Il crepuscolo degli idoli/Ciò che i tedeschi sono in procinto di perdere

Ciò che i tedeschi sono in procinto di perdere

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Friedrich Nietzsche - Il crepuscolo degli idoli (1889)
Traduzione dal tedesco di Anonimo (1924)
Ciò che i tedeschi sono in procinto di perdere
Coloro che vogliono rendere l'umanità migliore Oziosità inattuali
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CIÒ CHE I TEDESCHI SONO IN PROCINTO
DI PERDERE.


1.


Non basta oggi tra i Tedeschi aver dello spirito: bisogna ancora prenderne, arrogarsi dello spirito....

Io forse conosco i Tedeschi ed ho forse il diritto di dir loro qualche verità. — La nuova Germania rappresenta una forte dose di capacità ereditate ed acquisite, in modo che, durante un certo tempo, essa può dispensare largamente il suo tesoro di forze accumulate. Non è un’alta cultura che domina insieme ad essa, meno ancora un gusto delicato, una nobile «bellezza» degli istinti; ma sono delle virtù più virili di quelle che potrebbe offrire un altro paese di Europa. Molto buon coraggio e rispetto di sè stesso, molta sicurezza nelle relazioni e nella reciprocità dei doveri, molta attività e tolleranza, ed una ereditaria sobrietà che ha bisogno di stimolo piuttosto che di ostacolo. Aggiungo che qui si obbedisce ancora senza che l’obbedienza umilii... e nessuno disprezza il suo avversario...

Si vede che io non cerco di meglio che rendere giustizia ai Tedeschi: in ciò non vorrei mancare a me [p. 101 modifica]stesso — bisogna dunque che io faccia loro le mie obbiezioni. Costa molto arrivare al potere: il potere abbrutisce... I Tedeschi, una volta erano chiamati un popolo di pensatori: io mi domando se, così in generale, essi ancor oggi pensano. I Tedeschi ora si annoiano dello spirito, i Tedeschi diffidano ora dello spirito. La politica divora tutto quanto di serio si potrebbe mettere nelle cose veramente spirituali. «La Germania, la Germania innanzitutto!», — io temo molto che questo sia stata la fine della filosofia tedesca... «Vi sono dei filosofi tedeschi? vi sono dei poeti tedeschi? vi sono dei buoni libri tedeschi?» — Tali son le domande che all’estero mi si fanno. Io arrossisco, ma con la bravura che mi appartiene, anche nei casi disperati, rispondo: «Sì, Bismarck!» Avevo dunque il diritto di confessare quali libri hanno letto oggi?... Maledetto istinto della mediocrità!


2.


— Ciò che potrebbe essere lo spirito tedesco, chi sopra ciò non ha già fatto delle riflessioni profondamente dolorose! Ma questo popolo si è abbrutito largamente da quasi mille anni: in nessun luogo si è abusato con maggior depravazione dei due grandi narcotici europei, l’alcool e il cristianesimo. Recentemente, se ne è aggiunto pur anche un terzo, il quale da solo basterebbe per compiere la rovina di ogni sottile ed ardita mobilità dello spirito; voglio dire della musica, della nostra musica tedesca, melmosa e impantanata. Vi è [p. 102 modifica]tanta pesantezza malinconica, tanta paralisi, tanta umidità, tanta affettazione, quanto vi è di birra nella intelligenza tedesca! Com’è possibile che dei giovani i quali votano la loro esistenza agli scopi più spirituali, non sentano in essi il primo istinto della spiritualità, l’istinto di conservazione dello spirito, e ch’essi bevano della birra?... L’alcoolismo della gioventù istruita non è forse ancora un enigma in rapporto al loro sapere — anche senza spirito si può essere un gran sapiente — , ma, per un altro riguardo, rimane un problema. Dove non si troverebbe quella dolce degenerescenza che produce la birra nello spirito? In un caso rimasto quasi celebre, io una volta ho messo il dito sopra una simile piaga, la degenerescenza del nostro primo libero pensatore tedesco, il prudente David Strauss, divenuto l’autore di un evangelo di birreria e di una «nuova fede»... Non è invano ch’egli fece all’«amabile bruna» (la birra) la sua dedica in versi: — Fedele fino alla morte...

3.

