Il buon cuore - Anno XIV, n. 44 - 30 ottobre 1915/Religione

Religione

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Educazione ed Istruzione Notiziario

[p. 298 modifica] Religione


Domenica seconda dopo la dedicazione

Testo del Vangelo.

I Farisei ritiratisi, tennero consiglio per cogliere Gesù in parole. E mandarono da lui i loro discepoli con degli’ Erodiani, i quali dissero: Maestro, noi sappiamo che tu sei verace, e insegni la via di Dio secondo la verità, senza badare a chicchessia; imperocchè non guardi in faccia agli uomini. Dinne dunqiie il tuo parere: E’ egli lecito, o no, di pagare il tributo a Cesare? Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, disse: Ipocriti, perchè mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo. Ed essi gli presentarono un denaro. E Gesù disse loro: Di chi è questa immagine e questa iscrizione? Gli risposero: Di Cesare. Allora egli disse loro: Rendete dunque a Cesare vivi che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio. (S. GIOVANNI Cap. 22).

Pensieri. Questo Vangelo termina con una frase che ha mutato la faccia del mondo, iniziando nel mondo un ordine di cose affatto diverso di quello che esisteva prima, e che sarebbe continuato, con vicende diverse, nel seguito dei secoli: Date a Cesare quello che è di Cesare, a Dio quello che è di Dio. Con queste parole Cristo afferma l’esistenza dí due società, di natura e uffici diversi, la società civile e la società religiosa. L’argomento fecondo delle più gravi conseguenze pratiche, interessante in tutti i tempi, lo è maggiormente nel nostro.

Date a Cesare quello che è di Cesare. Con questa frase Cristo afferma l’esistenza di una società diver [p. 299 modifica]sa di quella che era venuto a fondar lui, affermata nella seconda parte del suo aforisma: date a Dio quello che è di Dio. La prima è la società civile, la seconda è la società religiosa. Non è indifferente questa asserzione di Cristo. Egli parla della società civile come di un fatto esistente; non lo discute; lo riconosce; l’accetta; lo rispetta. La società civile è un fatto naturale. Questa asserzione include una quantità enorme di principii e di conseguenze. Se la società civile è un fatto naturale vuol dire che essa è l’opera di Dio. La natura è fatta da Dio. Se la società civile è fatta da Dio, vuol dire che la società civile ha un’origine buona, che buona è la sua natura, buoni gli elementi che la costituiscono; che deve avere un fine, che deve avere dei mezzi corrispondenti; che questo fine non deve essere intralciato, impedito; che questi mezzi devono essere forniti e devono. potersi esercitare liberamente e col rispetto di tutti. E’ grande questo concetto della società civile. E’ il concetto che della società civile dà la dottrina cattolica. La società civile è fondata da Dio. egli l’ha fondata col creare l’uomo. L’uomo ha due fini; un fine immediato, un fine ultimo; il fine immediato è il fine dei beni transitori da raggiungersi su questa terra; il fine ultimo è quello dei beni spirituali, che conducono e terminano nel cielo. Raggiungere i beni terreni è l’opera della società civile, raggiungere i beni celesti è l’opera della società religiosa: ciascuna società è indipendente nel suo campo. L’una non deve invadere il campo dell’altra; devono rispettarsi a vicenda. La società religiosa non ha nessun diritto di ingerirsi negli affari della società civile. Il diritto dell’ingerenza nascerebbe nel giorno della invasione di una società nell’altra. Quando la società civile invadesse il campo della società religiosa, la società religiosa avrebbe diritto di difendersi, mettendosi.in lotta: quando la società religiosa invadesse il campo della società civile, impedendo il conseguimento de’ suoi fini, la società civile avrebbe ragione di difendersi, e di richiamare la società religiosa a rientrare ne’ suoi confini spirituali. L’uomo partecipa a un tempo stesso a queste due società; l’uomo è cittadino, l’uomo è credente: come cittadino appartiene alla società civile, come credente appartiene alla società religiosa. Questo doppio carattere crea in lui una doppia serie di doveri, i do veri che come cittadino ha verso la società civile, i doveri che come credente ha verso la società religiosa. Questi doveri di natura diversi, sono però egualmente santi, provenienti egualmente da un’origine sola, da Dio; i doveri civili da Dio, come autorè delta natura, i doveri religiosi da Dio, come autore della grazia. Non meravigliamoci quindi di vedere la promulgazione di questi doveri, fatta contemporaneamente da un labbro solo, dal labbro del Figliuol di Dio, dal labbro di Cristo. Cristo, redentore delle anime, restauratore della società religiosa, è particolar

