Atto V

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Atto IV Nota storica

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ATTO QUINTO.

SCENA PRIMA.

La Montagnuola di Bologna con vari sedili erbosi. In fondo una tavola con
acque fresche ecc. con suoi lumi. Notte con luna.

Odesi una sinfonia di stromenti da fiato in fondo della Montagnuola.

Donna Marianna ed il Marchese.

Marianna. Stanca son io, Marchese, di camminar non poco.

Marchese. Possiam seder, signora; comodissimo è il loco.
Marianna. Dove?
Marchese.   Mirate intorno quanti sedili erbosi.
Godonsi all’aere fresca lietissimi riposi.
Queste la Montagnuola pochissimo eminente,
Dove spirar più fresca l’aria però si sente.

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Questo la notte è il loco dei dolci suoni e canti.

Questo, donna Marianna, è il sito degli amanti.
Marianna. Non è con noi don Pedro?
Marchese.   Perduto per la via
S’avrà, girando intorno cogli altri in compagnia.
Avete voi bisogno d’essere custodita?
Non bastavi, che siate da un galantuom servita?
Marianna. È ver, ma temer soglio le lingue malandrine.
Marchese. Di voi che dir potrebbono? Siete vedova alfine.
Marianna. La vedova, Marchese, è peggio criticata.
Per me felice stato par quel di maritata.
Chi sa? Non ho alcun merto, ma se vorrà il destino...
Marchese. Ditemi, che pensate del vostro Rinaldino?
Marianna. Penso, benchè con pena, penso lasciarlo qua.
Finchè cresciuto sia nel senno e nell’età.
Marchese. Meglio è partir domani.
Marianna.   Senza vederlo?
Marchese.   No.
Lo vederete prima, io vi accompagnerò.
Non è lontano il giorno. Andremo a ritrovarlo.
Vi consiglio vederlo, consigliovi abbracciarlo;
Ma pronta col calesse, pronta al partir disposta.
Si scemerà la pena col correre la posta.
Marianna. E dovrò con don Pedro partir dolente e sola?
Marchese. Basta, perch’io vi segua, una vostra parola.
Marianna. Ah, Marchese, quell’M, ah quell’F e quell’S.
Marchese. Dirò, donna Marianna, se accordar si potesse...
Marianna. Vien gente.
Marchese.   Ritiriamoci e favelliam fra noi.
Marianna. Tutto vorrò mai sempre quel che vorrete voi.
(vanno sedere in luogo discosto)

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SCENA II.

Don Pedro ed il Conte di Bignè.

Pedro. Eccoli lì, vedete?

Conte.   Adesso li ho veduti.
Pedro. Per star da solo a sola, per via si son perduti.
Conte. Eh! lasciamoli fare. Alfin son due persone
Libere tutte due, non danno osservazione.
Peggio è di mia cognata, che non so dove sia.
Pedro. Coi padroni di casa la vidi in compagnia.
Conte. Corre qua e là, che pare abbia il demonio addosso;
Io sono un poco greve, correr con lei non posso.
Affè, non vedo l’ora che il viaggio sia finito:
Quando torniamo a casa, ci pensi suo marito.
Pedro. Come faceste mai a prender tal intrico?
A custodir le donne non vi vuol poco, amico.
Basta, per altro anch’io ero male impacciato.
Avevo un brutto impegno: il ciel m’ha liberato.
A moderar l’affetto di madre capricciosa,
Credo le abbia giovato il desio d’esser sposa.

SCENA III.

Il Cavalier Giocondo dando braccio a Lisaura, Gianfranco
dando braccio a Madama Possidaria; e detti.

Conte. Eccoli qui.

Fossidaria.   Vedete? vanno alla moda uniti.
Si cambiano le mogli, si cambiano i mariti.
Conte. Mia cognata non vi è?
Pedro.   Or or verrà anche lei.
Conte. Un imbroglio più grande non ebbi a’ giorni miei.
Cavaliere. Sediamo un poco qui.
Lisaura.   Sedetemi vicino.
Cavaliere. Voi sederete appresso al vostro pellegrino.
(a madama Possidaria)

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Pedro. Noi sediamoci qui. Col favor della luna,

Godrem di belle scene. L’occasione è opportuna.
Conte. Amico, voi che avete occhi miglior de’ miei,
Ditemi, è mia cognata quella che viene?
Pedro.   È lei.
Conte. Smania al solito, e grida.
Pedro.   Con chi l’avrà al presente?
Conte. L’avrà col cavaliere, col povero paziente.

