Il crepuscolo degli idoli/La morale in quanto manifestazione contro natura

La morale in quanto manifestazione contro natura

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Friedrich Nietzsche - Il crepuscolo degli idoli (1889)
Traduzione dal tedesco di Anonimo (1924)
La morale in quanto manifestazione contro natura
Come il Mondo-verità divenne infine una favola I quattro grandi errori

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LA MORALE IN QUANTO
MANIFESTAZIONE CONTRO NATURA.


1.


Tutte le passioni hanno un tempo in cui esse non sono che nefaste, in cui avviliscono le loro vittime con la pesantezza della bestialità, — ed un’epoca tardiva, molto più tardiva in cui esse si coniugano con lo spirito, in cui si «spiritualizzano». Una volta, a causa della bestialità nella passione, si faceva la guerra alla passione stessa: si congiurava per annientarla, — tutti gli antichi giudizi morali sono d’accordo su questo punto, «il faut tuer les passions». La più celebre formula che ne sia stata data si trova nel nuovo Testamento, in quel Sermone sulla Montagna, dove, sia detto per incidenza, le cose non sono affatto viste da una altezza. Vi è detto, per esempio, con applicazione alla sensualità: «Se il tuo occhio è per te una occasione di caduta strappalo»: fortunatamente nessun cristiano agisce secondo questo precetto. Distruggere le passioni e i desiderî, soltanto a causa della loro bestialità e per prevenire le conseguenze sgradevoli della loro bestialità, ciò non ci sembra essere [p. 75 modifica]oggi che una forma acuta della bestialità. Noi non ammiriamo più i dentisti che strappano i denti perchè non facciano più male... Si confesserà con qualche ragione, d’altra parte, che, sul terreno in cui s’è sviluppato il cristianesimo, l’idea di una «spiritualizzazione della passione» non poteva del tutto essere concepita. Giacchè la chiesa primitiva lottava, come si sa, contro gli «intelligenti», a beneficio dei «poveri di spirito»: come si poteva attendersi da essa una guerra intelligente contro la passione? — La chiesa combatte le passioni mediante l’estirpazione radicale: la sua pratica, il suo trattamento è il castratismo. Essa non domanda mai: «Come si spiritualizza, imbellisce e divinizza un desiderio?» — In ogni tempo essa ha messo il peso della disciplina nello sterminio (— della sensualità, della fierezza, del desiderio di dominare, di possedere e di vendicarsi). — Ma attaccare la passione alla sua radice, vuol dire attaccare la vita alla sua radice: la pratica della chiesa è nociva alla vita...


2.


Lo stesso rimedio, la castrazione e la estirpazione, è impiegato istintivamente nella lotta contro il desiderio da coloro che sono troppo deboli di volontà, troppo degenerati per poter imporre una misura a codesta volontà; per queste nature che hanno bisogno della Trappa, per parlare in immagine (e senza immagine), di una definitiva dichiarazione di guerra, di un [p. 76 modifica]abisso tra essi e la passione. Non sono che i degenerati che trovano i mezzi radicali indispensabili; la debolezza della volontà, per parlare più esattamente, la incapacità di non reagire affatto contro una seduzione non è essa stessa che un’altra forma della degenerazione. L’inimicizia radicale, l’odio a morte contro la sensualità è un sintomo grave: si ha il diritto di fare delle supposizioni sullo stato generale di un essere talmente eccessivo. — Questa inimicizia ed odio raggiungono d’altronde il loro colmo quando simili nature non possiedono più abbastanza fermezza, neanche per le cure radicali, neanche per la rinunzia al «demone». Si percorra tutta la storia dei preti e dei filosofi, compresavi quella degli artisti: non sono gli impotenti, non gli asceti che dirigono le loro frecce avvelenate contro i sensi, sono gli asceti impossibili, quelli che avrebbero avuto bisogno di essere degli asceti...


3.


