Il fiore di maggio/La Cucitrice
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LA CUCITRICE.
Pochi fra gli uomini, tranne i poveri, provano compassione pei poveri.
I ricchi non sanno quanto sia duro il mancare del necessario nutrimento; ed esser privi del riposo necessario.
Il sentiero, ch’essi percorrono, è la via dell’abbondanza;
Essi dormono sulla seta ed il velluto.
E neppure immaginano con quanta avidità l’uomo affaticato e lasso desidera il letto.
Essi non si siedono mai a guardare dal balcone. Veggono passare gli avventurati, e, ripigliando l’interrotto lavoro, lo mirano in aria trista.
L.E.L.
Le sofferenze della povertà non si limitano a quelle attribuite al mendicante di professione, i cui vestimenti son laceri e sudicii, al mendicante indurito agli stenti e sempre pronto a ricevere la carità, da qualunque parte gli giunga. Avvi un’altra classe di persone ancor più necessitose: persone per natura generose e che spingono oltre il giusto limite il sentimento delle convenienze e del rispetto di sè medesimi. Esse combatterono contro il loro destino con silenziosa calma tutto soffrendo, tutto sperando e preferendo sobbarcarsi a grandi privazioni anzichè mettere un lagno, o confessare a sè medesimi che i loro più grandi sforzi non bastano a’ propri bisogni.
Soffermatevi meco un istante alla porta di quella casa laggiù di meschino aspetto. Una cameretta in essa è abitata da una vedova con sua figlia, e tutta la loro esistenza dipende dal lavoro del loro ago. Quella stanzuccia racchiude ogni loro sostanza: ognuno di quei mobili costò di molte fatiche; non avvene un solo il cui acquisto non sia stato risolto dopo serie riflessioni; non uno il cui prezzo non sia stato l’oggetto di profondi calcoli. Tutto è ordinato colla massima cura e la più grande pulizia: ed i mobili i più splendidi d’una sala di moda non sono garantiti da qualsiasi sfregio con sollecitudine pari a quella che è posta a conservare intatto un armadio lucidato all’incausto, un fusto di letto, ed un vago tavolino di legno di rosa. Anche il pavimento aveva potuto altra fiata vantarsi d’esser coperto da un tappeto: ma il tempo, il vecchio tempo vi aveva mosso guerra, facendo ora un buco nel tessuto o sfilacciandolo in molti luoghi: e, sebbene si avesse risposto a quegli attacchi con infaticabili rattoppi, non si può a meno di non riconoscere a chiare note su di lui il marchio d’un’implacabile vetustà. Un buon vicino, è ben vero, diede un lembo di stoffa usata, che fu tosto acconciato e steso a coprire un foro che si mostrava proprio nella parte in faccia all’entrata. Quel tappeto, così variegato da differenti pezzuole a colori, mostra evidentemente che poco ancor gli resta a vivere. Ad onta della povertà, bisogna che ogni articolo del mobigliare abbia il miglior aspetto possibile. Il piccolo cantonale, che contiene qualche tazza della China, ed uno o due cucchiali d’argento, preziose reliquie di giorni più fausti, è disposto con gelosa eleganza, e la vecchia cortina di mussola bianca, fu con ogni cura bucandata, amidata e stirata col ferro, e posta in opera con esatta precisione. Sul tavolo coperto d’una bianca tovaglia sta disposto qualche libro, qualche oggetto di arte o ninnolo di fantasia, ed una miniatura, che sebben guasta nel colorito, è più preziosa per la vedova che tutto assieme il suo mobigliare.
La signora Ames è seduta sul seggiolone, guarnito da un origliere su cui s’appoggia, ed attende a approntar del lavoro; mentre sua figlia, giovinetta dalla persona svelta e slanciata, dall’aspetto pallido e sofferente, se ne sta alla finestra intenta a cucire.