SCENA IV.

Madama di Bignè, don Alessandro e detti.

Madama. Di voi non ho bisogno. So andarmene da me.

Ancor non conoscete madama di Bignè.
Ciascun segua a sua voglia le inclinazioni sue;
Chi me n’ha fatto una, non me ne farà due.
Alessandro. Perdonate, Madama...
Madama.   Un cavalier bennato
Tratta meglio le dame, con cui vive impegnato.
Un’ora d’orologio farmi aspettar così?
Alessandro. Spero, se mi udirete...
Madama.   Farmi aspettar? per chi?
Per una che voi stesso essere confessaste
Femmina vil, che un tempo prodigamente amaste.
Alessandro. Non gridate sì forte. Su via, siate bonina.
Madama. Andate a trattenere la vostra pellegrina.
Alessandro. Sederò qui con voi, se a me non lo negate.
Madama. La vostra pellegrina a trattenere andate.
Alessandro. Madama, io ci anderò.
Madama.   Andate, fate presto:
Alessandro. Io ci anderò, Madama, e se ci vo, ci resto.
Madama. Restateci, di voi non m’importa niente.
Alessandro. Madama di Bignè, servitor riverente.
(si scosta da lei e va vicino a Lisaura)

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Madama. (Cavaliere malnato!)

Lisaura.   (Colei grida per me?)
(piano a don Alessandro)
Alessandro. Posso seder con voi? (al Cavaliere e Lisaura)
Cavaliere.   Ci stiamo tutti tre.
Possidaria. (Vostra moglie n’ha due; l’altra è restata sola).
(piano a Gianfranco)
Gianfranco. Lisaura, per dir vero, è una buona figliuola.
Pedro. Donna Marianna in pace sta col suo favorito.
Conte. Non ha da render conto nè a padre, nè a marito;
E poi di mia cognata non fa le triste scene.
Madama. Conte.
Conte.   Signora mia.
Madama.   Venite qui.
Conte.   Sto bene.
Madama. Venite qui, vi dico. Vo’ dirvi una parola.
Conte. Or mi chiama in aiuto, perch’è restata sola.
Pedro. E voi siete sì buono? (al Conte, e s’alza)
Conte.   Ha da durar per poco.
(va vicino a madama Bignè)
Alessandro. Cresce dell’aria il fresco. (a Lisaura)
Lisaura.   (Ed io son tutta foco).
(a don Alessandro)
Madama. Cercate i servitori, che saran qui d’intorno.
Dite lor, che partire io voglio appena giorno.
L’alba, per quel ch’io vedo, non è molto discosta;
Sveglino i postiglioni, avvisino la posta.
S’ha da partir.
Conte.   Ma prima...
Madama.   S’ha da partir, vi dico.
Conte. Uh che donna! che donna! che maledetto intrico!
(parte)
Madama. Pria di partir per altro voglio almeno il piacere
Di far qualche vendetta. Ehi, signor Cavaliere.
(al Cavalier Giocondo)

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Cavaliere. Madama.

Madama.   Favorisca, se non è troppo ardire.
Cavaliere. Fermettete ch’io vada? (a Lisaura)
Lisaura.   Sì, andatela a servire.
Cavaliere. Da me che mai vorrà?
Alessandro.   Vorrà lagnarsi, io dubito...
Madama. Se favorir volete...
Cavaliere.   Eccomi, vengo subito.
(s’accosta a madama Bignè)
Pedro. Ciascuno si diverte, ciascuno ha la sua tresca;
Io anderò a divertirmi con un po’ d’acqua fresca.
(va a bevere dove sono le acque)
Madama. Sedete un poco qui. (al Cavalier Giocondo)
Cavaliere.   Obbedisco, signora.
Madama. Cotesta pellegrina la conoscete ancora?
Cavaliere. Vi dissi in cofidenza la cosa come fu.
Fuggita è dal serraglio, e non ne so di più.
Madama. Signor, siete ingannato. Quelli son due birbanti.
Che per gabbare i creduli far sogliono i viandanti.
Può dir don Alessandro, se voi siete in abbaglio:
Ei sa dove Lisaura sia stata nel serraglio:
La conosce, l’ha amata, non ve ne siete accorto?
Tutti d’accordo han fatto a casa vostra un torto.
E voi lo soffrirete? e voi terrete mano
A una pessima tresca, facendogli il mezzano?
Cavaliere. Come! in questo momento voglio cacciarli via.
Madama. No, tacete per ora.
Cavaliere.   Birbanti in casa mia?
Il Cavalier Giocondo, che ha in casa sua alloggiati
Conti, marchesi e principi, ed altri titolati?
A me per trappolarmi narrar quel che non è?
Da cavalier ch’io sono...
Madama.   Venite via con me.
Cavaliere. Dove?
Madama.   A pensar il modo di vendicar l’azione.