mente in questo campo che eserciterà l’opera sua: ma il fine religioso, il fine che sarà da lui giustamente chiamato il porro unum est necessarium, non impedsce di proclamare i diritti ed i doveri della società civile: è apostolo della prima, è suddito consciente e fedele della seconda: Date a Cesare quello che è di Cesare, a Dio quello che è di Dio.

Grande, suprema importanza ha questa proclamazione dei doveri e dei dir;tti civili fetta da Cristo: vuol dire che non si può essere buoni membri della società religiosa, se non si è buoni membri della società civile; non si può essere buoni cristiani se non si è buoni cittadini. Può sembrare ardita la frase, ma non è perciò meno giusta: il senso ’ di sorpresa, che questa frase nella sua assoluta e precisa asserzione può destare in noi, è l’effetto di uno stato d’animo creato da contrasti, il cui eco va facendosi sempre più lontano, ma non è ancora cessato del tutto: la verità vera è che i doveri civili sono doveri ingiunti non solo dalla legge civile, ma anche dalla legge reli giosa, per la semplicissima ed indiscutibile ragione, che l’autorità civile viene da Dio, perchè viene da Dìo la società, in cui bene l’autorità civile viene esercitata. Nell’ordine morale e religioso, quale nobile, qua le dignitosa conseguenza dall’essere i doveri civili ingiunti dalla parola, dalla legge di Dio!. Adempiendo i doveri civili, noi facciamo atto di perfezione religiosa, la quale non sta in altro che nell’adempimento della volontà di Dio: sotto questo rispetto dell’obbligazione, i doveri civili cadono sotto la stessa categoria dei doveri religiosi: imposti da Dio i primi, imposti da Dio i secondi: potrà sorgere questione di priorità e di misura: ma intrinsecamente l’importanza e l’obbligazione dei doveri è la stessa.

Ci sono doveri che sono identici presso tutti membri di una società ’che sia.appena regolarmente costituita; ci sono doveri che nascono dalle condiziorii speciali di una società speciale per la forma di costituzione e di governo che una società può avere in confronto di altre. Altri sono i doveri dei cittadini sotto un governo assoluto, altri quelli dei cittadini sotto un governo costituzionale. Sotto un governo assoluto il dovere de cittadini sarà più negativo che positivo; non fare più che fare; ubbidire più che agire: in un governo costituzionale, o repubblicano, nei quali i cittadini stessi sono chiamati ad una partecipazione nell’esercizio dell’autorità, i doveri cittadini diventano molto più numerosi e più importanti per la qualità e per la responsabilità. Questo secondo caso è il nostro. Quali sono i nostri doveri come cittadini di uno Stato costituzionale? Il primo dovere è quello di rispettare la costituzione, quando consti che la costituzione abbia origi [p. 300 modifica]ne legittima. La costituzione civile politica italiana consta di due elementi: l’unità politica dell’Italia, la forma costituzionale, sotto la Casa di Sovoia. L’unità politica fu proclamata dai plebisciti, che, quando sono sinceri, e devono ritenersi tali quando non si possa provare il contrario, sono, secondo la dottrina tradizionale cattolica, la condizione di legittimità dell’autorità sociale. La forma costituzionale fu deliberata nel 1848 da re Carlo Alberto, colla promulgazione dello Statuto, accettato In seguito dal Parlamento, rappresentante la Nazione. Il secondo è di prender parte alle elezioni. Le elezioni sono il mezzo che crea gli elementi legislativi, fonte della vita nazionale. L’urna è la madre morale dello Stato. Il cittadino che accede alle urne è la madre che dà vita al figlio. Quale imperioso, quale importante dovere! con qual senno, con qual diligenza, con quale coscienza deve essere esercitato! Il terzo dovere è pagar le imposte. Lo Stato ha bisogno di mezzi per la sussistenza ed il funzionamento di tutti gli organi della vita sociale, vita legislativa, amministrati’ a, difensiva, progressiva. Chi deve prestar questi rn-2,.t.f? I cittadini, in cui bene funzionano gli orgei-iqrrii s. viali. Le imposte sono I’ alimento indispensabile della vita sociale. Gesù Cristo predica questo dovere col mezzo più eloquente: l’esempio. Il quarto dovere è l’imposta del sangue, la coscrizione. La coscrizione, creando l’esercito, crea la difesa interna ed esterna dello Stato. L’esercito può, assumere diverse forme: erano le milizie avventizie del Medio Evo; sono gli eserciti stanziali dell’epoca moderna; potrà essere in un’epoca avvenire la nazione armata; ma un esercito ci deve essere: il sacrificio può tornarci grave; corrispondente al sacrificio è il vantaggio. Ne abbiamo una prova nel momento attuale: proclamata la guerra, all’esercito è affidato il compito di riconquistare alla nazione i suoi confini naturali, condizione essenziale della sua libertà e indipendenza. Una parte di questa cooperazione pel bene sociale, nell’attuale momento, sta nel favorire la campagna contro la pornografia, promovendo misure di salutare coercizione dall’autorità governativa. Il quinto dovere è la onesta cooperazione di tutti i cittadini pel benessere dello Stato, nel rispetto alle leggi, nell’attività e nell’onestà dei commerci, nella moralità dei costumi, nel senso della solidarietà, per cui ciascuno pensa per tutti, tutti per ciascuno, origine di quelle esplosioni di carità universale, che si manifeStano nella vita ordinaria, colle opere di beneficenza, nelle circostanze straordinarie, colle sottoscrizioni, cogli aiuti personali.