Ho parlato dello spirito tedesco: ho detto ch’esso diventava più grossolano, più piatto. È abbastanza? — In fondo, è ben altro che mi spaventa; com’è che la serietà tedesca, la profondità tedesca, la passione tedesca per le cose dello spirito vanno sempre diminuendo. Il pathos si è trasformato e non soltanto l’intellettualità. Di tanto in tanto mi accade di avvicinare delle università tedesche: quale atmosfera regna tra quei sapienti, quale spiritualità vuota, soddisfatta e intiepidita! Ci s’ingannerebbe profondamente se mi si [p. 103 modifica]volesse obbiettare qui la scienza tedesca — e sarebbe anche una prova che non si è letto una linea di ciò che ho scritto. Da diciotto anni, io non mi sono stancato di mettere in evidenza l’influenza deprimente del nostro attuale scientifismo sullo spirito. La dura schiavitù a cui condanna ogni individuo l’immensa distesa della scienza è una delle ragioni principali per cui delle nature dalle qualità più piene, più ricche, più profonde, non trovano più educazione ed educatori che siano loro conformi. Niente fa più soffrire la nostra cultura quanto questa abbondanza di facchini pretenziosi e di umanità frammentarie; le nostre università sono, malgrado esse, le vere serre calde per questo genere di deperimento dello spirito nel suo istinto. E tutta l’Europa comincia già a rendersene conto; la grande politica non inganna nessuno... La Germania è sempre più considerata il paese piatto dell’Europa. Io sono ancora alla ricerca di un Tedesco con il quale possa essere serio a mio modo, — e quanto più con chi oserei essere allegro!

Crepuscolo degli Idoli: oh, chi comprenderebbe oggi con quale serietà un filosofo si riposa qui! La serenità, è ciò che vi è di più incomprensibile in noi...

4.


Vediamo la questione dall’altra sua faccia: non è soltanto evidente che la cultura tedesca è in decadenza, ma anche le ragioni sufficienti perchè ciò avvenga non mancano. In fin dei conti nessuno può spendere di più di quello che ha: avviene così tanto per gli [p. 104 modifica]individui che per i popoli. Se ci si prodiga per la potenza, la grande politica, l’economia, il commercio internazionale, il parlamentarismo, gli interessi militari, — se si dissipa da questo lato la dose di ragione, di serietà, di volontà, di dominio di sè che si possiede, l’altro lato ne risentirà. La Cultura e lo Stato — che non ci si inganni — sono antagonisti: «Stato civilizzato», non è che un idea moderna. Uno vive dell’altro, uno prospera a detrimento dell’altro. Tutte le grandi epoche di cultura sono delle epoche di decadenza politica: ciò che è stato grande nel senso della cultura, è stato non politico, ed anche anti-politico... Il cuore di Goethe si è aperto dinanzi al fenomeno Napoleone; si è richiuso dinanzi alle «guerre d’indipendenza»... Nel momento in cui la Germania si eleva come grande potenza, la Francia guadagna una nuova importanza come potenza di cultura. Già ora, molta nuova serietà, molta nuova passione dello spirito è emigrata a Parigi; la questione del pessimismo, per esempio, la questione Wagner, quasi tutte le questioni psicologiche ed artistiche sono esaminate laggiù con maggiore finezza e profondità che in Germania — i Tedeschi sono anche incapaci di codesta specie di serietà.

Nella storia della cultura europea, l’ascesa dell’«Impero» significa innanzitutto una cosa: uno spostamento del centro di gravità. Ci se ne rende conto dappertutto: nella cosa principale, — ciò è sempre la cultura — i Tedeschi non son più presi in considerazione. Si domanda: Potete voi presentare, non fosse che un solo spirito di cui si possa tener calcolo in Europa? Uno spirito come il vostro Goethe, il vostro Hegel, il vostro [p. 105 modifica]Heine, il vostro Schopenhauer, del quale si possa tener calcolo come di loro? — Che non vi sia più un solo filosofo tedesco, ecco la sorpresa senza limiti.

5.

Ciò che vi è di essenziale nell’insegnamento superiore in Germania si è perduto: lo scopo altrettanto che il mezzo che conduce allo scopo. Che l’educazione, la cultura stessa siano lo scopo — e non l’«Impero», — che per questo scopo occorrano degli educatori, — e non dei professori di liceo e dei sapienti di università, è ciò che si è dimenticato... Occorrerebbero degli educatori, essi stessi educati, degli spiriti superiori e nobili che si affermano ad ogni momento, con la parola e con il silenzio, degli esseri di una cultura matura ed addolcita, — e non dei tangheri sapienti che il liceo e l’università offrono oggi come «nutrici superiori». Mancano gli educatori, astrazione fatta per le eccezioni delle eccezioni, condizione prima della educazione: da ciò l’abbassamento della cultura tedesca. — Il mio venerabile amico Giacobbe Burckhardt di Basilea è una di quelle eccezioni, rara tra tutte: è a lui in primo luogo che Basilea deve la sua predominanza in umanità. Ciò che infatti raggiungono le «scuole superiori» tedesche, è una brutale preparazione per rendere utilizzabile, sfruttabile per il servizio dello Stato, una legione di giovani con una minima perdita di tempo. «Educazione superiore» e legione; è ciò una contraddizione primordiale. Ogni educazione superiore non appartiene che alle eccezioni: bisogna essere privilegiati per aver diritto ad un privilegio così alto. Tutte [p. 106 modifica]le cose grandi e belle non possono esser mai un bene comune: pulchrum est paucorum hominum. Cos’è che provoca l’abbassamento della cultura tedesca? Il fatto che l’«educazione superiore» non è più un privilegio — il democratismo della «cultura» diventa obbligatorio, comune. Non bisogna dimenticare che i privilegi del servizio militare forzano a questa esagerata frequenza delle scuole superiori, il che è la decadenza di quelle scuole. — Nella Germania attuale, nessuno ha più la libertà di dare ai suoi figli una educazione nobile: le nostre scuole «superiori» sono tutte stabilite secondo una ambigua mediocrità, con dei professori, dei programmi, un resultato. E dovunque regna una fretta indecente, come se qualcosa fosse trascurato quando il giovane non ha «finito» a ventitrè anni, quando egli non sa ancora rispondere a questa «questione essenziale»: quale carriera scegliere? Una specie superiore di uomini, sia detto con il vostro permesso, non ama le «carriere» — ed è precisamente perchè essa si sente chiamata... Essa ha il tempo, essa si prende il tempo, essa non pensa affatto a «finire» — a trent’anni si è, nel senso dell’alta cultura, un principiante, un bambino. I nostri licei rigurgitano, i nostri professori di liceo sovraccaricati e abbrutiti sono uno scandalo: per prendere questo stato di cose sotto la loro protezione, come han fatto recentemente i professori di Heidelberg, si hanno forse dei motivi, ma non si hanno affatto delle ragioni.