La signora Ames era stata altre volte moglie ad un negoziante rispettabile, e madre di molti teneri figli. Ma l’avversa fortuna l’aveva perseguita con una costanza, che pareva essere la conseguenza d’un fatale decreto del destino. Dapprima considerevoli perdite negli affari; poi lunghe e costose infermità nella famiglia, in seguito la morte di molti figli. Fu costretta poi a vendere la casa, di cui era proprietaria ed i mobili di cui era fornita, e ritirarsi in un modesto alloggio, più conforme alle sue sciagure; poi, colle reliquie d’un’antica fortuna abbandonando i patrii lidi, incominciare una novella esistenza attraverso i mari. Ma non appena l’esigliata famiglia ebbe tocco il porto, improvvisa morte colse il padre; e la sua bara fu deposta in terra straniera. Alla povera vedova afflitta, scoraggiata, restava a fare un lungo e faticoso viaggio prima di giungere appo le persone, da cui sperare conforto. Malgrado la tenuità delle sue risorse era d’uopo assolutamente d’intraprenderlo. Parti colle due superstite ragazzette, senza un’anima al mondo che le servisse di aiuto.
Giunta al suo destino, non solo si trovò senza immediate risorse, ma ebbe eziandio contratto un debito rilevante presso la persona che avevale anticipato il denaro pel viaggio. Ella si sommise rassegnata alla necessità della sua situazione. Le fu forza dividersi dalle sue ragazze, che avendo avuto un’eccellente educazione furon costrette a servire di domestiche, mentre ella stessa entrava in una famiglia in qualità di governante. Alla crudele separazione tenne dietro una pena più crudele: la più giovane delle sue figlie cadde inferma. I deboli sparagni della madre furono consumati dalle spese di malattia, e sebbene la giovinetta riacquistasse in parte la salute, il medico non occultò alla madre, che la malattia, da cui la figlia era tocca, non la lascerebbe che colla vita.
Pure, quando la figlia cominciò a non aver più bisogno delle sue cure, Ames riprese lo stato di cucitrice. Con infiniti stenti giunse a rimborsare la somma che aveva avuto a prestito pel viaggio, ed a mobigliare la cameretta, di cui abbiamo fatto cenno, quando la malattia venne a cogliere lei stessa.
Troppo coraggiosa per cedere ai primi sintomi del male, continuò ad attendere assiduamente al lavoro, finchè le forze gli vennero meno del tutto. Quando quella prova venne a visitarla, la povera donna ritirò dal servizio una delle sue figlie, per attendere a compiere il suo lavoro, e curarla al tempo istesso. Fu a quell’epoca che s’apre il racconto, che senza digressioni ora continuiamo. Già era scorsa una settimana dal giorno che Ames fu costretta a porsi a letto, ella si era quel giorno stesso alzata per la prima volta; è ben debole ancora; e quando si volge lo sguardo a quell’aspetto pallido e sofferente, ben si comprende di qual pregio è per lei il vecchio seggiolone, a cui fu dato per ausiliare un soffice origliere, che si piega sotto il peso del corpo, rattratto dalla fatica, e che la febbre non ha per anco abbandonato. Ma ella ben sa che la fine del mese si avvicina, e che le sarà mestieri pagare l’affitto, e tale idea, poichè ella non vuole prescindere dalla sua ordinaria puntualità, stende i suoi nervi e ne rianima l’energia. Ma presto, stanca di tagliare, di misurare, di muover l’ago, si abbandona allo schenale del seggiolone, e gli occhi suoi si posano sulla macra figura di sua figlia.
“Elena, fanciulla mia, diss’ella, voi avete male al capo cessate dal lavorare così assiduo„.
— Oh! no! io non soffro molto rispose colei con premuroso affetto pel timore che la madre non si fissasse nell’idea ch’ella fosse in preda ad un violento dolore di capo. Povera giovane! Se fosse rimasta nella situazione ove nacque, in luogo d’essere inchiodata su di una sedia come allora, se ne andrebbe a dritta ed a manca per la via, dai signori, nelle botteghe, e, nel godimento della vita, come tutte le giovani di quindici anni, avrebbe delle avvenenti compagne — farebbe e riceverebbe visite ― mentre ora, povera prigione, non ha che brievi passeggiate per l’aperta campagna. Il mattino e la sera sono uniformemente le stesse, rotti talvolta dall’alternativa del male di capo, e dolore al fianco — L’occupazione sua è sempre la stessa. Triste cosa per una giovinetta di quindici anni!„
Ma ecco che s’apre l’uscio, e l’aspetto di Ames s’irradia alla vista dell’altra sua figlia Maria, che entra. Maria è al servigio in una famiglia nelle vicinanze, ove per fedeltà e bontà di cuore era riguardata come figlia o sorella, piuttosto che come domestica. “Ecco, mamma, il denaro dell’affitto, sclamò; smettete dunque il lavoro e riposatevi un istante. Io guadagno bene abbastanza da potervi pagare l’alloggio, prima che ne arrivi il termine.