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Questi sono i •doveri sociali, questo è un rendere a Cesare ciò che è di Cesare. Questi doveri esistono in ogni società costituita; esistevano anche quando

imperava fra noi un governo straniero; ma in quel tempo quanto era duro il compierli! Quanto era duro pagar le imposte, quando le somme introitate esulavano in altri paesi! quanto era dura l’imposta del sangue, quando l’arme posta in mano ai nostri fratelli,-ai nostri figli, era adoperata contro di noi, per tenerci soggetti, per tenerci schiavi! Oh, deve tornarci ben dolce, deve esqere ben caro, l’adempiere questi doveri• ora, ora che sappiamo che questi doveri sono fatti in vantaggio, in difesa della nostra patria, dell’Italia, dopo tanti• secoli di divisione e di schiavitù, risorta id unità e libertà! I disordini, le miserie fisiche e morali, le minaccie esistono ancora: la lotta contro il male è condizione per acquistare, conservare, accrescere il bene: armiamoci ciascuno della nostra forza per fare argine agli elementi dissolventi; sentiamo ciascuno la nostra responsabilità: la difesa sociale, bene di tutti, è dovere di tutti. Lo sappiamo: questa difesa è innanzi tutto l’opera del Governo, e per natura sua, e per delegazione avuta dai cittadini: ma quando il Governo sonnecchiasse, quando il Governo per qualsivoglia ragione venisse meno ai suoi doveri, tocca ai liberi cittadini ridestarlo, principalmente per mezzo de’ suoi legali rappresentanti, e dire alto ai ministri: o agite o partite. Non è la nazione fatta per le persone investite del Governo; è il Governo fatto per la nazione.

