Il buon cuore - Anno XIV, nn. 31-32 - 7 agosto 1915/Religione

Religione

../Educazione ed Istruzione ../Beneficenza IncludiIntestazione 4 marzo 2022 50% Da definire

Educazione ed Istruzione Beneficenza

[p. 234 modifica] Religione


Vangelo della Domenica X dopo Pentecoste

Testo del Vangelo.

In quel tempo uno della turba disse a Gesù: Maestro, ordina a mio fratello che mi dia la mia parte dell’eredità. Ma Gesù gli rispose: O uomo, chi ha costituito me giudice e arbitro tra voi? E disse loro: Guardatevi attentamente da ogni avarizia; imperocchè non sta la vita d’alcuno nella ridondanza dei beni che possiede. Eclisse una similitudine: Un uomo ricco ebbe un’abbondante raccolta nelle sue tenute; e andava discorrendo dentro di sè: Che farò ora che non ho dove.ritirare la mia raccolta? E disse: Farò così: Demolirò i miei granai, e ne fabbricherò dei più grandi: e vi radunerò tutti i miei beni, e dirò all’anima mia: O anima, tu hai messo da parte dei beni per moltissimi anni. Stolto, in questa notte è iidomandata a te l’anima tua: e quello che hai messo da parte, di chi sarà? Così avviene di chi tesoreggia per se stesso, e non è ricco per Iddio. (S. LUCA, Cap. 12).

Pensieri. Il Vangelo d’oggi ci richiama alla mente due classi -di persone; chi pensa a ricercare solo i beni} cella terra, perchè non crede nella vita futura chi, pur credendo alla vita futura, cerca i beni della terra con tanta avidità e tenacia, da far credere che alla vita futura non creda neppur egli.

Non è detto che l’uomo ricco ricordato nell’odierno Vangelo non credesse nella vita futura. Il suo linguaggio è però tale da far credere che non ci credesse. N’e’ suoi calcoli il pensiero di Dio, il pensiero del conto che si dovrà rendere a Dio per l’uso dei beni che abbiamo ricevuto sulla terra, non entra affatto. Godere e il suo scopo, è l’unica sua preoccupazione. Pur troppo si danno quelli che giustificano il loro attacco ai beni della terra col dire che in fondo sono i soli beni che l’uomo possa possedere. La vita presente, secondo essi, è la sola vita dell’uomo. Una volta morti, e morto tutto per noi. E’ un diritto quindi, è un dovere, il cercare di godere qui. E’ un inganno, è un tradimento, quello di coloro che consigliano alla pazienza, alla rassegnazione, in mezzo ai dolori e ai sacrifici della vita, dicendo: vi aspetta il paradiso: meno godete a questo mondo, più godrete all’altro. E’ questo il programma del socialismo, nell’atteggiamento che ha preso negli ultimi tempi. Per attirare a sè le masse popolari, le masse che lavorano, le masse più soggette alle privazioni della vita, loro dicono: siamo noi soli che provvediamo al vostro bene, alla, vostra felicità: la felicità va cercata sulla terra: cosa vi promettono i preti? Il paridiso; un’illusione, un’inganno. • E il popolo crede! Con qual conseguenza? Prima di tutto non è detto che cercando i mezzi della felicità su questa terra, i mezzi si trovino sempre: quanti ostacoli si trovano nell’invidia, nella concorrenza altrui, in disgrazie imprevedute, inevitabili! Ma si ammetta pure che questi beni si raggiungano; raggiunti i beni è raggiunta la felicità? Anche l’uomo ricco del Vangelo d’oggi aveva conseguito il possesso di molti beni; ne aveva più del bisogno; non sapeva dove metterli: si ripromette di godere in seguito; ma intanto è nella preoccupazione, nelle ansie, per pensare al modo di conservarli.... Anche la ricchezza ha i suoi fastidi, i fastidi di conservarla in mezzo a tanti pericoli di perderla, ai ladri, ai cattivi amministratori, alle disgrazie imprevedute. I ricchi hanno dei fastidi che i poveri non conoscono affatto. Ma vi è una disgrazia che tutte le previsioni non valgono a scongiurare: la ricchezza non impedisce nè scema quella disgrazia, anzi l’accresce: questa disgrazia è la morte! E’ ciò che toccò al ricco dell’odierno Vangelo. Egli era felice nella sovrabbondanza dei beni; egli non pensava che ad assicurarsi maggiormente la felicità nel futuro: stolto, gli gridò una voce superiore, que: sta notte ti sarà ridomandata l’anima: e quanto hai apparecchiato di chi sarà? Tutta la felicità che il mondo promette è una felicità che cessa, e può cessare anche improvvisamente. Questo pensiero attossica il piacere sul punto stesso in cui lo si gode, e lo attossica tanto più quanto più si è persuasi che il piacere della vita presente è il solo vero piacere.

