Il dottor Antonio/XVII
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CAPITOLO XVII.
Al Teatro.
La mattina seguente, recatosi al Santuario, Antonio trovò Lucy occupatissima nel fare un bozzetto della casa della signora Eleonora, con la intenzione di presentarglielo alla prima occasione. Sino a quella mattina non aveva Lucy mai scoperto quanto paresse pittoresco il vecchio palazzo; e con quanta grazia le scure vôlte del portico dinanzi contrastassero colla spaziosa terrazza scoperta, tutta verdeggiante di pergolati di viti. Antonio sedette accanto a Lucy, e cominciò raccontandole come la sera precedente avesse fatto visita ai Pistacchini, che avea trovati a far cena con un’insalata — per dar loro la desiderata notizia, che sir John Davenne e la sua figliuola onorerebbero l’indomani il Teatro della loro presenza. Disse come questa notizia fosse stata da lor ricevuta con espressioni di gioja frenetiche, con tanti viva, con tanto ballare per la stanza, e con gettar la povera insalata fuori della finestra; e che era stato un momento in dubbio se avesse dovuto, o no, ricorrere alla sua lancetta per calmante. — «A veder l’impresario,» proseguì il Dottore, «come l’ho veduto io questa mattina, far di sè parata per il Pantano in tutta la sua gloria, ricevendo e rispondendo, colla real condiscendenza conveniente ad un Aristodemo, alle domande di biglietti che fioccavano da tutte le parti; — a sentire la penetrante inflessione della sua voce, riferendomi confidenzialmente che i posti erano all’incanto, e che contava sopra un introito di un centinajo di franchi; — a vedere e sentir tutto ciò, si sarebbe dovuto pagar più che per una commedia. Voi farete la fortuna della Compagnia. Tutta Taggia si riunirà al Teatro per veder la famiglia inglese.»
— «Ma come sanno essi che noi vi saremo?» domandò Lucy.
— «In paesi piccoli come questo si sa subito ogni cosa; e poi i Pistacchini si son data ogni cura perchè il pubblico ne sia minutamente informato. Anche adesso, sopra il Cartellone di annunzio nel Pantano, sono annesse in lettere alte mezzo piede, le parole: Sotto il Patrocinio della Famiglia Inglese. E oltre a ciò, in ogni avviso manoscritto attaccato su tutte le cantonate, c’è in grosso carattere un «NB.: La presenza della Famiglia Inglese è certa.»
Lucy si divertì infinitamente alla notizia che ella era la principale attrattiva della rappresentazione di quella sera; e Antonio tirò innanzi esponendole i preparativi fatti. Da quel che poteva giudicare, c’era la possibilità che una cosa sola andasse male. La signora Eleonora con uno sforzo prodigioso aveva provveduto per il ricevimento di sir John e di sua figlia; e aveva procurato anco una camera per Speranza e la Hutchins. Tuttavia questo era tutto quanto ella poteva fare. Ora Antonio aveva i suoi dubbii sulla maniera con cui l’inglese John si vorrebbe accomodare ai piaceri e ai comodi della Locanda di Taggia, ove Battista era incaricato di condurlo. Egli aveva, è vero, veduto sorridere John quando eragli stato detto a qual prezzo avrebbe dovuto comperare il piacere del Teatro; «ma la sua ignoranza,» asseriva il Dottore, «è una felicità, della quale temo lo svegliamento. In ogni caso, domani alle due pomeridiane,» concluse il Dottore, «s’è stabilito con sir John che tutta la comitiva s’abbia a ritrovare al crocicchio della strada di Taggia con quella di Nizza, e torneremo a Bordighera.»
— «Io avrò piacere nel rivederla quella vecchia osteria,» disse Lucy sorridendo; «con quale trasporto ci accoglierà Rosa al ritorno!»