― Figlia cara disse Ames; bramerei che teneste in serbo qualcosa per voi: io non so risolvermi ad assorbire per me tutti i vostri risparmii, come da qualche tempo mi accade; e nemmeno quelli di Elena questa primavera vi abbisognerà una veste nuova, ed il cappello non può più servirvi.
— Oh no, mamma, ho fatto acconciare il mio vecchio cappello bleu, e quando lo vedrete vi sorprenderà col bell’aspetto, che ha ripreso: e la mia veste quando sarà lavata e racconcia, potrà servire ancora a lungo. E poi la signora Grand mi diede un nastro, che figurerà assai bene ad adornare il mio cappello. Inoltre, soggiunse, vi ho portato qualche bottiglia di buon vino: sapete che il dottore disse che il vino vi è necessario.
— Figlia mia cara! desidero che il vostro danaro vi serva a procacciare a voi stessa qualche lautezza.
— Oh! madre mia, nulla a me manca, e mi è più gradito potervi esser di conforto, che non il portare le migliori vesti del mondo.„
Due mesi dopo quella conversazione, la nostra famigliuola trovossi ancor più nelle strettezze della miseria che per l’addietro. Nel corso di que’ due mesi, Ames era stata ammalata a letto, e la maggior parte del tempo e delle forze di Elena furono impiegate ad assisterla. Non era che alla spicciolata che la giovinetta poteva attendere alquanto al lavoro. Maria non solo aveva speso tutto il suo salario in corso, ma sibbene due mesi anticipati, che i padroni le avevano sborsato!
Ames, essendosi sentita alquanto meglio un giorno o due, aveva lavorato la notte nella speranza di compiere qualche camicia, che le avevano comandato. Il denaro che potrò ritrarne, disse sospirando, può bastare a pagare il nostro affitto; e se questa settimana possiamo lavorare ancora un poco.....
— Mamma cara! voi siete stanca, disse Elena, ite a letto, e non state ad affaticarvi più a lungo nel tempo della mia assenza.„
Elena partì, e fatto breve giro, giunse innanzi la porta d’una casa elegante, le cui cortine alle finestre di damasco e mussola annunciavano la dimora dell’opulenza.
Nel tempo che Elena si diresse in tutta fretta verso quella casa, la signora Elmora stava in un magnifico salone, circondata da molti articoli di moda, che due giovinette le spiegavano innanzi. “Che bella sciarpa rosa!„ disse una di quelle ponendola attraverso le spalle e saltellando innanzi uno specchio, mentre l’altra diceva:
— Osservate questi fazzoletti, mamma, che vago merletto!
Ebbene, ragazze, disse la signora Elmora, questi fazzoletti sono il colmo del ridicolo, e ben mi meraviglio che manifestiate sì vivo desiderio di averli.
— Tutti, o mamma, ne hanno di somiglievoli al dì d’oggi: Laura Seymour ne ha una mezza dozzina che non le costa più di questo, e suo padre non è certo più ricco del nostro.
— Ebbene! ricco o non ricco, che importa? Sembra che ora non abbiamo tanto danaro quanto ne avevamo nella nostra casetta di Spring-Street. Colla nuova mobiglia di cui abbiamo arricchita questa casa, co’ vostri smodati capricci di gioventù, che desidera ciò vede, ora siamo più poveri d’allora.
— Signora, disse una cameriera aprendo la porta. La figlia della signora Ames che vi reca la biancheria.