t [p. 235 modifica]Ma questo pensiero, che, oltre la vita presente, non vi è altra vita, si.può avere? Protestano contro questo Pensiero le esigenze della mente, le esigenze del cuore; protesta la credenza e la tradizione opposta di tutto il genere umano... Il dire morti noi è morto tutto, è facile a dirsi, non è facile a credersi: lo dice la bocca, ma non lo dice il cuore. E allora? Questo mistero della vita futura che ritorna al pensiero nel punto stesso in cui -lo si vuoi allontanare, e ritorna più minaccioso come il castigo inevitabile di una verità negata, diffonde come una nube oscura su tutti i piaceri della vita, toglie ad essi l’incanto, il sorriso, come i fiori sono meno fiori quando non scende sovr* di essi a ravvivarne i colori l’allegro raggio del sole. Il godere sulla terra, coll’esclusione della fede nella vita futura, non può ottenersi che col sacrificio di due cose ben grandi, la riflessione della mente, l’inspirazione e la sincerità del cuore: l’uomo non può gode-re se non rinunciando, nella sua parte più elevata, ad essere uomc.

  • * *

Il caso più frequente è diverso; è il credere alla vita futura, essendo troppo difficile il non credere, ma amare i beni della terra in un modo così esagerato, esclusivo, ingiusto, dannoso, come se alla vita futura non si credesse: è il caso pur troppo assai comune in mezzo alla società cristiana. Costoro sono più colpevoli, sotto un particolare aspetto, di quelli che non credono; chi non crede, e non può quindi -aspettare alcun bene nella vita futura, non è inconseguente se cerca i beni della vita presente: ma credere ai beni della vita futura e cercare affannosamente i beni della vita presente, è corbe non credere ai primi; è una specie di apostasia. L’avarizia è un vizio che torna, in poco o in molto, di offesa a tutte le virtù che costituiscono la vita sopranaturale dell’uomo, le virtù teologali e le virtù morali. Giustamente S. Paolo chiama l’avarizia, la cupidigia dei beni terreni radice di tutti i mali. E’ un’offesa alla fede. Noi non siamo cristiani se non in rapporto alla vita futura, dice Tertulliano: la nostra, conversazione, dice S. Paolo, deve essere del cielo, per ricordarci che noi dobbiamo cominciare ad essere sulla terra quello che un giorno saremo nel cielo. Pretendere che l’avaro abbia a pensare, al cielo, a re vivere anticipatamente nel cielo! E’ pretende: il suo pensiero è solo nei beni terreni; il suo cielo è la terra! Offende la speranza. La speranza è figlia della fede. Si desidera un bene a cui si crede, un bene che si apprezza. Come potrà l’avaro desiderare i beni del cielo che non apprezza punto, a cui non pensa mai? La preghiera è l’ala della speranza cristiana; l’avaro non prega, c se prega è per rendere Dio, la Madonna ed i Santi complici della bassezza dei suoi sentimenti, chiedendo ad essi soltanto dei beni materiali. La fiducia nella Provvidenza divina, che veste i fiori del campo, e dà la lana alla pecorella, non entra ne’ suoi calcoli: egli non ha fiducia che in se stesso, nell’arte di ammassare, nel denaro che possiede. Offende la carità. Offende la carità verso Dio, perchè se si presenta il caso che la legge-di Dio sia in conflitto col suo interesse. preferirà l’interesse e metterà da parte la legge di Dio. Non è mai che sacrifichi qualche cosa pel culto della casa del Signore. Ri