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Date a Dio quello che è di Dio. L’adempimento dei doveri sociali, il dare a Cesare quello che è di Cesare, è già un modo di dare a Dio quello che è di Dio. Ma il modo più diretto è l’adempimento dei doveri strettamente religiosi, i doveri che abbiamo come credenti, membri della società spirituale che è la Chiesa. L’autorità della Chiesa ha un’origine diversa della autorità dello Stato. Tutte e due le autorità vengono da Dio, ma in modo differente; l’autorità dello Stato viene da Dio mediatamente per mezzo della società, l’autorità della Chiesa viene immediatamente da Dio, per mezzo della volontà di Cristo, che fondò la Chiesa, ponendovi a fondamento gli apostoli, capo sopra tutti Pietro, per mezzo delle sacre ordinazioni, continuata nei loro rispettivi successori. La Chiesa, colla sua autorità è suprema maestra, suprema dispensatrice dei doni spirituali della grazia. Non siamo noi che diamo la autorità alla Chiesa; è la Chiesa che esercita la sua autorità sopra di noi, responsabile in questo esercizio soltanto dinanzi a Dio. Accettare il suo insegnamento, adempire le sue leggi, usare dei Sacramenti, è ciò che forma la vita spirituale, è ciò che ci rende santi sulla terra, è ciò che prepara il merito dei nostro premio eterno nel cielo; è ciò che costituisce veramente il dare a Dio ciò che è di Dio. I doveri naturali e sociali sono rappresentati dalla [p. 301 modifica]patria, i doveri religiosi sono rappresentati dalla Chiesa: uniamo insieme l’amor di patria e l’amor della religione: questa unione è la condizione della perfezioni~ e della felicità in tutti i paesi: quanto tale unione deve essere.più cara a noi quando pensiamo che la patria a cui apparteniamo è una delle nazioni più gloriose del mondo; la religione che seguiamo è la parola stessa di Dio, il codice della verità e della virtù. Alta la fronte: la nostra patria è l’Italia; la nostra religione è il Vangelo.

L’assassini de Miss Cavell

On’altra me n’han faa qui brutt craponi! Ch’ormai con tutt el mond hin in quarella; Hann massacraa la povera Cavella!! Questa l’è propi grossa, de birboni. Alter che barbari... sii barbaroni! Ona donnetta insti mai buna e bella! E rialter la ciamee, cultura... quella?! Mi la ciami Kultur.... de vigliacconi! Seguitee pur a fann de pussee grossi Sfoghee quel vost velen ché gh’avii dent! Sfoghee la bava che gh’avii in del goss! Mazzee bagai e donn, tucc. innocent! Ma on dì ve casciaremm tucc in d’on foss E sarii rnalcdett eternament. FEDERICO BUSSI.

Libriccino confortatore in tempo di guerra (Continuaz. vedi num. 43).

II.

Conforto dell’Amore divino

«Dio è carità» (La Joan IV - 8) Vuoi tu conoscere che cosa guidava il tuo Signore in questo? Comprendilo bene: L’Amore fu il suo movente. Chi te lo spiegò? L’Amore. Che cosa ti spiegò Esso mai? Amore. Per qual ragione? Per Amore. Tienti in esso, e tu vi imparerai ben altro. Tuttavia non Ari saprai od imparerai altra cosa, e ciò senza fine». Codeste furono le parole dette da Nostro Signore alla devota anacoreta di Norwich, Dame Jou