La spiritualizzazione della sensualità si chiama amore: essa è un grande trionfo sul cristianesimo. L’avversione è un altro trionfo della nostra spiritualizzazione. Essa consiste nel comprendere profondamente l’interesse che vi è nell’avere dei nemici: in breve, nell’agire e nel concludere inversamente da come si agiva e concludeva un tempo. La Chiesa ha sempre voluto l’annientamento dei suoi nemici: noialtri, immoralisti ed anticristiani, noi vediamo un [p. 77 modifica]vantaggio nell’esistenza della Chiesa... Nelle cose politiche, l’avversione è ora diventata così più intellettuale, più saggia, più riflessiva, più moderata. Ogni partito vede un interesse di conservazione propria nel non lasciare esaurirsi il partito avversario; lo stesso avviene per la grande politica. Una nuova creazione, per esempio, il nuovo Impero, ha più bisogno di nemici che di amici: non è che per il contrasto che essa comincia a sentirsi necessaria, a divenire necessaria. Noi non ci comportiamo diversamente a riguardo del «nemico interiore»: là pure noi abbiamo spiritualizzato l’avversione, là pure noi abbiam compreso il suo valore. Bisogna essere ricchi in opposizione, non è che a questo prezzo che si è fecondi; non si rimane giovani che a condizione che l’anima non si riposi, che l’anima non domandi la pace. Niente è divenuto più straniero per noi di ciò che un tempo era l’oggetto dei desiderî, la «pace dell’anima» che auguravano i cristiani; niente è meno oggetto della nostra invidia che il gregge morale e la grassa felicità della coscienza tranquilla. Si rinuncia alla vita grande allorchè si rinunzia alla guerra... È vero che in molti casi la «pace dell’anima» non è che un malinteso; essa è allora qualche cosa di altro che non saprebbe onestamente designarsi. Senza ambagi e senza pregiudizi, citerò qualche caso. Per esempio la «pace dell’anima» può essere il dolce ragionamento di un’animalità ricca nel dominio morale (o religioso). Oppure il cominciamento della fatica, la prima ombra che getta la sera, che getta ogni specie di sera. Oppure un segno che l’aria è umida, che il vento del sud [p. 78 modifica]principia a soffiare. Oppure la involontaria riconoscenza per una buona digestione (si chiama anche amore dell’umanità). Oppure la tregua del convalescente il quale ricomincia a prender gusto ad ogni cosa e che attende... Oppure lo stato che segue ad una forte soddisfazione della nostra passione dominante, il benessere di una rara sazietà. Oppure la caducità della nostra volontà, dei nostri desiderî, dei nostri vizi. Oppure la pigrizia che la vanità spinge a paludare di moralità. Oppure la venuta di una certezza, anche di una certezza terribile. Oppure l’espressione della maturità e della padronanza, in mezzo all’attività, al lavoro, alla produzione, al volere; la respirazione tranquilla allorchè la «libertà della volontà» è raggiunta... Crepuscolo degli Idoli: chissà? forse ciò pure è una specie di «pace dell’anima»...


4.


Io pongo un principio in formula. Ogni naturalismo nella morale, cioè ogni sana morale, è dominata dall’istinto di vita, — un comandamento qualunque della vita è ripieno da un determinato canone di «ordini» e di «divieti», un impaccio od una inimicizia qualsiasi, sul dominio vitale, è messa così da parte. La morale anti-naturale, cioè ogni morale che è stata fino al presente insegnata, venerata e predicata, si dirige, al contrario, precisamente contro gli istinti vitali, essa è una condanna, talvolta segreta, talvolta chiassosa e sfrontata, di quegli istinti. [p. 79 modifica]Allorchè dice: «Dio guarda i cuori», essa dice no alle aspirazioni interiori e superiori della vita e considera Dio come il nemico della vita... Il santo che piace a Dio è il castrato ideale... La vita finisce ove comincia il «Regno di Dio»...


5.


