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a qual prezzo avrebbe dovuto comperare il piacere del Teatro; «ma la sua ignoranza,» asseriva il Dottore, «è una felicità, della quale temo lo svegliamento. In ogni caso, domani alle due pomeridiane,» concluse il Dottore, «s’è stabilito con sir John che tutta la comitiva s’abbia a ritrovare al crocicchio della strada di Taggia con quella di Nizza, e torneremo a Bordighera.»

— «Io avrò piacere nel rivederla quella vecchia osteria,» disse Lucy sorridendo; «con quale trasporto ci accoglierà Rosa al ritorno!»

Poco dopo le sette della sera, sir John e Lucy montarono sulle mule che dovevano condurli a piè della montagna. Sir John erasi vestito con precisione ed eleganza, come avesse dovuto andare al Teatro Regio in una serata di ricevimento. Lucy portava la sua veste azzurra e il suo largo cappello di paglia, ornato da Speranza di fiordalisi e di papaveri; e pareva veramente amabilissima in quella lieve agitazione di cuore che le dava una straordinaria vivacità di volto. Essendo tuttavia giorno assai chiaro, la scesa, per quanto rapida, non era punto pericolosa; ma per tutta la strada Antonio tenne sempre la mano alle briglie della signorina. Lasciate le mule al principio del ponte, e raggiunti dai due famigliari inglesi e dagli amanti italiani, lo traversarono in ordine militare; girarono a sinistra, e dopo una passeggiata di cinque minuti lungo il fiumicello, giunsero incontanente incontro ad un bel palazzo. — «È una cosa strana, n’è vero?» osservò Antonio, «di trovare in una piccola città quale è Taggia, un palazzo appartenente a una famiglia particolare, di tanta magnificenza e di buon gusto come questo, con annesso un Teatro per giunta, quasi un’altra Versailles.»

Quivi stava affollato un crocchio numeroso nell’ansia della curiosità; ma il passo fu tosto aperto agli inglesi visitatori: i quali, per una porta a sinistra, vennero guidati da Antonio in un peristilio pieno zeppo di gente, anche essi sulla punta de’ piedi per dare un’occhiata agli illustri stranieri.

A sinistra della porta d’ingresso stava un tavolino coperto di panno rosso; e sul tavolino, fra due candele di cera ardente, un piatto di argento conteneva un bel mucchio di monete; e avanti a quel tavolino, come il dragone delle Esperidi, stava assiso la nostra nuova conoscenza, Orlando Pistacchini, in regio ammanto, e con in capo la regia benda di Aristodemo, re di Messene. Appena ebbe scorto da lungi sir John, si levò in piedi, portò ambe le mani al cuore; col quale atto fece un profondo inchino ai