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Due o tre giorni dopo, monsignor vicario rispondeva con molta arguzia che a lui e ai colleghi suoi era accaduto più d’una fiata di perdere la testa, ma nessuno si ricordava di avere mai perduto il cappello.

E finiva con un sincero elogio della semplicità e della virtù di don Antonio, l’apostolico ministero del quale non era ignoto del tutto agli occhi di sua eminenza.

Don Antonio fu contentissimo di queste parole d’incoraggiamento, che gli venivano da sì alto pergamo, e lesse due volte la lettera a Martino, che disse:

— Io vedo in queste parole un gran segnale, don Antonio mio: e spero che questo cappello sarà per voi il principio di gran fortuna.

— Volete forse dire che io avrò un cappello di cardinale?

Lieto e ridente della sua abbondante bontà, il vecchio curato prese le forbici e cominciò a tondere una piccola siepe di mortella che cingeva un’aiuola d’insalata.

— Non dico cardinale, ma c’è cappello e cappello. I monsignori, per esempio, hanno un fiocco azzurro nel mezzo.

— Tacete, burlone: voi fate arrossire di vergogna questi giacinti. Io dico, invece, che noi siamo nell’imbroglio di prima, e parlando con poca riverenza, secondo me, monsignor vicario avrebbe dovuto risolvere il dubbio se un sacerdote può pagarsi da mugnaio, ritenendo una