peculare motivo, e quel motivo è l’amore. Nè Joulian credette che l’amore fosse la spiegazione delle sole sue visioni. Anzi, ella fu istruita di prendere l’amore come la piattaforma e la ragione della vita umana; non solo, ma di tutto il creato. Perchè, così ella prosegue, ripetendo la stessa nota di Amore: ’, Così avvenne che io imparai come l’Amore fosse il movente di Nostro Signore. E vidi, pienamente sicura, che appena Iddio ci formò al principio, Esso ci amava; il quale Amore giammai languì, nè languirà mai. Ed in codesto Amore Egli fece tutto quello che fece, ed in codesto Amore fece tutte le cose in proprio riguardo; ed in codesto Amore le nostre vite trovarono la ragione dell’immortalità. Nella nostra formazione si sorprende un principio, ma l’Amore che ci ha fatti, vi si trova senza principio, mentre noi incontriamo il nostro principio in tale Amore». Queste parole racchiudono l’estratto della cristiana rivelazione di Dio e formano la sola filosofia dell’universo, che I. Alga a dare perentoria soddisfazione allo spirito dell’uomo. Credere nell’amore di Dio, a dispetto d’ogni contraria apparenza, è l’atto più arduo, ma insieme il più essenziale della fede; una fede che crede ai dogmi insegnati dalla Chi così spesso descritti come onere aggiunto, lo rende in realtà assai più agevole di quello che potrebbe essere altrimenti. In quest’ora di sconvolgimento, tutte le forze le più spoglie d’amore, sono in azione, ed in vista troviamo più avanzate tutte le cose più odiose e crudeli. Noi abbiamo perciò il massimo bisogno di riaffermare. la nostra fede nel Divino Amore. Ai tempi in cui Madre Joulian trovavasi nel suo angusto eremo di Norwich — cioè nell’ultima metà del decimoquarto secolo e nei primi anni del decimoquinto — non difettavano le crudeltà e le miserie. La Francia era devastata dai saccheggi contemporanei degli Inglesi invasori, delle Compagnie di ventura e dei campagnuoli inaspriti. Molte le carneficine, spaventevoli le torture inflitte; testimoni le vie di Limoges, rosseggianti di sangue e il centro di Beauvais, ove si accesero roghi per bruciare ancor vive le vittime. Anche in Inghilterra, benché il peggio non fosse ancora venuto, regnava la dura oppressione degli schiavi, che condusse alla rivolta sotto Wat Tyler, ed alla conseguente repressione. Ma pure quel tempo era assai più fortunato del nostro. Perché più fortunato? Perché la sua Fede cattolica era più viva e più diffusa; perché possedeva gran numero di Santi, che ponevano fermamente nell’amare Dio la loro fede. Questi Santi sapevano che i patimenti fisici non implicavaho diminu done dell’Amore di Dio verso di loro. L’età nostra ha dimenticato ciò, e, per questo, ora che è la volta di gran patire, non riesce a sorprendervi il passaggio della, mano di un Dio d’Amore. Ciononostante, in molti modi il dolore può compiere opera d’amore. Bene accettato, esso purifica e rafforza lo spirito, lo porta a maggior conformità al Divino Volere, e, sopratutro accresce l’amore verso Dio. Così contribuisce a far Andare le sue vittim, in direzione della vita eterna, che è l’unione con Dio. Da ciò derivava che i Santi amavano e cercavano il patire. Era il grido di S. Teresa: «O morire, o patire». Quando Nostro Signore domandò a S. Giovanni della Croce di in lian, quando essa volle pure sapere perchè le fossero state concesse certe visioni qualche tempo prima. Tutta la rispo servigi, la sua risposta fu «di soffrire e venir deprezzato per

sta è come un concerto di armoniose campane, suonato su

Tuo amore». Istintivamente i Santi hanno sentito che l’amore

dicare quale ricompensa desiderasse per una vita di leali [p. 302 modifica]si rivela nel patire, ed abbisogna del patire come di nutrimento. S. Teresa era ispirata da questo istinto di patire quando, ancor ragazzina, tentò di passare in terre di infedeli per incontrarvi la morte dei martiri. Di ciò è ben detto nell’Inno della sua ufficiatura: Essa giammai si curò di sapere Che cosa avesse a fare la morte coll’amore, Ne mai seppe comprendere Perchè per dimostrare amore dovesse sparger sangue. Tuthivia, benchè incapace di spiegarsi. Essa.sà amare e morire:

Queste altezze, a dir vero, non saranno per noi, ma forse potremo imparare ad accettare per amore dell’Amore i patimenti che i Santi cercavano. Per opera delle sofferenze: noi veniamo messi in peculiare unione col patire di Nostro Signore e della sua Madre, il cui immacolato Cuore fu trapassato da sette spade. Noi ci troviamo sempre in stretto contatto con quelli di cui dividiamo la sorte. Di più, il patire è necessario, e perchè cresca la vita spirituale e perchè si compia una grande e nobile impresa. Dopo una/ pioggia di lacrime, vi appare un giardino di vaghi fiori e deliziosi frutti, che alla sua volta sarebbe arso dalla siccità. (Continua).

Trad. di L. Meregalli.