— Entri„, disse la signora Elmora.
Elena entrò timidamente e porse l’involto del lavoro alla signora Elmora, che prese a disaminare attentamente tali oggetti di lusso, poichè ella pure si piccava di saper cucire meravigliosamente. Ma sebbene il lavoro non fosse stato eseguito che da mani deboli e con occhi infermi, nulla vi trovò a ridire.
“Bene! assai ben fatto, disse ella. Quanto chiede la madre vostra?„
Elena le presentò, piegata con eleganza, la nota che aveva fatto a nome di sua madre.
“Debbo dirvi che il prezzo di vostra madre parmi troppo caro, riprese madama Elmora, dando uno sguardo alla sua borsa quasi vuota. Tutto incarisce, sicchè costa molta fatica a vivere„.
Elena volse uno sguardo sugli articoli di fantasia, che erano sparsi colà in gran numero, e girò gli occhi attorno per la camera con innocente curiosità.
“Ah! disse la signora Elmora, vi pare che persone del nostro stato non abbian bisogno di economia: ma per me veggo ogni di più quanto importi che noi siamo economi„.
A tali parole, ella porse ad Elena i tre dollari, a cui ammontava la fattura, sebbene il lavoro valesse almeno il doppio e quel denaro era tutta la fortuna d’Elena e della madre sua.
“Ora, riprese ella, dite alla madre vostra che il suo lavoro m’è di molto aggradimento, ma dubito di potermene servire, se trovo qualche persona meno costosa.„
La signora Elmora sembrami una persona ben crudele, dite voi. È falso. Elmora non ha il cuor duro, e se Elena fosse venuta, come mendica a sollecitare la carità per la madre inferma, Elmora le avrebbe dato un paniere pieno di provvigioni, le avrebbe mandato una bottiglia di vino, ed un involto di vecchi abiti, con tutti gli accessorii di simili occasioni. Ma la vista di un conto aveva ridesto in lei tutto l’istinto della sua educazione commerciale. Non aveva mai sospettato che fosse in obbligo di soddisfare tutto il suo debito: anzi aveva in pensiero che era suo dovere, come economa, di ridurre più che le fosse dato, la mano d’opera ed il salario. Quando Elmora viveva in Spring-Street, le figlie passavano la maggior parte del loro tempo a casa e loro incombeva di lavorare e mantenere in buon stato la biancheria di tutti.
Ma dal dì che la famiglia Elmora aveva abitato un palazzo, che aveva acquistato una carrozza, e le figlie vollero apparire come persone di bel mondo, si erano accorte allora che avevano troppo da fare che d’occuparsi a cucire anche solo per ciò che era loro mestieri. Ed anche la madre perdeva tutto il suo tempo a sorvegliare i particolari della spesa della casa, a conservare dai guasti i mobili preziosi ed a seguire nelle loro azioni una numerosa servitù. L’opre d’ago furono adunque messe da canto e la signora Elmora fu convinta di non potersene più occupare.
Pure tanto la madre che le figlie erano troppo difficili sotto il rapporto della forma de’ loro abiti, per supporre che la loro confezione potesse essere affidata ad operai meno abili.
La signora Elmora non poteva essere mai accusata di aver mancato di carità co’ poveri: ma non aveva rivolto mai la sua attenzione che la classe la più interessante de’ poveri è quella che non chiede mai l’elemosina.
Non aveva mai posto mente che pagando con liberalità quelli che lottano onestamente colla miseria, che non dipende da loro, faceva in realtà una carità più grande che non col beneficare indistintamente una dozzina di importuni.
Di ritorno a casa Elena disse alla madre: “Che pensate voi, o madre, della signora Elmora, che dice che il vostro conto era troppo caro? Ella non conosce, senza alcun fallo, quanto lavoro richiedino quelle camicie. Dice che non può più darvi lavoro: e cercherà qualcuno che lavori a più buon mercato. Io non so comprendere come persone che dimorano in così belle case, e posseggono tante belle cose, possano asserire di non avere il mezzo di pagarci l’equo prezzo del nostro lavoro.
