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altro bene, e meglio è andare in paradiso a capo scoperto, che andare all’inferno col cappello del diavolo.

Dopo aver riletto tre pagine del Segneri per rifare l’orecchio al bel periodo, in men d’un’ora don Antonio potè mettere insieme questa lettera:


«M. R. Monsignor Vicario, Padron mio colendissimo!

«La dolce memoria ch’io conservo della S. V. Illustrissima e Reverendissima, e la paterna bontà onde in una non lontana contingenza fui dalla prefata S. V. Illustrissima compatito e incoraggiato, mi dà l’animo di rivolgermi per un caso in cui la mia coscienza naviga come una navicella fra gli scogli in tempestoso mare. Non ho bisogno di dichiarare la devozione del sottoscritto ai puri principii proclamati dalla cattedra di Pietro, non che dai suoi visibili interpreti; tra’ quali face di sette fiamme è l’Eminentissimo Pastore che governa codesta Partenopea Metropoli, ecc., ecc.».


E su questo stile finiva col raccontare la storia del cappello trovato nella camera di Salvatore, lo scambio avvenuto, i dubbi della coscienza, i segnali del cielo, e chiedeva se nella Curia si sapesse di un qualche prelato, «il quale avesse, per oblivione o per alcun altro accidente, dimenticato, o lasciato, o perduto il cappello.