Edoardo Ferravilla

Edoardo Ferravilla, il classico umorista, che ha lasciato una traccia impèritura nella storia dell’arte comica dialettale milanese, ha compiuto alcuni atti nell’ultimo periodo della sua vita, pei quali merita che:;e ne faccia un cenno di lodevole ricordo nel Buon Cuore. L’arte di Ferravilla, arte eminentemente popolare, latta per solleticare specialmente le masse, si svolgeva su un terreno abbastanza scabro e pericoloso: era facile lo sdrucciolare dal ridicolo nell’equivoco e nello:;conveniente: tanto più col fatale esempio di tante pochades che infestano le scene del teatro comico italiano: le tendenze del teatro di Ferravilla non furono mai inclinate da quella parte: gli saranno sfuggite delle frasi non del tutto corrette, ma la produzione nell’assieme non lo era mai: faceva ridere, ma non:scandalizzava, e mi ricordo che si ebbe quasi a male guardo, venuto una volta a recitare nel salone dell’Itituto dei Ciechi, io, scherzosamente, mi permisi di icordargli, di non dimenticare che recitava in un isti tuto d’istruzione e di educazione. Due atti meritano di essere ricordati al pubblico. due atti di buon esempio che risvegliano a un tempo la stima dei galantuomini e dei credenti: regolarizzò i rapporti di famiglia, Col dimandare la benedizione reI;giosa sul suo matrimonio, chiese e ricevette i -,acramenti ultimi della Chiesa.

Vivamente riconoscente alla benevola attenzione usatagli dall’Arcivescovo nel visitarlo più di una volta nella sua malattia, gli lasciò un legato di L. 10.000, perchè l’Arcivescovo le distribuisse, come.meglio credeva, ai poveri. Questi atti non possono non aver lasciato una favorevole impressione nella cittadinanza milanese, gioviale ma anche profondamente religiosa. Ferravilla ha rallegrato Milano col suo umorismo in vita, gli ha fatto bene col suo buon esempio in morte. L. V.

Don Luigi Guanella

E’ morto don Luigi Guanella. Chi non lo conosceva? chi, almeno, non ne aveva udito il nome? Il compianto per la sua morte fu universale. E’ detto tutto col dire: Fu un uomo di bene, che ha fatto il bene unicamente pel bene. Non cercò mai nulla per sè, tutto per gli altri. E questi altri erano semplicemente i bisognosi di tutte le specie, i rifiuti delle altre instituzioni: per essere accettati da lui non si richiedevano procedure burocratiche che pure sono indispensabili nell’andamento normale della società: un titolo solo era necessario per essere accettato da lui: trovarsi in bisogno. Egli cominciò dal poco ma progredì sempre, Frogredì in mezzo a rinascenti ostacoli, fra l’opposizione anche delle persone buone, che non sapevano sempre approvare I suoi metodi, sproporzionati tra i mezzi ed il fine: aveva fatto proprio il detto di San Paolo: insta opportune, importune: bastava die una causa fosse buona, perchè egli l’abbracciasse. Se i mezzi non c’erano al presente, sarebbero venuti domani: quelli stessi che lo censuravano, diventavano il suo aiuto, i suoi fautori, quando vedevano che non aiutato sarebbe affogato. Il segreto dei suoi risultati era la sua fede semplice, assoluta nella Provvidenza: la Provvidenza non era per lui una parola convenzionale, ma speranza viva, non era sola speranza: era una certezza tangibile: la cosa era fatta per Dio? Dio doveva pensarci, e Dio ci pensava. Egli viveva in un’atmosfera sopranaturale. E’ la caCottolengo, ratteristica di altri santi contemporanei D. Bosco. Anzi con D. Bosco passò alcuni anni della sua vita, e nel contatto della persona ne contrasse lo spirito, e collo spirito la propaganda delle opere ed in proporzione limitata anche i trionfi. Quanto ha fatto in un tempo relativamente breve! Ha aperto case a Como, a Milano, nel Veneto, nel Canton Ticino, a Roma, in America: nessuno sapeva dir di no ad una persona che si presentava senza nessuna pretesa, ma con insistenza, senza tener calcolo dei rifiuti come se non esistessero: aveva cominciato col sentire un no, finiva col sentire un sì. Ebbe, ad opera progredita, l’approvazione e l’appoggio delle più alte autorità nella Chiesa, dell’Arcivescovo, del Papa: i suoi funerali, celebrat’si a Co [p. 303 modifica]mo giovedi, coll’intervento dell’Arcivescovo di Milano, di quello di Vercelli, di altri dignitari, e d’immenso concorso di clero e di popolo, e di rappresentanze di rtfolti istituti di beneficenza, furono una manifestazione spontanea, universale, solenne, della stima e della venerazione di tutti: furono i funerali di un santo. Tutti i giornali parlarono di lui, e tutti bene: meno i giornali framassoni: Guanella per loro non ha esistito; non ha esistito per essi l’uomo che sacrificò tutta la sua vita per gli umili ed i diseredati, per essi che si professano i fautori, i difensori delle classi popolari: crudele, umiliante castigo che infliggono a se stessi, nel non associarsi all’omaggio di un benefattore del popolo, perchè questo benefattore è religioso: per essere settari diventano ridicoli ed ingiusti. L. V.