— È perchè, ragazza mia, sono più disposte a mostrarsi econome, che non quelli che vivono di più semplici costumi.
— Ma in vero, mamma, disse Elena, come diminuire il prezzo di quelle camicie, che assorbono tanto lavoro.
— Non pigliartene affanno, mia cara, disse la madre con dolcezza, ci giunse testè un’involto di lavoro che un’altra signora ci mandò e se ci è dato di compierlo, avremo guadagnato abbastanza per pagarci l’affitto; ed ancora qualche cosa ci può rimanere da comperarci il pane.„ Passeremo sotto silenzio tutte le circostanze relative alla fattura delle camicie; ci basti il dire che il sabbato sera di sei camicie, che furono loro mandate, cinque eran compiute. Elena s’affrettò a recarle alla signoria che le aveva comandate, promettendo di portarle, il martedì mattina, quella che ancor mancava. Dopo aver esaminato il lavoro la signora porse il denaro ad Elena; ma al martedì quando la giovane ritornò colla sesta camicia trovò la cliente di un’umore detestabile. Nel considerarle di nuovo, aveva scoperto, che sotto molti rapporti differivano dagli ordini, che aveva avuto l’intenzione di dare, e che pare vale d’aver dato, e ne mostrò in conseguenza il suo malcontento ad Elena.
“Perchè non avete voi fatte queste camicie come ve l’aveva ordinato? diss’ella aspramente.
— Le abbiamo fatto come il modello, disse Elena con dolcezza; la mamma prese esatte misure e le tagliò ella stessa.
— Allora vostra madre deve aver perduto la testa per farmi un lavoro di tal fatta; ripigliatevelo di nuovo, e ricominciatelo„ e la signora prese a spiegare parte a parte tutti i cambiamenti che esigeva, e di cui non aveva fatto cenno in prima nè ad Elena, nè alla madre. Ciononostante assuefatta a questi duri modi, Elena riprese attristata il suo lavoro, ed a lenti passi si diresse alla casa.
“Oh! buon Dio, come mi duole la testa! disse fra sè. E la povera mia mamma che stamane dicevami di aver paura d’un’accesso di febbre... mentre ora dobbiam disfare il lavoro e ricominciarlo di nuovo.
— Oh mamma, diss’ella entrando con aria mesta, la signora Bude dice: Fate che lo sparato si vegga, scalfate il collare e unitelo in altra maniera. Asserisce che non sono uguali al modello che ci ha mandato. Ma eccolo qui: guardate, madre mia; è proprio la stessa forma delle nostre camicie.
— Ebbene, ragazza mia, riportatele il modello e persuadetela del suo inganno.
— In vero, mamma, ella mi parlò con tuono sì burbero, mi sogguardò con aria sì dura, che non mi sento il coraggio di ritornare da lei.
— Andrò io adunque per voi„ disse una giovinetta che era assisa accanto ad Ames quando Elena partì per i suoi bisogni. E questa graziosa giovinetta, Maria Stephens, era una sarta che stava lì presso alla signora Ames, sempre lieta, sempre col sorriso sulle labbra, svelta, e pronta a venire, in aiuto ad una vicina nel bisogno. Non appena ebbe pronunciate quelle parole prese il modello e le camicie e partì per fare l’assunta commissione.
Per calmare ed allegrare la povera Elena, Ames si studiava d’attennare l’asprezza di quel procedere, ma in ultimo, ne era ella medesima vivamente colpita. Come s’accorse che le lagrime, le spuntavano agli occhi, si allontanò dalla figlia, e s’accostò ad un tavolino su cui di sovente lavorava. Cavò da un cassetto una miniatura, a metà sbiadita, la riguardò con aria trista e disse sommessamente: “Finchè egli visse, ignorai che si fosse la povertà ed il bisogno„. Ohimè! quante povere vedove esprimono ogni giorno simili corucci!
Quasi tutto il corso della settimana la povera Ames fu obbligata a letto. Il medico le ordinò di non lavorare e serbarsi in assoluto riposo, prescrizione facile ad osservarsi dalle persone agiate, ma impossibile alle povere genti ed ai necessitosi pe’ quali ogni cosa è insormontabile ostacolo.