Poco dopo le sette della sera, sir John e Lucy montarono sulle mule che dovevano condurli a piè della montagna. Sir John erasi vestito con precisione ed eleganza, come avesse dovuto andare al Teatro Regio in una serata di ricevimento. Lucy portava la sua veste azzurra e il suo largo cappello di paglia, ornato da Speranza di fiordalisi e di papaveri; e pareva veramente amabilissima in quella lieve agitazione di cuore che le dava una straordinaria vivacità di volto. Essendo tuttavia giorno assai chiaro, la scesa, per quanto rapida, non era punto pericolosa; ma per tutta la strada Antonio tenne sempre la mano alle briglie della signorina. Lasciate le mule al principio del ponte, e raggiunti dai due famigliari inglesi e dagli amanti italiani, lo traversarono in ordine militare; girarono a sinistra, e dopo una passeggiata di cinque minuti lungo il fiumicello, giunsero incontanente incontro ad un bel palazzo. — «È una cosa strana, n’è vero?» osservò Antonio, «di trovare in una piccola città quale è Taggia, un palazzo appartenente a una famiglia particolare, di tanta magnificenza e di buon gusto come questo, con annesso un Teatro per giunta, quasi un’altra Versailles.»
Quivi stava affollato un crocchio numeroso nell’ansia della curiosità; ma il passo fu tosto aperto agli inglesi visitatori: i quali, per una porta a sinistra, vennero guidati da Antonio in un peristilio pieno zeppo di gente, anche essi sulla punta de’ piedi per dare un’occhiata agli illustri stranieri.
A sinistra della porta d’ingresso stava un tavolino coperto di panno rosso; e sul tavolino, fra due candele di cera ardente, un piatto di argento conteneva un bel mucchio di monete; e avanti a quel tavolino, come il dragone delle Esperidi, stava assiso la nostra nuova conoscenza, Orlando Pistacchini, in regio ammanto, e con in capo la regia benda di Aristodemo, re di Messene. Appena ebbe scorto da lungi sir John, si levò in piedi, portò ambe le mani al cuore; col quale atto fece un profondo inchino ai nuovi venuti. Sir John, precedentemente istruito da Antonio del modo usato in siffatte occasioni, lasciò scorrere un bello e compatto involtino di carta bianca nel piatto, il quale cadendo fece sentire un tintinnìo molto esilarante. L’aspettativa era al suo colmo, ogni collo allungossi, e si volse verso la tavola. Aristodemo fece di nuovo un inchino, si sentì per la mente una fiera ma fugace tentazione di dar di piglio all’involtino; però, vincendosi, si fece avanti su per una scala di legno, dirigendosi verso i due palchetti riservati. Qui si mise di nuovo le mani sul cuore, s’inchinò profondamente, e si ritirò senza volger le spalle come se fosse alla presenza di un re. Lucy depose il cappello; e appoggiandosi sul davanzale del palco, colle belle e ricche anella della sua chioma cadenti profusamente giù per le guance e il collo, eccitò un generale mormorìo di ammirazione da ogni parte, dalla platea e dai palchi.
Era un bel teatrino: splendidamente illuminato di candele di cera, e palchetti e platea pieni zeppi da soffocarvisi.
— «Tutta l’aristocrazia del luogo, ban e arrière-ban, sta al suo posto,» bisbiglia Antonio a Lucy.
— «Aristocrazia in Taggia!» disse Lucy sorridendo.
— «Sì, davvero, e una delle più altere aristocrazie,» osservò Antonio scaltramente. «A capo della lista sta una Marchesa, quella signora là, piuttosto avanzata, che pare — notate bene, dico solamente pare — non aver proprio nessuna pretesa. Questo palazzo e il teatro le appartengono, e la sua famiglia ha avuto la signoria del paese da tempo immemorabile. La Marchesa vi ha fatto questa sera il complimento di cedervi il suo palco.»
— «Quanta gentilezza!» esclama Lucy; «vorrei poterla ringraziare.»
— «Se vi piace, potete adottare la nostra moda italiana, e farle visita nel suo palco. Quel roseo naso e quella faccia gialla a sinistra adombrata da bianche piume, appartengono ad una Baronessa; e quel vecchio signore colla testa incipriata, che le parla all’orecchio, e si dà tant’aria d’importanza, è il Sindaco del paese. Quell’ardita figura, con occhi e capelli grigi, laggiù, che par così innocente...» — La descrizione di Antonio fu ad un tratto interrotta da un fischio acuto: e il sipario, alzandosi, scoprì allo sguardo Aristodemo, in quella attitudine particolarmente cupa, che pare la condizione normale di ogni eroe da tragedia. Ma tutti gli sforzi di Orlando per esprimere la disperazione officiale, non poterono vincere il giojoso brillar dello sguardo, in lui acceso dalla certezza di un introito enorme. Aristodemo rappresentò la sua parte con intelligenza, e incontrò bravamente la sua morte, e la sua caduta fu dichiarata mirabile dai conoscitori. Lucy, in tutto quel tempo, ebbe il piacere di godersi una duplice rappresentazione; e delle due, quella data sul palcoscenico non era la più interessante. A traverso di una fessura nel tramezzo di legno che divideva i due palchi, ella e Antonio potevano osservare nell’aspetto di Battista tutto il crescendo di terrore dipinto in viso al giovanotto, quando vide il re cercare il suo pugnale e provarne la punta, — «È per uccidersi?» domanda tutto commosso a Speranza. Quale balzo fece, e come gli si rizzarono proprio i capelli quando sentì vicino il suono dei passi dello spettro supposto nella tomba reale; e quando Aristodemo, fuori di sè a quel suono, si cacciò in quel punto il pugnale nel cuore!