chiesto di un’offerta per la Chiesa’, risponderà che ha i poveri; e non darà nè ai poveri nè alla Chiesa. Offende la carità verso il prossimo. L’avaro non si commuove punto ai bisogni degli altri: le opere di beneficenza raramente lo vedranno nei propri sostenitori. Starà ben attento ai bisogni nei quali possono trovarsi gli altri, ma è per speculare su questi bisogni, per dare ad usura il suo. denaro. Offende la carità contro se stesso. Là prima vittima dell’avaro è l’avaro, nelle privazioni sordide, continue, alle quali si sottopone: privazioni nei comodi di casa, privazioni nelle vesti, privazione nel cibo, privazione d’ogni onesto sollievo: egli non ha che un gusto. solo, il denaro; il denaro suo amore, che diventa suo tormento; suo tormento quando ancor non l’ha, per la brama smoderata di averlo; suo tormento quando l’ha, pel timore affannoso di perderlo. Offende la prudenza. L’avaro sembra prudente, perchè provvede al futuro. E’ la prudenza delle case piccole a detrimento della prudenza per le cosé grandi; pensa ai beni della vita presente, che oggi ci sono e domani non ci sono più, e non pensa ad accumulare i beni della vita futura, che nessuno può rapirci, e una volta acquistati durano sempre. La vita, dice Cristo, non istà nella ridondanza dei beni:’ per due ragioni: i beni della terra non bastano a soddisfare il cuore dell’uomo più grande di essi, i beni della terra l’uomo non li può tenere sempre. Offende la giustizia, la giustizia morale e la giustizia materiale. La giustizia materiale, positiva, quando per arricchire ruba agli altri, nelle diverse forme di furto; furti domestici, furti nelle amministrazioni, furti nella qualità meni) buona, anzi avariata, della merce che si vende; furti nella diminuzione del peso; furti nel danneggiare senza scopo, senza diritto, senza compenso la roba di altri. La giustizia morale. quando non si provede al bene delle persone che hanno diritto a! nostro soccorso, al nostro aiuto. Offende la giustizia quel padre che non provvede, per avarizia, alla conveniente educazione dei figli; che per avarizia non fa a tempo la dote, e una dote conveniente alle figlie, le quali per la sua sordida tenacità, restano lì sacrificate, in una vita inerte, mentre avrebbero potuto utilmente mettere a profitto la loro esuberante attività in una famiglia propria. Arriverà h eredità a bebbo morto. ma l’età del collocarsi è passata; sarebbe troppo evidente che chi le sposa, sposa i denari, non loro. Offendono la giustizia quei figli che, venuti in buona condizione, supponiamo pure per effetto del loro lavoro, non pensano ai vecchi genitori, ai genitori poveri. Oppure se poveri, fanno sentire maggibrmente i pesi della miseria comune, col non dare i pochi sollievi che sarebbero possibili, e non nascondono il crudele desiderio che abbiano a morire presto, per non averli più a mantenere. Offende la temperanza. La temperanza sta.nella misura dei propri appetiti. Come può dirsi temperante l’avaro, che si sente bruciare l’anima dal desiderio smoderato, rinascente, morboso, irresistibile, di acquistare denaro; quando, vittima di questo intento, trascura tutti i suoi doveri, i doveri di religione, i doveri verso la salute propria, verso la salute altrui; quando obbliga gli altri a lavorare, i domestici, i contadini.;li operai, più di iffiello ché devono, più di quello che possono, insensibile, tiranno, crudele! Offende la fortezza. La fortezza sta nel conservare [p. 236 modifica]il dominio sopra sè stessi, nel non piegare nell’avversa fortuna, nel sopportare i disagi della vita, nel non prostituire la propria dignità e libertà, dinanzi alle basse cupidigie. L’avaro è vile: per guadagnare un centesimo, non teme di sottoporsi alle più dure umiliazioni, d’essere disprezzato, odiato, maledetto. Vi sono dei vizi che, riprovevoli in sè, hanno una scusa in una certa apparenza di generosità e di spensieratezza, che li rende meno sgraditi agli uomini: l’avarizia, come l’invidia, non è solo condannata da Dio, ma è pure spregevole in faccia agli uomini. Niente, nella vita sociale, più indispone gli animi di tutti, contro una persona, quanto il dire: è un avaro! Questa frase è come l’etichetta che nasconde tutte le bassezze ’e le durezze possibili.

