Il diavolo nella mia libreria/Memorie di giovinezza
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Memorie di giovinezza.
Fin da quando io ero giovinetto e leggevo l’Ebreo Errante del Sue, provavo un'ammirazione mescolata a terrore per i gesuiti. E quanto più leggevo, o mi dicevano che i gesuiti erano autori dei più grandi misfatti, ma che era impossibile recarne una prova, tanto più li ammiravo. E quando mi dicevano: «quello è un gesuita, lo guardavo come un essere soprannaturale. Avrei voluto avvicinare qualche gesuita, e domandare: «è vero che lei?..»
Un giorno mi avvenne di conoscerne uno... o quasi; ed è stato così. Avevo allora circa venti anni: lottavo all’Università con la filologia comparata, a casa col desinare, che non voleva andar d’accordo con la cena, in città con una signorina che aveva respinto tutto un mio epistolario, e mi aveva fatto sapere che mai avrebbe sposato una testa calda. In queste condizioni di cose mi trovai con tre miei coetanei della mia città; uno, studente di scienze, roso dal troppo ingegno, dalla miseria e poi dalla tisi (che lo distrusse poco di poi); uno, marinaio; uno, operaio delle ferrovie. Decidemmo di formare una società segreta allo scopo di mutare faccia alla terra.
«La cosa è possibile — disse quello che era studente di scienze. — Un uomo del nord ha scoperto la dinamite».
Non è credibile la gioia che noi provammo quando il nostro fratello (ci chiamavamo così, perchè allora l'odio fra i lavoratori del cervello e quelli della mano non aveva preso lo sviluppo che ha ai nostri giorni) ci spiegò come, anche essendo in pochi, era possibile con l'aiuto della dinamite mutare faccia alla terra. Egli ci spiegò che cosa era la dinamite e noi eravamo felici.
Ognuno di noi quattro prese la sua parte di lavoro: io come studente di letteratura dovevo redigere il programma del rinnovamento del mondo.
Di solito questi programmi si redigono di notte, o nelle osterie: io invece, mi alzavo presto e mi recavo per le opportune ispirazioni su la punta del molo, quando si leva il sole.
Questi programmi mi riuscivano assai facili, tanto che ne composi parecchi. Ma in ciascuno di essi c’era sempre la signorina, che mi aveva respinto, condannata a morte lei e i suoi genitori bigotti. Veniva poi anche la grazia; ma a condizioni ben determinate.
Era la stagione dei bagni di mare; ma in quell’ora prima del sole, su la spiaggia non si vedeva nessuno fuorché una testa nera che spiccava nello specchio lattiginoso del mare.
Tutte le mattine, quella testa. Una mattina, giro lo sguardo, guardo: la testa c'era prima; ora non c'era più! C'erano due mani che annaspavano; poi più niente.
L’uomo annegava. Fu salvato. E quando fu vestito, vestiva la tonacella nera.
Era giovane press’a poco della mia età. Sorrideva dolcemente, ringraziava di essere stato salvato, ma non con eccessiva effusione. Gli domandai quali impressioni avesse provato. Rispose che quando s’accorse che annegava, aveva invocato il nome di Maria, era andato giù, e ci si trovava bene, o almeno non ricordava più nulla.
Quasi mi dispiacque di averlo salvato. E dicendogli poi che era imprudenza, non conoscendo il nuoto, andare in mare in quell'ora, da solo, discretamente fece capire che così faceva perchè a quell'ora non galleggiavano, su le acque, le donne. Non era della città, questo pretino, ma foresto; e i medici quivi lo avevano mandato a far la cura del mare. Si affezionò a me, e quasi ogni dì, in quella estate, veniva a bussare alla mia porta; e ricordo una mia vecchia fante, la quale non apriva che a malincuore la porta; ma quando veniva il pretino si precipitava con gioia come quando arriva il medico.
Andavamo poi a spasso insieme fuori delle mura; e mi dicea che il suo gran dolore era questo: che essendo di malferma salute forse non sarebbe stato accolto come professo nella società di Gesù.
