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236 IL BUON CUORE


il dominio sopra sè stessi, nel non piegare nell’avversa fortuna, nel sopportare i disagi della vita, nel non prostituire la propria dignità e libertà, dinanzi alle basse cupidigie. L’avaro è vile: per guadagnare un centesimo, non teme di sottoporsi alle più dure umiliazioni, d’essere disprezzato, odiato, maledetto. Vi sono dei vizi che, riprovevoli in sè, hanno una scusa in una certa apparenza di generosità e di spensieratezza, che li rende meno sgraditi agli uomini: l’avarizia, come l’invidia, non è solo condannata da Dio, ma è pure spregevole in faccia agli uomini. Niente, nella vita sociale, più indispone gli animi di tutti, contro una persona, quanto il dire: è un avaro! Questa frase è come l’etichetta che nasconde tutte le bassezze ’e le durezze possibili.

Questo per la vita presente. La sconfitta maggiore, schiacciante, per l’avarizia, è la morte. La stoltezza dell’avaro appare allora in tutta la sua spaventosa evidénza. Non pensò in tutta la sua vita che a raccogliere; ora deve tutto abbandonare. E i beni che ha raccolto‘a chi andranno? Certo non a lui. E a colmo di derisione, molte volte i suoi beni andranno a quelli ai quali li ha rifiutati in vita, a quelli verso i quali nutriva i sensi della maggiore antipatia! Così infelice: così disprezzato, nella vita presente, potrà almeno l’avaro trovare un conforto nella vita futura? S. Basilio ha su questo punto una pagina di terrifi cante eloquenza. Basterebbe da sola a guarire dal brutto vizio dell’avarizia ogni persona. «Varcat2, la soglia dell’eternità, dice il santo, l’anima dell’avaro volgerà gli sguardi intorno per vedere se vi abbia chi si levi in sua difesa, ma invano. Non vi avrfi,a1Cuno che dica: io pativo freddo, ed ei mi diede una’ veste: io avevo fame, ed egli ha diviso con me il suo pane: io l’ho supplicato d’un soccorso, ed egli accorse in mio aiuto e ’mi ha confortato. «Che facesti» gli dirà il divin Giudice «che facesti dei beni che avevi?» E il misero dovrà risponIdere. «’Ho chiuso il mio frumento in ampi granai, aspettando per venderlo che la pubblica fame ne avesse accresciuto enormemente il prezzo: ho sepolto il mio oro nei ferrati scrigni, negli angoli più riposti della mia casa e chiusi l’orecchio ad ogni mio bisogno, per non toccare neppure una moneta; e ’ogni volta che udivo parlar di perdite, di furti, di aggressioni, sudavo freddo, tremavo pel mio_tesoro e raddoppiavo i chiavistelli.» «Stolto!» ripiglierà il Giudice inesorabile «tu violasti la mia legge: tu abusasti de’ miei doni per accrescere la miseria de’ tuoi fratelli che vacillarono per te nella fede della mia Provvidenza; tu non avesti alcuna pietà pei tuoi fratelli: vanne dunque: non vi ha misericordia per chi non hà avuto misericordia!» L. V.

Vangelo della domenica XIa dopo Pentecoste Testo del Vangelo.

In quel tempo disse il Signore Gesù questa parabola per taluni i quali confidavano in se. stessi, riputandosi giusti e disprezzavano gli altri: Due uomini salirono al tempio a fare orazione: uno Fariseo, e

l’altro Pubblicano. Il Fariseo stava in piedi e dentro di sè pregava così: Ti ringrazio, o Dio, che io non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri. ed anche come questo Pubblicano: digiuno due volte alla settimana: pago la decima di tutto quel che io posseggo.Ma il Pubblicano, stando da lungi, non voleva neppur alzar gli occhi al cielo; ma st batteva il petto dicendo: Dio, abbi pietà di me peccatore. Vi dico, che questi se ne tornò giustificato.a casa sua, a differenza dell’altro: imperocchè chiunque si esalta. sarà umiliato; e chi si umilia sarà esaltato. (S. LUCA, Cap. i3.) Pensieri.

Il Vangelo d’oggi termina con una frase divenuta proverbiale: chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato. Essa è vera tanto nell’ordine religioso che nell’ordine civile. Che brutto vizio è la superbia! Essa toglie il pregio, il merito, anche alle più elette. qualità d’elle quali alcuno potesse essere fornito. All’incontro l’umiltà può rivestire caratteri così concilianti, simpatici, in suo favore, da far dimenticare difetti e_ colpe meritevoli di riprovazione e di condanna.

Guardate il Fariseo. Chi può negare che egli non fosse un galantuomo, ed anche un uomo pio? Egli non rubava, egli non era ingiusto, egli non era adultero; ben più, egli digiunava due volte la settimana, pagava le decime, che servivano tanto per le opere di culto che per quelle di beneficenza: andava in Chiesa... nessuno è autorizzato a sospettare che avesse disordini interni, sconosciuti agli uomini, ma noti a Dio, che fosse buono in apparenza ma non in realtà. come purtrcppo erano molti della sua classe, dei quali Cristo non ingiustamente poteva dire che fossero sepolcri imbiancati, belli al di fuori, pieni di putredine al di dentro..... Di, lui non possiamo dire ciò. Eppure il Fariseo dell’odierno Vangelo, Malgrado i vizi che non aveva e le virtù chè praticava, non è simpatico, non piace, ben più.... non è giusto. Perchè? Perchè era superbo.! La superbia è subito manifesta dal modo col quale entra e si mantiene in Chiesa. Entra; tiene la testa alta; va difilato verso l’altare, come in casa propria; non fa nessun atto che accenni che nel Tempio vi sia qualcuno che è più grande di lui; contegno che dà più vivamente all’occhio e risulta riprovevole pel contrasto di un’altra persona, entrata con lui nel Tempio, il Pubblicano, il quale si era fermato in fondo al Tempio, teneva la fronte abbassata, si batteva il petto in:atto di chi si sente colpevole e chiede di essere perdonato. Quanti cristiani, uomini e donne, imitano purtroppo in queste punto il Fariseo! Entrano nel Tempio con aria disattenta e spavalda; invece di dar segno di trovarsi nel luogo sacro a Dio, pare che siano in piazza, o in casa loro, intenti solo a pavoneggiarsi in confronto del prossimo, col rivolgere in giro sguardi di curiosità e di superiorità, coll’ostentare foggie eleganti di vestiti, più che ad adorare Dio preoccupati (di attirare gli sguardi, di farsi ammirare e invidiare dagli altri!