Questo per la vita presente. La sconfitta maggiore, schiacciante, per l’avarizia, è la morte. La stoltezza dell’avaro appare allora in tutta la sua spaventosa evidénza. Non pensò in tutta la sua vita che a raccogliere; ora deve tutto abbandonare. E i beni che ha raccolto‘a chi andranno? Certo non a lui. E a colmo di derisione, molte volte i suoi beni andranno a quelli ai quali li ha rifiutati in vita, a quelli verso i quali nutriva i sensi della maggiore antipatia! Così infelice: così disprezzato, nella vita presente, potrà almeno l’avaro trovare un conforto nella vita futura? S. Basilio ha su questo punto una pagina di terrifi cante eloquenza. Basterebbe da sola a guarire dal brutto vizio dell’avarizia ogni persona. «Varcat2, la soglia dell’eternità, dice il santo, l’anima dell’avaro volgerà gli sguardi intorno per vedere se vi abbia chi si levi in sua difesa, ma invano. Non vi avrfi,a1Cuno che dica: io pativo freddo, ed ei mi diede una’ veste: io avevo fame, ed egli ha diviso con me il suo pane: io l’ho supplicato d’un soccorso, ed egli accorse in mio aiuto e ’mi ha confortato. «Che facesti» gli dirà il divin Giudice «che facesti dei beni che avevi?» E il misero dovrà risponIdere. «’Ho chiuso il mio frumento in ampi granai, aspettando per venderlo che la pubblica fame ne avesse accresciuto enormemente il prezzo: ho sepolto il mio oro nei ferrati scrigni, negli angoli più riposti della mia casa e chiusi l’orecchio ad ogni mio bisogno, per non toccare neppure una moneta; e ’ogni volta che udivo parlar di perdite, di furti, di aggressioni, sudavo freddo, tremavo pel mio_tesoro e raddoppiavo i chiavistelli.» «Stolto!» ripiglierà il Giudice inesorabile «tu violasti la mia legge: tu abusasti de’ miei doni per accrescere la miseria de’ tuoi fratelli che vacillarono per te nella fede della mia Provvidenza; tu non avesti alcuna pietà pei tuoi fratelli: vanne dunque: non vi ha misericordia per chi non hà avuto misericordia!» L. V.

Vangelo della domenica XIa dopo Pentecoste Testo del Vangelo.

In quel tempo disse il Signore Gesù questa parabola per taluni i quali confidavano in se. stessi, riputandosi giusti e disprezzavano gli altri: Due uomini salirono al tempio a fare orazione: uno Fariseo, e

l’altro Pubblicano. Il Fariseo stava in piedi e dentro di sè pregava così: Ti ringrazio, o Dio, che io non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri. ed anche come questo Pubblicano: digiuno due volte alla settimana: pago la decima di tutto quel che io posseggo.Ma il Pubblicano, stando da lungi, non voleva neppur alzar gli occhi al cielo; ma st batteva il petto dicendo: Dio, abbi pietà di me peccatore. Vi dico, che questi se ne tornò giustificato.a casa sua, a differenza dell’altro: imperocchè chiunque si esalta. sarà umiliato; e chi si umilia sarà esaltato. (S. LUCA, Cap. i3.) Pensieri.

Il Vangelo d’oggi termina con una frase divenuta proverbiale: chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato. Essa è vera tanto nell’ordine religioso che nell’ordine civile. Che brutto vizio è la superbia! Essa toglie il pregio, il merito, anche alle più elette. qualità d’elle quali alcuno potesse essere fornito. All’incontro l’umiltà può rivestire caratteri così concilianti, simpatici, in suo favore, da far dimenticare difetti e_ colpe meritevoli di riprovazione e di condanna.