La scappata di piccioni, che tenne dietro alla tragedia, provocò un incidente che accrebbe maggiormente la piacevole agitazione onde è accompagnato d’ordinario quel bello spettacolo. L’ingegnoso Pistacchini avea preparato, a suo credere, una piacevole sorpresa agl’intervenuti inglesi e al pubblico. Essa consisteva in un piccione, il quale, legato con un congegno a due cordicine tese a traverso il Teatro sino al davanzale del palco occupato dagli stranieri, doveva andare come da sè a portata di essi. Per non so quale impedimento, l’augello così lanciato compiè solo a metà la sua corsa aerea; e fermandosi a mezza via, restò appeso col capo all’ingiù in atto veramente compassionevole. Eccitò quella disgrazia un clamoroso fremito; tutta la platea si alzò a un tratto in piedi; i più entusiasti salirono sui banchi a braccia levate tentando invano di arrivare al piccione, mentre un grido universale chiamava fuori l’impresario. Pistacchini tosto si presenta, armato di una pertica; e saltando dal palco in platea, procura di spingere il povero uccello vicino a Lucy, tanto che Antonio lo potè sciogliere, e darlo, fra un tuono di applausi, in mano alla giovane inglese.
Terminata questa piccola aggiunta al trattenimento, che non trovavasi nel programma serale, Lucy uscì a far visita alla Marchesa, per ringraziare la nobil donna dell’averle ceduto il suo palco: «Con isquisita gentilezza,» disse miss Lucy, «perchè senza dubbio procurava la miglior veduta sul palcoscenico.» Parlò indi con tanta grazia della bellezza del palazzo e dell’eleganza del teatro, che lasciò la vecchia matrona altamente prevenuta in suo favore.
Dopo aver sofferto i prolungati terrori della tragedia, Battista si sarebbe potuto credere di aver diritto a qualche indennità per parte dell’impresario; e se così era, certamente ne ebbe una amplissima nella commedia rappresentata di poi. Chi potrebbe descrivere i suoi trasporti al vedere L’Ajo nell’imbarazzo, ascoltare, quasi colpito da fulmine, la confessione del suo pupillo maggiore, che è marito, sì, positivamente marito della signorina della casa di faccia! Povero Ajo! che dirà egli mai al padre del suo pupillo, il quale aveva ordinato e decretato che mai i suoi figli potessero scambiare una parola con persona di altro sesso! Nè solo ammogliato, ma, Dio ci ajuti, padre di un bambino, che si sente proprio in quel momento a gridare e a piangere! L’Ajo sta per strapparsi i capelli. Il suo pupillo, padre di famiglia, il suo padrone, nemico di matrimonii, divenuto nonno! In quali scoppii di risa infrenabili proruppe Battista quando il figlio minore di quel terribile conte fu sorpreso dal padre, in ginocchio, in atto di fare la sua dichiarazione amorosa a Marta, la vecchia cuoca! E poi, quando «l’imbarazzato Domine,» viene indotto ad andare a prendere il bambino, e tornando s’incontra per via a faccia a faccia col Conte, che tirato giù il meschino mantello al pover uomo, scuopre il piccolo Bernardino impastojato, come il misero piccione; quale estasi di contento potrebbe esser paragonata a quella di Battista? E davvero chi si sarebbe potuto tenere dal ridere, alle buffonerie di quella commedia? Anche a sir John Davenne, che intendeva pochissimo di quel che si recitava, appiccossi il contagio dell’ilarità; mentre per parte sua Lucy rideva quasi quanto Battista.