6.

— Io presento, per non uscire dalla mia abitudine di affermare e di non occuparmi delle obbiezioni e [p. 107 modifica]delle critiche che in un modo indiretto e involontario, io mostro subito i tre compiti per i quali ci occorre avere degli educatori. Bisogna imparare a vedere, bisogna imparare a pensare, bisogna imparare a parlare ed a scrivere; in queste tre cose lo scopo è una cultura nobile. — Imparare a vedere, abituare l’occhio al riposo, alla pazienza, abituarlo a lasciar venire le cose; rimettere il giudizio, imparare a ingannare e nascondere il caso particolare. È questa la prima preparazione per educare lo spirito. Non reagire immediatamente ad una seduzione, ma saper utilizzare gli istinti che inceppano e che isolano. Imparare a vedere, come l’intendo io, è in qualche modo ciò che il linguaggio corrente e non-filosofico chiama la volontà forte: l’essenziale, è precisamente di non «volere», di poter sospendere la decisione. Ogni atto anti-spirituale ed ogni volgarità riposano sull’incapacità di resistere ad una seduzione: ci si crede obbligati di reagire, si seguono tutti gli impulsi. In molti casi un tale obbligo è già la conseguenza di uno stato morboso, di uno stato di depressione, un sintomo di spossamento; poichè tutto ciò che la brutalità non filosofica chiama «vizio» non è che quella incapacità fisiologica di non reagire affatto. Un’applicazione di questo insegnamento della vista: allorchè si è di coloro che imparano, si diviene generalmente più lenti, più diffidenti, più resistenti. Si lascerà venire a sè ogni specie di cose straniere e nuove dapprima con una tranquilla ostilità, ritirando la mano. Avere tutte le porte aperte, mettersi come a stomaco vuoto dinanzi a tutti i piccoli fatti, esser sempre pronti [p. 108 modifica]ad introdursi, a precipitarsi in ciò che è straniero, in una parola, questa moderna «obbiettività», è ciò che è di cattivo gusto, ciò manca di nobiltà per eccellenza.

7.

Imparare a pensare: nelle nostre scuole se n’è perduta completamente la nozione. Anche nelle università, anche tra i sapienti in filosofia propriamente detti, la logica, in quanto teoria, pratica e mestiere comincia a sparire. Si leggano i libri tedeschi: non ci si ricorda più neanche da lontano che per pensare occorre una tecnica, un piano di studio, una volontà di padronanza, — che l’arte di pensare deve essere imparata, come la danza, come una specie di danza...

Chi tra i tedeschi conosce ancora per esperienza quel lieve fremito che fa passare in tutti i muscoli il piede leggero delle cose spirituali! La rigida balordaggine del gesto intellettuale, la mano pesante al tocco — ciò è tanto tedesco, che all’estero vien confuso con lo spirito tedesco in generale. Il Tedesco non ha tatto per le sfumature... Il fatto che i Tedeschi hanno soltanto potuto sopportare i loro filosofi, prima di tutti quel troncone delle idee, il più intisichito che vi sia mai stato, il grande Kant, dà una piccola idea dell’eleganza tedesca. — Non è possibile dedurre dall’educazione nobile, la danza sotto tutte le forme. Saper danzare con i piedi, con le idee, con le parole: occorre ch’io dica che è così necessario di saperlo con la penna, — che bisogna imparare a scrivere? — Ma a questo punto, per delle letture tedesche, io diverrei completamente un enigma...