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Cavaliere. Di doppie e di zecchini vantarmi un centurone?

Favole raccontarmi?
Madama.   Ora il parlarne è vano.
Discorrerem per via.
Cavaliere.   Farmi fare il mezzano?
Madama. Andiam, venite meco. Non vi perdete qui.
Cavaliere. Col Cavalier Giocondo non si tratta così.
Madama. Venite, o non venite?
Cavaliere.   Vengo.
Madama.   Son stanca ormai.
Cavaliere. A un uom della mia sorte? Non lo credeva mai.
(parte con madama Bignè)
Lisaura. Parte col Cavaliere. Che cosa mai vuol dire?
(a don Alessandro)
Alessandro. Se vuol partir Madama, lasciamola partire.
(a Lisaura)
Possidaria. Parte il signor marito, e a me non dice niente?
(a Gianfranco)
Gianfranco. Siete da me servita. È un cavalier prudente.
Possidaria. Andiamo ancora noi. (a Gianfranco, alzandosi)
Gianfranco.   Andiam, se ciò v’aggrada.
Voi venite, signori? (a Lisaura e don Alessandro)
Lisaura.   Sì, fateci la strada.
Gianfranco. Lasciatevi servire, giacchè ho la bella sorte.
(a madama Possidaria)
Possidaria. Andiamo a ritrovare il mio signor consorte.
(parte con Gianfranco)
Alessandro. Essi già s’incamminano, andiamo ancora noi.
(a Lisaura)
Lisaura. Io non ho tanta fretta. Li seguiremo poi.
Dunque voi non volete darmi la man di sposo?
Alessandro. Lo farei, se potessi.
Lisaura.   Se foste più amoroso,
Non trattereste meco con tanta indifferenza.
Alessandro. Deggio a’ parenti miei usar tal convenienza.

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Lisaura. Dunque mi lascerete?

Alessandro.   V’offro la servitù.
Lisaura. Ma che dirà Madama?
Alessandro.   Io non ci penso più.
Delle impazienze sue, del suo gridar son stanco.
Lisaura. Andiam.
Alessandro.   Più non si vedono madama con Gianfranco.
Non so la via.
Lisaura.   Chiedendo, si va per tutto il mondo.
Signor, per dove vassi dal Cavalier Giocondo?
(a don Pedro)
Pedro. Non so, io non ho pratica gran cosa del paese.
Direi... Ma non ardisco di chiederlo al Marchese.
Alessandro. D’andar al Cavaliere, signor, qual è la via?
(al Marchese)
Marianna. Possiam, qual siam venuti, tornare in compagnia.
Pedro. (Oh via, n’hanno abbastanza).
Marianna.   Don Pedro.
Pedro.   Mia signora.
Marianna. Superfluo è andare a letto, già vicina è l’aurora.
Possiamo col Marchese andar di buon mattino
A riveder un poco il nostro Rinaldino.
Pedro. Per me n’ebbi abbastanza delli favori suoi:
Vi prego dispensarmi; andateci da voi.
Marianna. Già siete stato sempre con lui uomo selvaggio;
La mala educazione fa un giovane malvaggio.
Lode al ciel, che in collegio starà per sua fortuna;
Apprender non poteva da voi maniera alcuna.
Voi liberato siete da un peso sì aggravante,
Io voglio liberarmi da un critico pedante.
Senza di me potete tornarvene al paese,
Io resterò in Bologna con il signor Marchese.
Pedro. Già lo so che l’amore...
Marianna.   Che dir vorreste, ardito?
Il marchese di Sana or sarà mio marito.

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Pedro. Con lei me ne rallegro.

Alessandro.   Me ne rallegro anch’io.
Lisaura. Così fa chi vuol bene, don Alessandro mio.
Marianna. Andiam, signori miei.
Lisaura.   Vi seguitiamo; andate.
Alessandro. Favorite la mano.

SCENA V.

Fabio con uomini armati, e detti.

Fabio.   Alto, alto, fermate.