Guardate il Fariseo. Chi può negare che egli non fosse un galantuomo, ed anche un uomo pio? Egli non rubava, egli non era ingiusto, egli non era adultero; ben più, egli digiunava due volte la settimana, pagava le decime, che servivano tanto per le opere di culto che per quelle di beneficenza: andava in Chiesa... nessuno è autorizzato a sospettare che avesse disordini interni, sconosciuti agli uomini, ma noti a Dio, che fosse buono in apparenza ma non in realtà. come purtrcppo erano molti della sua classe, dei quali Cristo non ingiustamente poteva dire che fossero sepolcri imbiancati, belli al di fuori, pieni di putredine al di dentro..... Di, lui non possiamo dire ciò. Eppure il Fariseo dell’odierno Vangelo, Malgrado i vizi che non aveva e le virtù chè praticava, non è simpatico, non piace, ben più.... non è giusto. Perchè? Perchè era superbo.! La superbia è subito manifesta dal modo col quale entra e si mantiene in Chiesa. Entra; tiene la testa alta; va difilato verso l’altare, come in casa propria; non fa nessun atto che accenni che nel Tempio vi sia qualcuno che è più grande di lui; contegno che dà più vivamente all’occhio e risulta riprovevole pel contrasto di un’altra persona, entrata con lui nel Tempio, il Pubblicano, il quale si era fermato in fondo al Tempio, teneva la fronte abbassata, si batteva il petto in:atto di chi si sente colpevole e chiede di essere perdonato. Quanti cristiani, uomini e donne, imitano purtroppo in queste punto il Fariseo! Entrano nel Tempio con aria disattenta e spavalda; invece di dar segno di trovarsi nel luogo sacro a Dio, pare che siano in piazza, o in casa loro, intenti solo a pavoneggiarsi in confronto del prossimo, col rivolgere in giro sguardi di curiosità e di superiorità, coll’ostentare foggie eleganti di vestiti, più che ad adorare Dio preoccupati (di attirare gli sguardi, di farsi ammirare e invidiare dagli altri! [p. 237 modifica]Il Fariseo comincia a pregare; comincia bene; comincia con una espressione di vera umiltà: Ti ringrazio o Dio... ma questo bel principio è tosto compromesso, annegato, in un concetto della più ripugnante superbia coll’elevarsi a disprezzare gli altri... Ti ringrazio, o Dio, perchè non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri.... Aectisa tutti: pazienza accusasse alcuni; dicesse: non sono rapace, ingiusto, adultero, come pur troppo lo sono alcuni in società.... No, no: come sono tutti gli altri uomini! Purtroppo è questo uno dei caratteri del superbo; umiliare gli altri ed esaltare se stesso, disconoscere negli altri le belle qualità che hanno, o diminuirne il grado, e ascrivere a sè stesso qualità che non ha, o le qualità che ha, dal pregio di cinque elevarle al grado di cento. Al’, il nostro Ordine, diceva un tronfio religioso paragonando il proprio Ordine agli altri Ordini; il nostro Ordine non la cede a nessuno in uniiltà! Pazienza il giudizio del Fariseo superbo fosse rimasto sulle generali: no, discende al particolare: anche come questo pubblicano...’. Chi autorizza il Fariseo a formulare questo giudizio? Se il Pubblicano esercitava una professione invisa e pericolosa, chi poteva dire che non. la esercitasse per necessità e con onestà, o almeno chi da questa professione di pubblicano poteva arguire che quell’uomo avesse tutti gli altri difetti, tutt’altro che- piccoli, cioè di essere ladro, ingiusto, adultero? Il Fariseo va innanzi nella sua preghiera. Digiuno due volte la settimana; pago le decime di tutto quello che possiedo... Non -si può negare che queste opere non siano opere buone. Il torto del Fariseo sta nel ricordare queste opere in contrapposto a quello che fanno gli altri; oppure nel dare a queste opere un valore maggiore di quello che abbiano in realtà. In fin dei conti sono opere affatto esterne, che come non costituiscono in sè stesse la moralità, possono trovarsi benissimo insieme a sentimenti ignobili interni, a violazioni gravi della virtù. Quante volte queste pratiche esteriori della legge sono bandiera sventolata per meglio coprire interne magagne, mercanzia avariata!

  • * *

Esaltare il bene che facciamo noi, esagerare e supporre il male negli altri, come faceva il Fariseo, è la forma di superbia più comune e volgare. Ma quante forme variate e sottilissime assume la superbia presso le persone! Un oratore popolare ebbe giustamente a dire: la superbia è come il cotone; si trova in tutte le stoffe: Era superba’ anche Perpetua quando diceva di aver rifiutate tante offerte di matrimonio; e Agnese conosceva così bene il suo debole, che, furba come era, ne usò per giocarle il brutto tiro che tutt: sanno. E’ qui il fanfarone, si mormora ironicamente nelle società galanti, quando compare una nota persona: è un tale che altro non fa che raccontare le site prodezze, esagerando quello che fa, inventando quelli) che non ha mai fatto; se in una faccenda c’è lui, tutto va bene; se è andata male è perchè non c’era lui: lo chiamano quello che ha messo il

