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FEDERICO NIETZSCHE

na della vita, non è in realtà che una valutazione della vita, — di quale vita? di quale specie di vita? Ma io ho già dato la mia risposta: della vita discendente, indebolita, stancata, condannata. La morale, come è stata intesa fino ad oggi, — come è stata formulata ultimamente da Schopenhauer, come «negazione della volontà di vivere» — questa morale è lo stesso istinto di decadenza, il quale si trasforma in imperativo: essa dice: «vai alla tua perdita!» — essa è il giudizio di coloro che sono già stati giudicati...


6.


Consideriamo infine quale ingenuità vi è nel dire: «L’uomo dovrebbe esser fatto di tale natura!» La realtà ci mostra una meravigliosa ricchezza di tipi, una esuberanza nella varietà e nella profusione delle forme: e non importa niente che un qualsiasi pietoso moralista da quadrivio venga a dirci: «No! l’uomo dovrebbe esser fatto diversamente»... Egli sa pure come dovrebbe essere, quel povero diavolo di bacchettone, egli fa il suo proprio ritratto su per i muri e dice «Ecce Homo!»... — Anche quando il moralista non si rivolge che all’individuo per dirgli: «È così che tu devi essere!», egli non cessa di rendersi ridicolo. L’individuo, quale che sia la maniera di considerarlo, fa parte della fatalità, è egli una legge di più, una necessità di più per tutto ciò che è da venire. Dirgli: «Cambia la tua natura!», sarebbe augurarsi la trasformazione di tutto, anche una trasfor-

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