Ammettendo che si sia compreso ciò che vi è di sacrilego in un simile sollevamento contro la vita, tanto che è divenuto sacrosanto nella morale cristiana, per ciò stesso si sarà fortunatamente compreso un’altra cosa ancora: ciò che vi è di inutile, di artificiale, di assurdo, di menzognero in un simile sollevamento. Una condanna della vita da parte del vivente non è finalmente che il sintomo di una specie di vita determinata: senza domandarsi in alcun modo se ciò è a torto od a ragione. Bisognerebbe prendere posizione al difuori della vita, e d’altra parte conoscerla tanto bene quanto uno che l’ha attraversata, quanto molti ed anche tutti coloro che vi sono passati, per non poter toccare che al problema del valore della vita: sono queste delle ragioni sufficienti per comprendere che questo problema è al difuori della nostra portata. Se noi parliamo del valore, noi parliamo sotto l’ispirazione, sotto l’ottica della vita: la vita essa stessa ci forza a determinare dei valori, la vita essa stessa evolve per causa nostra allorchè noi determiniamo dei valori... Ne consegue che ogni morale contro natura che considera Dio come l’idea contraria, come la [p. 80 modifica]condanna della vita, non è in realtà che una valutazione della vita, — di quale vita? di quale specie di vita? Ma io ho già dato la mia risposta: della vita discendente, indebolita, stancata, condannata. La morale, come è stata intesa fino ad oggi, — come è stata formulata ultimamente da Schopenhauer, come «negazione della volontà di vivere» — questa morale è lo stesso istinto di decadenza, il quale si trasforma in imperativo: essa dice: «vai alla tua perdita!» — essa è il giudizio di coloro che sono già stati giudicati...


6.


Consideriamo infine quale ingenuità vi è nel dire: «L’uomo dovrebbe esser fatto di tale natura!» La realtà ci mostra una meravigliosa ricchezza di tipi, una esuberanza nella varietà e nella profusione delle forme: e non importa niente che un qualsiasi pietoso moralista da quadrivio venga a dirci: «No! l’uomo dovrebbe esser fatto diversamente»... Egli sa pure come dovrebbe essere, quel povero diavolo di bacchettone, egli fa il suo proprio ritratto su per i muri e dice «Ecce Homo!»... — Anche quando il moralista non si rivolge che all’individuo per dirgli: «È così che tu devi essere!», egli non cessa di rendersi ridicolo. L’individuo, quale che sia la maniera di considerarlo, fa parte della fatalità, è egli una legge di più, una necessità di più per tutto ciò che è da venire. Dirgli: «Cambia la tua natura!», sarebbe augurarsi la trasformazione di tutto, anche una [p. 81 modifica]trasformazione in dietro... E veramente, vi sono stati dei moralisti conseguenti i quali volevano che gli uomini fossero diversi, cioè virtuosi, volevano gli uomini a loro immagine, all’immagine dei bacchettoni: è perciò ch’essi hanno negato il mondo. Niente piccola follìa! Niente maniera modesta d’immodestia... La morale, per poco ch’essa condanni, è, per se stessa e non in riguardo alla vita, un errore specifico che non bisogna prendere pietosamente, una idiosincrasia di degenerati che ha fatto immensamente del male!.... Noialtri immoralisti, al contrario, abbiamo largamente aperto il nostro cuore ad ogni specie di comprensione, d’intelligibilità e di approvazione. Noi non neghiamo facilmente, non poniamo il nostro onore nell’essere affermatori. I nostri occhi si sono aperti sempre più per questa economia che ha bisogno e che sa servirsi di tutto ciò che la santa irragionevolezza, la ragione morbosa del prete rispetta, per quella economia nella legge vitale che trae il proprio vantaggio anche dai più ripugnanti esemplari di bacchettoni, di preti e di padri la Virtù, — quali vantaggi? — Ma noi stessi, noialtri immoralisti, siamo qui una vivente risposta...