piccitiolo alle ciliegie. Ad alcuno guai se non si usano i dovuti riguardi! guai se non lo si saluta in istrada! guai se non Si manda il biglietto di visita nel suo giorno’onomastico t E’ capace di rompere la relazione, di non venirvi più a trovare. Alcuni si azzardano a fare qualche osservazione, a dare qualche consiglio? So ben io quello che devo fare, si risponde, io non ho bisogno del consiglio di alcuno. E si fanno spropositi uno più grosso dell’altro. E’ una padrona di casa che vuol far lei le pietanze invece della cuoca; va in cucina, aggiunge il fuoco di qua, lo leva di là; qui allunga il brodo, là mette troppa sale; per far meglio le pietanze le rovina tutte; per rovesciare.poi adosso agli altri il male che ha fatto lei: è superbia bella.? buona! E’ superba la donna di servizio che vuoi.far a modo su i, che risponde,arrogantemente alle-.osservazioni, al comandi dei padroni. E’ superbo lo scolaro che si crede più bravo dei suoi compagni, e li disprezza. Se alcuno riceve una preferenza, lo si guarda con occhio.di invidia, si grida alla parzialità, al: pare zelo il nostro; non è che orgoglio offeso. Si pensa al bene che facciàmo, non si pensa al molto bene che non facciamo, e potremmo fare, an-• zi dovremmo fare. Ci pare di sapere molto, e non si pensa quanti altri ne sappiano più di noi. Fu ben assestata la risposta data ad uno che millantando il suo sapere, disse in aria di sufficienza ad un amico: quanto pagheresti a sapere quello che so io? E l’altro tranquillo rispose: pagherei il doppio a sapere quello che non sai. Molti sono orgogliosi delle belle qualità che hanno: - lo sarebbero meno se pensassero anche ai loro difetti. Il pollo d’India che fa la rota. O il pavone che allarga la sua splendida coda, sono presi come immagine del superbo: anzi il pavone ha dato origine al verbo pavoneggiarsi, per dire insuperbirsi. Dicono che il pavone,• quando si gonfia di più. se per ’caso abbassa gli occhi e guarda le sue zampe. ruvide, pelate scarne, insozzate di ’fango, si sente umiliato e abbassa subito le ali. Quanti sono superbi di beni dei quali non hanno -alcun merito? Che merito ha uno di vantarsi d’essere ricco perchè è nato ricco’ Potrà vantarsi se’le ricchezze le ha guadagnate lui, se delle ricchezze usa bene. Che riferito ha uno se ha dell’ingegno? L’ingegno glielo ha dato Dio: avrà merito se ne usa bene: se non lo usa, o ne usa male, l’ingegno anzichè essere un titolo di merito diviene un titolo di condanna. Che merito ha uno di essere bello? Eppure quanto e’ comune la superbia della bel lezza! E’ la superbia più vana che ci sia: è la qualità nella quale il merito della volontà propria è entrato il meno possibile; è un merito che oggi c’è e domani non c’è più. Che merito ha uno di avere ereditato un gran nome? Il gran nome è una grande accusa se la nostra condotta non cerchiamo di renderla pari al nome. I’erchè, piccin, tant’anii Vantarmi gli avi tuoi? Della pianta sui rami Io cerco i frutti tuoi: Mal per colui che dice " Che son nella radice.

-3 v [p. 238 modifica]Un rimedio infallibile contro la superbia è il seguente: -quando sentiamo di essere qualche cosa in noi quando proviamo la tentazione di anteporci agli altri, richiamiamo il pensiero di Dio; pensiamo che cosa noi siamo dinnanzi a Dio: quanto rapidamente ogni pensiei o di superbia svanirà! Il bene che abbiamo è tutto un dono suo: di nostro che ci abbiamo messo? Di usare male dei doni ricevuti: potremmo apparire grandi dinnanzi agli altri, dinnanzi a Dio non siamo che peccatori!