A quanti argomenti la buona e sensibile Elena ebbe ricorso perchè la madre non risentisse gl’inconvenienti inseparabili da quello stato! Quante volte alla madre inquieta della sua salute rispondeva: Io sto bene assai e non ho male gran fatto al capo; ed a tali affermazioni univa parole di conforto. E, nelle ore del giorno o della notte che le lasciava la malattia della madre, attendeva a condur a termine un lavoro in biancheria col provvento del quale sperava farle una sorpresa.
Molti articoli di tal genere erano compiuti, e ad Elena tardava l’ora di poter uscir di casa e recarsi ad una delle sue pratiche, la signora Page. “Oh! mi darà bene un dollaro di tanto lavoro, e quello basterà di certo a provvedere vino e droghe per la mamma.
— Ecco un lavoro ben fatto, disse la signora Page, esaminando le camicie ch’Elena le porgeva. Eccovene altre che vi prego di fare coll’istessa premura.„
Elena volse gli occhi alla signora Page, pensando che le avrebbe pagato il prezzo del lavoro, ma la signora Page s’accontentò di prendere un modello, che porse ad Elena, e dopo averle fatto conoscere in quali forme desiderava fosse fatto il lavoro, la congedò, senza profferir parola sul dollaro ch’ella aspettava tanto anziosamente. Non appena Elena si scosse dalla sorpresa, tentò due volte o tre di ritornare addietro, ma quell’esitare le fu fatale, poichè era già in strada e non erasi ancora a nullo decisa.
Eppure Page era una dolce ed amabile signora; abituata a trattar grandi somme in denaro non poteva supporre che un sol dollaro fosse per taluni un gran d’affare.
Così quand’Elena le portò il nuovo lavoro, che con molto premura aveva compiuto, perchè, si lusingava di riceverne al tempo stesso il dollaro arretrato, provò un novello rammarico, più vivo ancora del primo, quando in luogo di ricevere l’importo dei due conti, fu rimandata a mani vuote.
“Il denaro ve lo manderò domani„ disse la signora Page, a cui Elena aveva alla fine osato richiederlo. Ma venne l’indomane ed Elena fu dimenticata. Non fu che dopo due o tre nuove inchieste che le due piccole somme furono pagate.
Ma questi dettagli già furono di troppo protratti; affrettiamoci a concludere. La signora Ames rinvenne alla fine degli amici generosi, che avendo saputo apprezzare la delicatezza della sua indole, l’amabilità del suo carattere contribuirono colla loro influenza a rimetterla in una esistenza più avventurata. Che giubilo per la delicata Elena e la buona Maria, riunite ora alla madre in una dimora più grande, più comoda, più ariosa, di prendere assieme una tazza di thè, innanzi ad un buon fuoco! di richiamare alla memoria i passati stenti, per meglio fruire dell’amore che li univa, e tornar colla mente alla primitiva loro prosperità! Lavoro, condotta, perseveranza, virtù, ecco i vostri frutti!
Noi abbiamo ritratto questo schizzo dalla vita reale per produrre un’impressione più sicura. Le persone che fanno lavorare non pensano troppo di frequente che hanno a che fare con dei bisognosi, posti in mille strettezze come la vedova di cui abbiamo fatto cenno. Il procacciar lavoro è un’atto di carità assai importante, in questo senso che serve di alimento a quella classe di poveri, che ne sono i più meritevoli. Oprate adunque con tal pensiero fisso nella mente. Che ciascuno infreni le sue spese in modo di destinare una conveniente retribuzione ad ogni qualsiasi lavoro, e paghi pronto e con premura senza timore di passar oltre i limiti delle leggi economiche.
È meglio apprendere alle figliuole di risparmiare li costosi giojelli, e gli eleganti adornamenti. Val meglio negare a noi stessi il piacere di fare magnifici regali, o di prender parte a sottoscrizioni, abbian pure uno scopo di carità, anzichè menomare il salario a quelli, la cui candela non cessa d’abbrucciare nel corso della notte, e la cui opra d’ago è la sola risorsa per essi e i figliuoletti loro.