(Prendono Lisaura e la levan da don Alessandro. Donna Marianna e il Marchese partono.
Lisaura. Ahimè!
Alessandro.   Simile affronto si fa ad un cavaliere?
(mette mano alla spada)
Fabio. Signor don Alessandro, vi consiglio tacere;
Scoperta è di Lisaura ogni caricatura.
Voi non fate, per dirla, bellissima figura.
Da voi, dai pellegrini, offeso è il mio padrone:
Anche Madama è offesa, e vuol soddisfazione.
Lisaura. Dove mi conducete?
Fabio.   Non temete di male.
Ma se si fa rumore, faremo un criminale.
Zitto, che se a saperlo arriva la Giustizia,
Voi pagherete il fio della vostra malizia.
Alessandro. Non soffrirò un insulto.
Lisaura.   Deh, se ben mi volete,
Caro don Alessandro, vi scongiuro, tacete.
Rimordere pur troppo mi sento la coscienza.
Andiamo, in casi tali è meglio usar prudenza.
(parte con Fabio)
Alessandro. Tacciasi da noi dunque, s’anche Lisaura il brama.

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Vada la pellegrina, tornerò da Madama,

Le chiederò perdono. Soffrirò ogn’insolenza.
Piacemi servir donne. Non ne posso star senza.

SCENA VI.

Camera del Cavalier Giocondo.

Il Cavalier Giocondo e Madama di Bignè

Cavaliere. Voi la pensate bene. Avete una gran testa.

Madama. La via di vendicarvi, credetemi, è sol questa:
Gravemente vi offesero i pellegrini, è vero;
Ma più don Alessandro, malnato cavaliero.
Se i vostri servitori hanno eseguito bene.
Anche don Alessandro ad affrontar si viene.
Cavaliere. A vendicarmi apprendo sotto la vostra scuola.
Madama. (Ma questa volta i’ penso a vendicarmi io sola).
Cavaliere. Si conosce. Madama, che avete assai viaggiato.
Questo sistema nuovo dove avete imparato?
Madama. Così, quando s’è offesi1, s’usa al paese mio.
Cavaliere. Voglio viaggiare ancora, voglio imparare anch’io.
Sento gente. L’han presa. Affè, ch’io l’indovino.
Madama. Questa è la moglie vostra unita al pellegrino.

SCENA VII.

Madama Possidaria, Gianfranco e detti.

Possidaria. Voi ci avete piantati, caro signor marito.

Cavaliere. Favorisca, signore Gianfranco riverito.
Le doppie ed i zecchini ch’eran nella cintura,
Ditemi, dove sono?
Gianfranco.   (Son scoperto. Ho paura). (Ja sè)

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Cavaliere. Birbante, disgraziato, famoso mercadante.

Fatto schiavo in Algeri, vestito col turbante,
Corsaro di Marocco, di Tunisi bassà,
Che ha mercanzie in Levante, che ha doppie in quantità.
Che in Tunisi una donna dal serraglio ha levato.
Così foss’egli vero, t’avessero impalato.
A me frottole tali? a me? Sai tu chi sono?
Gianfranco. Ah signor Cavaliere, vi domando perdono.
Possidaria. Come, signor marito?
Cavaliere.   Razzaccia malandrina!
Madama. Acchetatevi tutti, che vien la pellegrina.

SCENA VIII.

Fabio con Lisaura, e detti.

Fabio. Signore, eccola qui.

Cavaliere.   Ah, ci siete venuta!
Lisaura. Gianfranco, soccorretemi.
Gianfranco.   Siete già conosciuta.
Lisaura. Son femmina onorata.
Cavaliere.   Ben bene, si vedrà.
Madama. Gianfranco v’ha sposata?
Lisaura.   Un dì mi sposerà.
Madama. Qua, signor Cavaliere, ci va del vostro onore,
Se vedonsi da voi partir con mal-odore.
Per rimediare in parte a simile insolenza,
Fate che si maritino alla vostra presenza.
Cavaliere. Presto alla mia presenza si faccia il matrimonio,
Il mio mastro di casa serva di testimonio.
Madama. Cosa avete in contrario? (a Gianfranco e Lisaura)
Gianfranco.   Per me ne son contento.
Finora per Lisaura soffrii qualche tormento.
Ella non mi voleva...