Peccatori! Questo pensiero, anzi che insuperbirci, dovrebbe mvilirci. E tante volte, in verità, questo pensiero avvilisce. Dio, nella sua bontà, ci ha prodigati i suoi doni: ci ha dato la bellezza, la ricchezza, la salute: noi abbiamo abusato dei suoi doni; noi fummo superbi, noi fummo ingiusti, noi abbiamo tenuto una condotta scandalosa, noi ci lasciammo strascinare dall’ira, dalla vendetta, noi abbiamo fatto piangere di dolore una madre, noi abbiamo portato la discordia nelle famiglie, noi abbiamo contristato. offeso crudelmente una sposa, noi abbiamo trascurato, rovinata i figli.... la coscienza ci condanna; ci condanna la famiglia; ci condanna la società; ci condanna Dio.... Ah, sì, Dio ci condanna: Dio ci condanna anzi più di tutti gli altri perchè Dio è il più santo, perchè Dio è quello che ci ha beneficati di più, perchè Dio è quello che abbiamo offeso di più; e la condanna di Dio è la più terribile di tutte, perchè è condanna inevitabile perchè è condanna che data una volta, quando usciamo da questa vita, è data per sempre! Consoliamoci! Noi siamo ancora in vita: il bene della vita conservatoci da Dio, col darci tempo a chiedere il suo perdono, è già una prova che Dio vuol perdonarci. Guardiamo il pubblicano dall’odierno Vangelo. An, ch’egli è peccatore; egli stesso confessa di esserlo: entrando nei Tempio non si sente il coraggio di andar vicino all’altare; sta in fondo, tien bassa la sua fronte, si batte il p:ft°, non sa pronunciare che una parola, espressione calda, vivente, del pentimento che ha nel cuore: Signore, abbiate pietà di me peccat9re! Che avviene? Ce lo dice Cristo: questi tornò a casa sua giustificato a differenza dell’altro: imperocchè chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato. Siamo umili con noi stessi, umili cogli altri, confidenti in Dio; questo è il segreto della grandezza e della speranza cristiana. L. V.

Il mercato degli schiavi nel Marocco

ln tutti i bazar di venditori di articoli di rame, di cotone, di cuoio, o d’altro qualsiasi genere, le vendite all’asta del pomeriggio volgono.al loro termine. Tra due folte file di credenti i delal (banditori) hanno