Restituì la visita, prima del finir della serata, la Marchesa; e venne anche il Sindaco come rappresentante della città, parte per far riverenza a sir John e miss Davenne, e parte per soddisfare la propria curiosità e quella della Baronessa; dalla quale aveva incarico di portar loro i complimenti. Lucy si compiacque realmente di tutte quelle attenzioni; e l’altero Baronetto non fu poco soddisfatto, sentendo quel beffardo di Dottore che gli descriveva minutamente, e colla gravità conveniente, i titoli e tutte le qualificazioni di quei personaggi.
Era passata la mezzanotte, quando il sipario fu calato per l’ultima volta; e la nostra comitiva fece la sua uscita di Teatro. Intanto confidava Antonio a Lucy, che egli riguardava John, che iva innanzi con Battista, divenuto solenne più del solito per il riflesso degli onori della serata — ch’egli lo riguardava come un martire. La cameriera poi della signorina inglese, la quale, a braccetto con Speranza, veniva dietro a sir John, Lucy e Antonio, sentivasi straordinariamente agitata. E quando si accorse che la comitiva del giovani — l’ebanista prominente fra tutti — avanti e dietro di lei, con torce accese, e cantando la «Buona sera» di Rossini, stavano per far loro onore, ella cominciò a piangere e a ridere nello stesso tempo, perchè, dichiarava, erano cose spaventosamente impressive! Arrivarono così accompagnati in casa della signora Eleonora, ove furono ricevuti da una svelta giovinetta e da un uomo; perchè all’accettazione dell’ospitalità della vecchia Signora, era stato messo qual patto che ella non li avrebbe aspettati. Dopo preso il thè, che era pronto, il Baronetto e la sua figliuola vennero condotti alle loro camere; Speranza e la Hutchins alle loro; e il Dottore se ne andò a trovare un letto in casa di qualch’altro amico.
La mattina seguente era piuttosto tardi, quando, dopo una notte di sonno profondo, Lucy si alzò. Andata ad aprir la finestra per goder l’aria fresca, scorse una gentil signora, vestita di nero, che passeggiava disotto in giardino, e parea con voce cauta e dimessa dèsse degli ordini alla svelta giovinetta, veduta la sera avanti da Lucy, e ora tutta in faccenda a cor de’ fiori per accrescere il mazzo più grosso che teneva in mano. Nell’aprire, il rumore della finestra fece alzar gli occhi alla signora Eleonora: — «Ah! buon giorno, miss Davenne,» disse la signora in tono di cordial saluto. «Mi si rallegra il cuore in vedervi: spero che non vi avremo disturbato il sonno.»
— «Oh! grazie, no davvero!» rispose Lucy facendosi rossa; «ho dormito così bene!»
— «Tanto meglio,» replicò la cortese matrona; «i giovani hanno bisogno di molto riposo. Bisogna che facciate sapere quando mi potreste ricevere. Mi par mill’anni di darvi un bacio su quel bel visino.»
Quando, poco tempo dopo, portando seco i fiori, la signora Italiana andò a visitare la sua ospite, c’era tanta soavità nella sua voce e nel suo sorriso, un non so che tanto commovente in quel velo di malinconia che le copriva, per dir così, tutta la persona; e qualcosa di tanto materno nel modo, quando prendendo nelle sue le mani di Lucy, ella spartì i capelli sulla di lei bella fronte, e la baciò e la chiamò «figlia mia;» che Lucy si sentì come impedita alla gola, e non potè rispondere alle gentili inchieste sulla sua salute, e piegò il suo amabile capo sul seno della nuova amica. In quel momento Lucy non potè tenersi di pensare alla sua cara madre.