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Lisaura.   Perchè speravo ancora,

Sposata a un cavaliere, di diventar signora.
Or che don Alessandro m’ha detto i suoi pensieri,
Gianfranco, se mi vuole, lo sposo volentieri.
Gianfranco. Sì, cara, eccomi qui.
Madama.   Presto la man si dia;
Sposatevi d’accordo, e tosto andate via.
Gianfranco. Sposarci senza dote è un po’ la cosa dura.
Cavaliere. Non bastavi le doppie aver nella cintura?
Gianfranco. Signor, son poveruomo.
Lisaura.   Io sono un’infelice.
Madama. Cavalier, principiate, sarovvi imitatrice:
Fate lor qualche dono, che sia degno di voi.
Anch’io farò lo stesso, e partiran dipoi.
Cavaliere. Mastro di casa, a loro si diano dieci lire.
Madama. Capperi, da mangiare lor date e da vestire!
Eccovi cento scudi.
Cavaliere.   Lor datene altri cento. (a Fabio)
Siete così contenti?
Gianfranco.   Sì Signor, son contento.
Madama. Via, sposatevi presto.
Gianfranco.   Ecco, signora sì.
Siamo marito e moglie.
Madama.   Or partite di qui.
Ma subito si parta.
Gianfranco.   Si parte in sul momento.
Signor, io vi domando umil compatimento.
Servavi ciò d’avviso, che sonvi tra i viandanti
Degli uomini dabbene, e ancora dei birbanti.
E dall’inganno nostro cavatene tal frutto,
Che a chi cammina il mondo non s’ha da creder tutto;
Che l’esser generoso a un cavalier conviene,
Ma chi riceve in casa, dee pria conoscer bene.
Perchè fra il lungo stuolo di tanti viaggiatori,
Vi sono i vagabondi, vi sono gl’impostori;

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E se tale son stato, almeno io mi consolo,

Che ne conosco tanti e che non son io solo. (parte)
Lisaura. Ora ch’è mio marito, non lo sarà più certo;
Di farlo galantuomo aver io voglio il merto.
Poichè per sperienza ho appreso anch’io da tanti,
Che sempre è lacrimoso il fine dei birbanti. (parte)
Cavaliere. Voi, presto, i cento scudi andatele a contare (a Fabio)
Fabio. Essi alla barba vostra li andranno a scialacquare. (parte)
Cavaliere. Sentite? Io li regalo, e mi diranno il matto.
Madama. È sempre bene il bene, e quel ch’è fatto, è fatto.

SCENA IX.

Il Conte di Bignè e detti.

Conte. Ecco, la sedia è qui. (a madama Bignè)

Madama.   Cavalier, vado via.
Avrò in memoria sempre la vostra cortesia;
Pregovi, che venghiate a ritrovarci poi.
Cavaliere. Madama, trattenetevi, voglio venir con voi.
Madama. Padron, ma fate presto.
Cavaliere.   Subito. Voi verrete?...
(a madama Possidaria)
Possidaria. Sì, se siete contento.
Madama.   Ma presto, se volete...
Possidaria. Subito. (parte)
Cavaliere.   Io vo alla posta.
Madama.   S’aspetterà poi troppo.
Cavaliere. Ecco, vado di trotto e torno di galoppo. (parte)
Madama. Sono lesti i bauli? (al conte di Bignè)
Conte.   Li lega il postiglione.
Ma se aspettate gli altri...
Madama.   Gli altri avran discrezione.

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SCENA X.

Donna Marianna, il Marchese e detti.

Marianna. Lasciate che per poco si sfoghi la natura.

Lascio un figliuol, non posso scordarmene a drittura.
È ver che l’ho veduto lietissimo e contento,
Ma sente un cuor di madre ancor qualche tormento.
Marchese. Vi compatisco, un giorno vedrovvi consolata.
Madama. Che ha donna Marianna, che parmi addolorata?
Marchese. Lascia un unico figlio.
Madama.   Di voi non è invaghita?
Marchese. Meco in questo momento s’è in matrimonio unita.
Madama. Brava, me ne rallegro; e voi piangete? Affè,
Tempo in giorno di nozze da piangere non è.
Fate che il nuovo sposo v’accheti e vi consoli;
Un marito che piace, val per dieci figliuoli.
Guardate se i bauli avessero legato. (al Conte)
Conte. Ma se aspettate gli altri...
Madama.   Gli altri m’hanno annoiato.
Voglio partir.
Conte.   Benissimo. Vi manderò l’avviso. (parte)
Madama. Ecco don Alessandro; non vo’ mirarlo in viso.

SCENA XI.

Don Alessandro e detti; poi Fabio.

Alessandro. Ah madama, vi supplico placare il vostro sdegno.

Partir con voi desidero, se dell’onor son degno.
Madama. Ehi, chi è di là?
Fabio.   Madama.
Madama.   Partì la pellegrina?
Fabio. Tutta contenta e lieta partì la poverina;
Si prese i cento scudi, e con il suo consorte
Montata in un calesse, sarà fuor delle porte.