portato su e giù senza tregua le mercanzie loro affidate, procurando di ottenere i migliori prezzi possibili nell’interesse dei mercanti, che siedono gravi e dignitosi nelle loro minuscole botteghe. Nessun mercante importuna i clienti, ma lasciano che i banditori vendano per lui, mentre egli, certo che il buono e cattivo esito del mercato è decretato da Allah, resta comodamente!seduto, estranei a qualunque emozione. L’ora della preghiera del tramonto si avvicina, e i più ricchi clienti della città, senza far più attenzione ai frenetici urli dei delal, si avviano verso il Sok es Abd, mercato di lane al mattino e nel pomeriggio, di schiavi nelle due ore che precedono il tramonto dei sole, e la chiusura dei cancelli della città. Attraverso un labirinto di vie strette e non selciate, in mezzo a botteghe piene di generi alimentari indigeni d’ogni sorta, si giunge ad una strada larga e affollata, dove i camelli sovraccarichi obbligano i pedoni a caniminare cautamente. Ed ecco il cancello del mercato degli schiavi. Una folla di oziosi pezzenti, ai quali vien negato l’ingresso, schiamazza al di fuori del pesante cancello, mentre gli accattoni della città lotta-no per il privilegio di tenere in custodia i muli dei ricchi cittadini, che arrivano in gran numero, attratti dalla voce che saranno venduti tutti gli schiavi di un Gran Visir caduto in disgrazia. L’interno del mercato è un vasto spazio di terreno arido, recinto da mura grigie, sgretolate, crollanti. Nel centro di questo spazio qualcosa di simile ad UIL portico scoperchiato e minacciante rovina si stende da una parte all’altra del mercato; lungo le pareti de’_ recinto sorgono le stalle ove sono ammucchiati gli schiavi. All’esterno s’innalza da ogni parte la città; dietro un muro del mercato appare maestosa la bianca tomba di un santo, circondata da alte palme le cui foglie si agitano mollemente. Sul suolo, presso le stalle umane, siedono comodamente i ricchi clienti del mercato, e discorrono tra loro con disinvoltura, come se quel locale fosse la sala di un club. Dei portatori d’acqua. intanto, innaffiati( la terra assetata, affinché il calpestio degli schiavi e dei banditori non sollevi troppa polvere. Tutto ciò allo spettatore che conosce la Spagna non può non suscitare un lontano ricordo dei circhi ove han luogo le corridas dei tori. Due cicogne, lasciando il loro nido sulla tomba del santo, si librano allegramente in alto sopra il mercato e la loro libertà è un’amara irrisione alla sorte degli infelici esseri umani accovacciati dentro le stalle al di sotto. La vendita sta per aprirsi. Lenti e solenni i delal si avanzano in fila sino al centro del mercato dinanzi al portico, dove i ricchi compratori son seduti aspetetndo. Poi il banditore capo alza la voce, e prega. Ironia feroce! A occhi bassi e a braccia larghe, egli prega fervidamente; decanta la gloria di Allah che fece il cielo, la terra, il mare con tutto ciò che vi dentro; ringrazia Allah di aver mandato agli uomini Maometto suo profeta; invoca Sidi bel Abbas, Santo patrono del Marocco, affinchè benedica il mercato e [p. 239 modifica]conceda lunga vita a venditori e compratori. E a queste preci profferite con intensa emozione, tutti gli uditori rispondono Amen. Terminate le preci, i delal si separano, e ognuno va vicino alla stalla affidatagli, e chiama fuori gli abitatori di essa. Ubbidienti alla chiamata, gli schiavi escono dai loro ricettacoli. I banditori mettono in fila le loro merci, consegnano i fanciulli alla sorveglianza degli adulti, dispongono in ordine uomini e (brine secondo il loro valore, e preparano tutto per la passeggiata attorno al mercato. Gli schiavi, infatti, devono marciare sempre in giro attorno al cerchio dei compratori, sotto la guida dei delal, che proclamando l’ultima offerta avuta consegneranno ciascuna delle proprie merci al cliente il quale voglia esami narla prima di fare un’offerta maggiore. Nella processione così ordinata per il primo giro. vi sono persone di tutte le età: vecchi e vecchie che non possono camminare diritti, neppure sotto il comando dei delal; uomini e donne di media età, ancora capaci di servire per vari anni; giovanotti pieni di vigore e adatti al lavoro dei campi; giovani donne, fanciulli e bambini d’ambo i sessi e d’ogni età, dai più piccini che saranno venduti insieme alla madre sino ai già grandicelli o adolescenti. Ma tutti sono vestiti con stoffe di allegri colori, affinchè gli offerenti aprano più volentieri le loro borse. Finalmente ogni delal ha messo a posto gli schiavi,"avuti in,consegna, e la pr6cessione comincia. Alcuni schiavi sono assolutamente liberi da qualsiasi emozione: altri sentono l’orrore della loro posizione. Queste povere bestie umane non sanno a qual padrone e a qual trattamento saranno destinate. Se il pa drone sarà cortese, bene; altrimenti, peggio per loro! La senseria spettante al delal è il due e mezzo peicento sul prezzo di vendita di ogni merce, e la tassa governativa è dei cinque per cento. Gli schiavi sono venduti con garanzia, e si può rescinderé il contratto quando qualcuno di essi non fu descritto esattamente dal banditore. L’aumento di ciascuna offerta non può essere minore di un dollaro marocchino, si paga subito una caparra, e il saldo vien pagato il giorno dopo. Gli schiavi magri vengon venduti a prezzi minori dei grassi, perchè la corpulenza per il Marocchino equivale ad un indizio visibile di salute e prosperita. Una ragazza di quattordici anni vien venduta a circa 35o franchi, un’altra di dieci anni a circa 300. Le donne attraenti e gli uomini robusti sono già stati venduti a prezzi elevati; gli schiavi vecchi o deboli restano ancora invenduti. Ma i delal insistono a offrirli sino al momento della chiusura. E sempre ripetono i loro giri su e giù per il mercato quelle povere carcasse umane che nessuno desidera; qualche bambino malaticcio non può più tener dietro al banditore, e Questo deve prenderselo per mano e trascinarseli dietro. Generalmente, però, tanto i delal quanto i compratori non trattano troppo male gli schiavi; essi li considerano, anzi, come animali il cui valore commerciale potrebbe scemare a causa dei cattivi trattamenti.

239

La folla si è già assotigliata. Appena dieci schiavi son rimasti invenduti: gli altri son già passati ai loro nuovi padroni. Ancora una volta le cicogne partendo dalla tomba del santo, passano roteando sopra il mercato, orgogliose della loro libertà. Il sole sta tramontando, la vendita volge al fine. Chi abita nell’interno della città deve affrettarsi perchè le porte stanno per chiudersi. Dal minareto che domina la moschea presso il mercato, un muezzin invita alla preghiera della sera. Dal minareto del santo patrono Sidi bel Abbas e da tutte le moschee mi-’ nori, altri muezzin ripetono lo stesso grido. I lebbrosi dalla città per recarsi al loro rifugio notturno; gli accattoni si ricoverano quatti quatti nei loro antri. Le cicogne ritte sui comignoli delle case, girano maestose occhiate sulla città immutabile, mentre al santo Sidi bel Abbas salgono fervide preci di ringraziamento per la lieta riuscita del mercato odierno.