Mentre le due signore facevano così conoscenza fra loro, sir John era stato a fare un giro di ispezione; e da quanto avea veduto, riceveva impressioni molto favorevoli, sia rispetto all’abitazione, sia rispetto al proprietario. Benchè gli scuri portici e il colonnato di pietra conducenti all’interno della casa non paressero nemmeno la metà grandi di quello che fossero apparsi a luce di torce la notte precedente; pure essi, come il bruno e solido palazzo, avevano una solenne e severa apparenza, che piaceva e interessava moltissimo l’inglese. Gli affreschi delle mura consunte dal tempo, mezzo cancellati; la statua mutilata della fontana di marmo rimpetto all’ingresso; lo stemma scolpito in pietra nera sopra le porte e sopra le larghe cappe degli immensi focolari nelle stanze; tutti questi vestigi di antico splendore erano stati osservati e commentati in favore della signora Eleonora, e avevano messo in moto il bernoccolo della venerazione per le cose e i tempi antichi, che era uno de’ più prominenti sul cranio del Baronetto. Antonio, venuto per far colazione, colse d’improvviso il Baronetto, che stava in piedi col capo all’indietro, a quel che pareva, meditando sopra una specie di vecchio imbuto, con due fori sopra la porta, che il dottor Antonio disse essere un annesso di molte case vicine alla costa, fattovi per dar modo a quei di dentro di gittar bollenti materie sopra gli assalitori. L’aspetto della Castellana, che veniva allor dal giardino tenendosi per mano Lucy, compì la serie di piacevoli impressioni ricevute dal Baronetto; il quale, non potendo esprimere in altro modo i suoi sentimenti, si fece avanti frettoloso per condurre la vecchia Signora in casa con tutto il dovuto rispetto. La signora Eleonora, non solo aveva aria di gentildonna, come egli susurrò poi sottovoce ad Antonio, ma aveva ancora tutta la dignità di modi convenienti ad una dama di Corte.
La tavola fu imbandita sulla terrazza, della quale abbiamo già avuto occasione di parlare; e la signora Eleonora e i di lei ospiti si sedettero a far colazione all’ombra piacevole di una vite, la quale, condotta sopra un pergolato, ne pendeva in festoni e formava un muro di verzura da ogni lato, eccetto che dal mezzogiorno, d’onde godevasi una splendida prospettiva di marina. La signora Eleonora fece gli onori della tavola con quella facil grazia di modi, con i quali una vera signora della vecchia scuola sa tanto ben nascondere la sua instancabile attenzione e tutto ciò che può esser grato ad ogni ospite. A vederla sorridere con tanta compiacenza, a sentirla discorrere con tanta vivacità, non avreste mai immaginato che la gentil vecchia Signora avesse in cuore ferite che sanguinavano continuamente. La signora Eleonora non faceva parte di quella numerosa consorteria, che si serve delle proprie pene come di una clava per abbattere l’animo degli altri. E davvero nelle due ore da lei passate in compagnia di Lucy, quell’anima cortese non aveva fatto neppure la più lontana allusione ai suoi tormenti; e Lucy, benchè desiderasse ardentemente di mostrarle la sua simpatia, non avea osato entrare in un argomento passato così sotto silenzio da lei. Tuttavia, incoraggiata dalla presenza del Dottore, la nostra soave inglesina si fece ardita sino a domandare alla signora Eleonora come stessero i suoi due figli. — «Stavano benissimo, quando ne ebbi le ultime notizie,» fu la risposta di lei.
— «Spero,» proseguì Lucy dopo una breve esitazione, «che ne riceviate nuove regolarmente.»
— «Assai regolarmente, sino adesso,» disse la vecchia Signora, «grazie a Dio. Un po’ più presto, o un po’ più tardi, le lettere de’ miei figli si sono sempre fatte strada fino a me.»
Gli occhi di Lucy si volsero ad Antonio.
— «La signora Eleonora,» spiegò il Dottore, «vuol dire che la persona, o le persone deputate ad aprire e riveder le lettere de’ suoi figli a lei, o di lei ad essi, sono state sinora generose abbastanza da lasciar che arrivassero al loro destino.»
— «Oh! sta troppo male,» esclama l’ardente Lucy, «di frapporsi così fra una madre e i figli!»
— «Pure, brutto com’è il caso,» osserva con dolcezza la Signora, «potrebbe anche esser peggiore. Ho sentito a dire di poveri emigrati polacchi, che per anni ed anni videro spietatamente intercettata ogni corrispondenza in iscritto con le loro madri e colle mogli.»
Il dabbene sir John, informato dell’argomento da esse trattato, dichiarò che stimava quell’accusa, così gittata in faccia al Governo, «essere di carattere tanto serio e odioso che... che... che...»
— «Che appena potete crederla,» scappa fuori Antonio, «a meno non sia provata dai fatti. Ed è giusto. Mi permette la signora Eleonora che conti a sir John la storia del Maresciallo francese?»