Egli non rifuggiva dall'affrontare qualsiasi anche scabroso argomento, ma ne trattava come di cosa passeggera e mondana. Aveva una sua pacata e inflessibile logica, ma nella quale io sentivo come una mancanza di vita. Ecco! «Lei non ha libertà!» io dicea.
Allora lui mi guardava con piccolo quasi schernevole sorriso: «Libertà? Ma io sono liberissimo. Lei non può credere la beatitudine di avere per pensiero e per volontà il pensiero e la volontà degli altri; ma perchè questo pensiero e questa volontà altrui noi accettiamo liberamente, così nessuno è più libero di noi».
Il pretino partì, mi scrisse qualche lettera; poi deve essere morto anche lui.
Ma quelle sue parole mi tornano oggi alla memoria trasformate, così: «gli uomini veramente liberi sono quelli che pensano con la testa degli altri.»
Ragionare? persuadere? fare l’uomo libero? Impossibile, e perciò inutile.
Io credevo che questo fosse sistema dell’ancien régime, ma rimane anche, senza volerlo, sia pure, anche nel nouveau régime. Trovo, ad esempio, queste notevoli parole fra le istruzioni segrete di una setta liberale del secolo scorso: le discussioni dotte non sono necessarie né opportune, avendosi a fare con le masse. La scienza e la logica sono istrumenti senza punta: non sono pugnali. Quindi mentire, affermare e tirare innanzi, senza curare chi smentisce: disprezzando chi afferma il contrario.
Quello che importa è il mito dominante in un'età. Gli uomini ubbidiscono a questo mito; e se occorre spargere sangue, il sangue non fa orrore.
Nel Seicento, i gentiluomini, con piume e cappe, fra l'ora della messa e quella del pranzo, assistevano da posti distinti agli auto da fé degli eretici; poi il popolo assistette alla ghigliottina che tagliava la testa ai gentiluomini.
Se il sangue sparso risponde ad un mito, bene sta.
⁂
Per queste ragioni io vedo oggi i Gesuiti con l'occhio tranquillo con cui mi apparve qualsiasi partito che domina un’età storica.
Vedo ora Sant'Ignazio come uno dei più formidabili disciplinatori di uomini che mai siano stati e i Gesuiti io li vedo come dighe di basalto arginare, finché poterono, la storia, secondo il loro mito. Fecero in Oriente cose eroiche per sacrificio di sé. Certamente erano intolleranti: è questa massima che ricorre per tutti questi sei volumi di teologia stampati nel Seicento dalla Tipografia della Sapienza in Roma: la tolleranza in religione è empia e assurda, grava su di me.
Ma altre formule di intolleranza gravano su di me; e non sono del Seicento!
Il loro mito o piano costruttivo era a fine di bene, anche perchè non esistono piani costruttivi o miti a fine deliberato di male.
I Gesuiti dicevano ai popoli così (e questo ci è noto); «Dio fece la società umana monarchica: diede un padre alla famiglia e fece sudditi i figli: fece i Patriarchi, i Giudici, i Re, unti col santo olio, e suoi rappresentanti in terra. Essi non possono essere giudicati che dai Profeti e dai sacerdoti».
Non è esatto: ma anche altre formule non sono esatte.
Sui troni stanno i re col manto e il globo del mondo in mano.⁂
Oh serenissimi re, principi, imperatori! Forse troppo sereni. Vi contemplo in queste vecchie stampe. La parrucca cade a cannelloni su la corazza. «Bel mestiere fare il re», pare dicano i bei volti sbarbati dei serenissimi re. Tutti gli uomini sono sudditi, tutti fedelissimi vassalli. La plebe è taillable et corveable à merci!
Ma i Gesuiti che vegliavano all'ombra dei troni, è probabile che dicessero in segreto: «Sì, ma siate più seri! Meno tripudi! Attenti che non ruzzoli quel mappamondo che avete in mano».