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136 | il flauto nel bosco |
cassero dentro la bocca; e su gli occhi, dei quali solo di sfuggita si vedeva il colore celeste, le palpebre ricadevano stanche come per un gran sonno.
— Il fatto è questo, — disse con voce calma e triste, senza guardare nessuno; — io ero allora impiegato alla Dogana e guadagnavo abbastanza: si viveva tranquilli, io e mia moglie, quando essa si ammalò. Occorse un’operazione, poi un’altra; poi lei non guariva mai; io accettai un lavoro straordinario, per guadagnare di più, e alla sera tornavo così stanco e disfatto che mia moglie stessa mi pregava di uscire a prendere un po’ d’aria, a bere un bicchiere di vino. Così una sera incontrai quella disgraziata; l’avevo conosciuta, era stata serva in casa di un mio parente e tutti si scherzava con lei, già avviata per la sua cattiva strada. Così mi condusse a casa sua. Ci sono stato solo tre volte. La seconda volta vi trovai un uomo che questionava con lei ed era così stravolto che non badò neppure a me. E quando se ne fu andato, ella mi disse che aveva paura di lui, paura che una volta o l’altra l’accoppasse, non per gelosia od altro, ma semplicemente perchè la odiava. Non mi disse chi era. La terza volta...
Qui l’accusato tacque un momento, co-