Avendo la signora Eleonora acconsentito sorridendo, Antonio proseguì: — «Uno de’ figli della signora Eleonora, allora fanciullo di otto anni, quivi abitando, si era affezionato moltissimo a un fanciullo della sua età, nativo di Taggia; ed erano divenuti compagni di giuoco e amici intrinseci. Nel decorso degli anni, questo fanciullo fu preso nell’esercito, e divenne sergente. Venuto quel giovane, due anni fa, a riveder quivi i suoi parenti, la signora Eleonora, com’era naturale, scrivendo al figlio, gli parlò del suo antico compagno di giuochi, ch’era un bel soldato di ventott’anni, e divenuto sott’uffiziale. Il figlio della Signora rispose che era contentissimo della fortuna del «Maresciallo,» così chiamando scherzosamente il suo antico compagno di giuochi. Benissimo. Dopo pochi giorni ricevuta quella lettera, venne dalla signora Eleonora proprio quello stesso vecchio Signore incipriato, che vi fece visita jersera nel vostro palco; in una parola, il Sindaco di Taggia in persona, che le chiede di presentargli immediatamente il Maresciallo francese ricoverato in sua casa; altrimenti sarebbe stato con dispiacere — perchè questi erano gli ordini precisi da Torino — obbligato a procedere ad una perquisizione nella casa. La signora Eleonora, da principio appena poteva credere alle proprie orecchie: un Maresciallo francese! — Dove mai ella ne aveva conosciuto alcuno? Alla fine, rammentatasi della lettera del figlio, si diè a ridere tanto di cuore del degno Magistrato, che questi proprio più non sapeva ove avesse la testa. Poi, date spiegazioni e mostrata la lettera, la cosa terminò così.»
Sir John aveva già sentito parlare di Commissioni militari, create per giudicare, fucilare e appiccare i liberali italiani a dozzine; aveva sentito di migliaja di essi languenti in prigione, o vaganti senza ricovero per il mondo; ma nessuna di quelle disgrazie collettive aveva tanto eccitato la sua simpatia e risvegliata la sua indignazione, quanto questo piccolo aneddoto. C’era troppo del puerile e del vigliacco in cotesta sorveglianza, diceva egli. — Così una dose di medicina omeopatica, talvolta si è veduta agire potentemente su persone di tale temperamento, le quali avevano resistito a medicine aleopatiche di dose cento volte maggiore. Forse anche la vista della donna gentile cui erano state fatte quelle indegnità, aveva ridestato tutto il vecchio uomo in cuore di sir John. Supponiamo che allora egli non avesse conosciuto quel certo Statuto inglese, per cui è data autorità, in paese libero e costituzionale, in alcune circostanze, sotto certe regole, di rompere il sigillo delle lettere private e scrutarne il contenuto; si può scommettere dieci contro uno, che s’egli venne a risapere siffatto Regolamento, quantunque egli odiasse fino il nome di riforme, pure in questo caso la desiderò e fece quanto era in suo potere onde venisse adottata.
Dopo colazione, Lucy andò in camera a prendere il bozzetto ch’ella aveva fatto della casa della signora Eleonora. Piacque moltissimo alla Signora, quanto se fosse stato un lavoro di ben altro che di un principiante. E appendendolo al muro nella sala, le disse che guardandolo avrebbe pur sempre pensato alla sua giovane amica inglese. Era ormai tempo di partire. La signora volle a ogni modo accompagnarli fino a capo del viale. Sir John le offrì il braccio; e faceva piacere il vedere con quale aria di cortesia e di rispetto conducesse la sua ospite, e la cura che si dava per misurare con quelli di lei i suoi passi. Il commiato fra le due signore fu affettuoso; si separarono piuttosto come amiche che quali conoscenze di poche ore. Apparvero delle grosse lacrime negli occhi di Lucy, mentre baciava cordialmente le guance appassite della vecchia signora, e dicevale: — «Prego Dio che abbiate un giorno la consolazione di vedervi restituiti que’ due cari vostri.» E negli occhi della signora Eleonora tremolavano pur le lacrime, nel momento che baciava la giovanetta florida e bella, e le rispondeva: — Possa Iddio esaudire la vostra preghiera. Io vivo di speranza; ma se il Signore ha deciso altrimenti, ho fede che ci rivedremo lassù;» e sollevò gli occhi al cielo. «Dio vi benedica. A rivederci!» — e partirono.
La signora Eleonora si fermò ancora a far loro un ultimo baciamano prima che sparissero al voltar della strada. Poscia a passi lenti e col capo chino verso il suolo, la povera desolata si ritirò nella sua casa solitaria.