte circostanze.
Al banco degli accusati, dunque, sedeva un uomo anziano, vestito di nero. Dopo le solite formalità, fu invitato a parlare. Si alzò lentamente; era alto, scuro nel viso così scarno che le guancie pareva si toccassero dentro la bocca; e su gli occhi, dei quali solo di sfuggita si vedeva il colore celeste, le palpebre ricadevano stanche come per un gran sonno.
— Il fatto è questo, — disse con voce calma e triste, senza guardare nessuno; — io ero allora impiegato alla Dogana e guadagnavo abbastanza: si viveva tranquilli, io e mia moglie, quando essa si ammalò. Occorse un’operazione, poi un’altra; poi lei non guariva mai; io accettai un lavoro straordinario, per guadagnare di più, e alla sera tornavo così stanco e disfatto che mia moglie stessa mi pregava di uscire a prendere un po’ d’aria, a bere un bicchiere di vino. Così una sera incontrai quella disgraziata; l’avevo conosciuta, era stata serva in casa di un mio parente e tutti si scherzava con lei, già avviata per la sua cattiva strada. Così mi condusse a casa sua. Ci sono stato solo tre volte. La seconda volta vi trovai un uomo che questionava con lei ed era così stravolto che non badò neppure a me. E quando se ne fu andato, ella mi disse che aveva paura di lui, paura che una volta o l’altra l’accoppasse, non per gelosia od altro, ma semplicemente perchè la odiava. Non mi disse chi era. La terza volta...
Qui l’accusato tacque un momento, come cercando di ricordare qualche cosa: poi proseguì, sottovoce, quasi parlando a se stesso:
— Sono cristiano e credente e spero fermamente in Dio e nella sua giustizia. Sul santo nome del Signore giuro che quello che racconto è la verità. La terza volta — riprese parlando più forte — mi trattenni poco dalla donna. Avevo un forte mal di testa per aver troppo lavorato, o, forse, perchè era una sera afosa e burrascosa. Nell’uscire da quella casa vidi che ci andava l’uomo di cui la donna aveva paura. Io feci una breve passeggiata lungo il fiume, poi tornai a casa, perchè, ricordo, soffiava un gran vento e cominciava a piovere. Il giorno dopo fui arrestato, sotto l’accusa di aver strangolato la donna. Nei primi interrogatori mi difesi accanitamente, accusando l’uomo che io credo il vero colpevole. Ma non mi era possibile identificarlo meglio. Io non lo conoscevo: credo, anzi son certo, sia di un altro paese. Ma nessuno mi dava ascolto. Le vicine di casa della disgraziata mi avevano veduto entrare, ed essendosi di poi ritirate per il tempo minaccioso, non avevano veduto uscir me ed entrare l’altro. Dopo qualche tempo mia moglie morì, di crepacuore e di vergogna. Questa nuova sciagura mi spezzò: mi ripiegai su di me, sotto il castigo di Dio, ma pure pregando ed aspettando la sua divina giustizia.
*
Poi il dibattimento cominciò, un po’ monotono e scialbo. I testimoni d’accusa erano appunto i vicini di casa della «disgraziata». Tutti affermarono di aver veduto entrare, la sera dell’assassinio, l’uomo che adesso sedeva al banco degli accusati e aver notato il suo aspetto equivoco, stravolto, e il modo di avvicinarsi furtivo. Una donna magra, dispettosa, forse isterica, sostenne di aver sentito, poco dopo l’arrivo dell’uomo, la disgraziata gridare, dibattendosi certamente contro l’assalto di lui; altri testimoni, compagni di carcere dell’accusato, deposero sulla strana condotta di lui che dimostrava di essere un mattoide.
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Egli ascoltava, senza mai più aprire bocca, con la testa bassa come esposta ai colpi di tutti: non aveva mai sollevato gli occhi, dopo che era entrato nella gabbia, e a volte pareva assente, o che il dibattimento non lo riguardasse.
Ma uno dei giurati gli rivolse alcune domande: egli si alzò, lentamente, come la prima volta, e poichè le domande erano molto intime parve sdegnarsi; il suo viso si animò, i suoi occhi, per la prima volta, si fissarono spauriti sui suoi giudici. E d’un tratto fu preso da un tremito nervoso e cadde svenuto. Fu sospesa per un momento l’udienza; poi egli rinvenne e tornò ad alzarsi: e pareva un morto risuscitato.
— Supplico la Corte di ascoltarmi ancora — disse. — Il colpevole è qui, in mezzo a noi; Dio mi ha permesso di riconoscerlo; Dio mi rende giustizia. Anche lui, il colpevole, s’è accorto che l’ho riconosciuto, e vorrebbe ma non può fuggire.
Seguì un momento di silenzio profondo: tutti stavano immobili come ridotti a statue di sale; poi cominciarono a guardarsi l’un l’altro e alcuni sorrisero, altri sogghignarono.
Infine il presidente disse all’accusato di indicare l’uomo.
— È uno dei giurati.
Questo colpo fu più forte del primo: i giurati si mossero tutti, sdegnati, e tutti gli occhi furono sopra di loro.
Il presidente domandò di sospendere l’udienza, ma l’accusato supplicò di lasciarlo parlare ancora.
— Non indicherò nessuno, per il momento: solo mi rivolgo all’uomo che credo colpevole e gli dico: fa tu in modo che risulti la mia innocenza, sia pure col fuggire, ed io non ti indicherò. Ho finora accettato il mio soffrire ed ero disposto ad accettare anche la pena, per scontare i miei peccati: il peccato di adulterio, il peccato di aver fatto morire di dolore mia moglie; ma poichè Dio mi ti ha posto davanti è segno che egli vuole sia fatta giustizia.
Egli guardava verso l’ala destra dei giurati, e a dire il vero questi, dopo il primo impeto di protesta, avevano preso un aspetto di diffidenza gli uni verso gli altri; ma gli occhi dell’accusato avevano una fissità di follia, e nessuno, in fondo, sebbene alla superficie scosso da un brivido, credeva alle sue parole.
Egli si passò una mano sulla fronte, e mentre il presidente insisteva per chiudere l’udienza, aggiunse con voce tremante:
— Dio mio, Dio mio, è giunta l’ora della tua promessa. Non per me, ma per gli uomini ciechi, non per me, ma per quelli che non credono nella tua giustizia. Dimostra dunque che essa non comincia solo col regno della morte.
Diceva con tale fede queste parole che tutti davvero provarono un brivido. E il suo viso parve vuotarsi ancora di più, divenire quasi trasparente: e si vide il sudore cadere a goccia a goccia dalle sue dita.
Ed ecco, mentre il presidente dichiara sospesa l’udienza e si alza per andarsene, e tutti fanno altrettanto, uno dei giurati barcolla, cade addosso ad un altro che è pronto a sostenerlo; viene soccorso, ma non rinviene; condotto all’ospedale un’ora dopo è morto. Si seppe di poi, in seguito alle indagini della giustizia, che il vero colpevole era lui.