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Madama. Presto, don Alessandro, correte dietro a lei.

Fabio. Mai più, disse giurando, non voler cicisbei:
Ora ch’è maritata, vuol far vita migliore.
Alessandro. Madama, di servirvi donatemi l’onore.
Madama. Guardate se i bauli hanno legati ancora. (a Fabio)
Fabio. Aspettate un momento. Torna il padrone or ora.
(parte)
Alessandro. Della mia servitute così voi mi pagate?
Madama. A trattar colle donne ad imparare andate.
Chi di servir s’impegna, dee farlo ad ogni costo:
Dee meritar, soffrendo, di mantenersi il posto;
Prendere in buona parte rimproveri ed asprezze,
Pagare a caro prezzo i scherzi e le finezze;
Sfuggir ogni occasione di darle un dispiacere,
E quel che le dispiace, saperlo prevedere.
Lasciar ogni amicizia, star seco in compagnia,
Cambiar, quand’ella cambia, il pianto o l’allegria.
Non deve dir ch’è buono quello che piace a lui.
Ma regolar si deve con il piacere altrui.
Come la bella impone, no deve dire, e sì.
Deve vegliar le notti, e sospirare il dì.
Soffrire anche talvolta qualche rivale al fianco.
Venir per gelosia rosso nel viso e bianco;
Ma non ardir giammai di dir quel che ha veduto,
Di risarcir sperando il poco che ha perduto.
Cedere talor deve la mano al forestiere;
Mai parlar di vendetta, mai pretensioni avere.
Parlar quand’ella parla, tacer quand’ella tace;
Saper quando il parlare, quando il tacer le piace.
Soffrir qualche insolenza, soffrir qualche strapazzo,
A costo anche talvolta d’esser creduto un pazzo.
Chi non sa far s’astenga, chi lo vuol far lo faccia:
Voi non sapete farlo, e ve lo dico in faccia.
Io sono intollerante; voi siete un agghiacciato;
Con pena e con dispetto finor v’ho tollerato.

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Mi faceste un insulto, vo’ vendicarmi anch’io;

Mi lasciaste per poco, ed io per sempre. Addio.
(parte)
Alessandro. Servitor umilissimo.
Marchese.   Finor voi la serviste,
E così corrisponde?
Marianna.   Così vi lascia?
Alessandro.   Udiste?

SCENA ULTIMA.

Il Cavaliere e detti; poi Fabio.

Cavaliere. Eccomi qui, fra poco verrà la sedia mia.

Dov’è andata Madama?
Alessandro.   Madama è andata via.
Cavaliere. Non può essere ancora. Ehi, chi è di là?
Fabio.   Signore.
Cavaliere. Dite presto a Madama, se vuol farmi l’onore,
Che fra un momento io vado, che partiremo uniti.
Fabio. Madama e suo cognato sono di già partiti.
Cavaliere. Bella! senz’aspettarmi?
Fabio.   Ell’è tutta impazienza.
Cavaliere. Con questa buona grazia? È una bella insolenza.
Marianna. Voi, Cavalier, con tutti voi siete di buon cuore,
Ma per lo più gl’ingrati s’abusan del favore.
Madama è una di quelle, che quanto a lor si fa,
Credono sia dovuto tutto alla lor beltà.
Le grazie compensando coll’averle accettate,
Degli incomodi loro vonn’esser ringraziate.
Alessandro. Se a me ne domandate, risponderò di sì:
Madama i miei servigi compensati ha così.
Cavaliere. Capisco qualche cosa, ma tutto ancor non so. Spero, viaggiando il mondo, che tutto imparerò.
Spiacemi che la sedia qui giungerà fra poco;
Sol colla moglie mia, non vado in nessun loco.

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Anche allor da Bologna partimmo accompagnati,

Quando a Ferrara, a Modona e a Chiozza siamo andati.
Marianna. Se con noi comandate venir, ci fate onore.
Cavaliere. So che sposati siete, riceverò il favore.
Alessandro. Io, se vi contentate, entro nella partita:
Madama vostra moglie da me sarà servita.
Cavaliere. Sì signor, mi contento. Son uomo di buon cuore,
E diverrò più franco facendo il viaggiatore.
Basta che chi ci ascolta, popol clemente e saggio.
Alzi le mani e dica: Viaggiatori, a buon viaggio.

Fine della Commedia.

  1. Zatta: Quando uno è offeso.