Lisaura. Perchè speravo ancora,
Sposata a un cavaliere, di diventar signora.
Or che don Alessandro m’ha detto i suoi pensieri,
Gianfranco, se mi vuole, lo sposo volentieri.
Gianfranco. Sì, cara, eccomi qui.
Madama. Presto la man si dia;
Sposatevi d’accordo, e tosto andate via.
Gianfranco. Sposarci senza dote è un po’ la cosa dura.
Cavaliere. Non bastavi le doppie aver nella cintura?
Gianfranco. Signor, son poveruomo.
Lisaura. Io sono un’infelice.
Madama. Cavalier, principiate, sarovvi imitatrice:
Fate lor qualche dono, che sia degno di voi.
Anch’io farò lo stesso, e partiran dipoi.
Cavaliere. Mastro di casa, a loro si diano dieci lire.
Madama. Capperi, da mangiare lor date e da vestire!
Eccovi cento scudi.
Cavaliere. Lor datene altri cento. (a Fabio)
Siete così contenti?
Gianfranco. Sì Signor, son contento.
Madama. Via, sposatevi presto.
Gianfranco. Ecco, signora sì.
Siamo marito e moglie.
Madama. Or partite di qui.
Ma subito si parta.
Gianfranco. Si parte in sul momento.
Signor, io vi domando umil compatimento.
Servavi ciò d’avviso, che sonvi tra i viandanti
Degli uomini dabbene, e ancora dei birbanti.
E dall’inganno nostro cavatene tal frutto,
Che a chi cammina il mondo non s’ha da creder tutto;
Che l’esser generoso a un cavalier conviene,
Ma chi riceve in casa, dee pria conoscer bene.
Perchè fra il lungo stuolo di tanti viaggiatori,
Vi sono i vagabondi, vi sono gl’impostori;