Le cieche fanno calze per i soldati

Mentre voi, o valenti fratelli, sfidate i pericoli dell’Alpe e del mare per la grandezza e la gloria dell’itala terra, qui, dove si attende e si spera, è tutta una nobile gara di pietà operosa, d’alacre attività, di generosa emulazione: e l’anima, la vita di tutto questo, siete voi, sono le vostre famiglie, i vostri diletti piccini, ai quali si vuol sostituire, con altre provvide e tenere, le cure mancanti del padre. Tutti lavorano, tutti: perchè tutti possono fare qualcosa: e tutti si sentono fratelli in questo sublime stimolo di bene, che fa dimenticare ogni disparità di ceto, di età, di circostanze; anche il mondo delle tenebre dà, (e lo dico con gioia, certo non disprezzabile), la sua parte di cooperazione in questo campo così vasto e vario di lavoro e di bene. Si, cari fratelli, anche i ciechi hanno il soave conforto e l’ambita soddisfazione di portare, in tanto dolore e in tanta necessità, il loro volonteroso e valido contributo. Nei pochi e brevi istanti di tregua, mentre il vostro sguardo erra nell’orizzonte, sospinto certo dal desiderio di un memore viso, protendete più ancora, almeno per un istante, l’ansiosa pupilla e fatela errare fraternamente nel mondo del buio, dove proverete non già un senso d’orrore, di scoramento, bensì di compiacenza e di commozione. Guardate! Guardate! Sono mani instancabili che si agitano frettolose, come allenate da una recondita forza motrice. La fronte è ritta, pensosa, assorta in lontane meditazioni... Non piegata a spiare l’opera indefessa delle mani, ma alta, quasi per cercarvi i vostri monti, come cerca voi coi pensieri migliori, cogli affetti più santi, coi volti più belli. Di tanto in tanto, la mano tocca, accarezza anzi il lavoro compiuto, desiderando per esso il divino miracolo della moltiplicazione. La lana diminuisce... la calza si allunga... Essa è completa. Oh, vada, vada

presto la.provvida riparatrice del freddo; vada messaggera di benedizione, di buon augurio. All’industria muliebre, noi aggiungiamo per voi l’arte dei suoni e dei canti, la quale, come la musica notturna dell’usignolo, ha da noi un fascino secreto, una misteriosa poesia. La notte ha il suo mondo di luce e di vita, così anche noi, o fratelli, attraverso le tenebre esteriori, abbiamo tutto un mondo di sensazioni e d’affetti, che ci fanno palpitare e vivere della vostra medesima vita. Fratelli, noi vi sacriamo le nostre giornate, prolungandole colle veglie serali, rischiarate, non già dal lume della lampada, bensì da quello dell’amore, in santa unione colle madri, colle spose, con tutta Italia, che con voi combatte e tende fiduciosa ad una nuova redenzione. Avanti, fratelli, avanti: voi combattete col ferro, col fuoco; noi col lavoro e colla preghiera. Queste parole si leggevano in un piccolo foglio, scritto in Braille, che vaga come lucQiola a recare un po’ di lume ai ciechi di diversa regione. Intanto nell’Istituto di Milano si sferruzzava attivamente lavorando calze di lana per i soldati. Due generose signore offrirono la lana; le cieche offrirono l’opera volonterose. Quando ne furono pronte cento e dieci paia, il rettore prof. Stoppani si recò al fronte con il buon fardello e con altre provvidenze messe a disposine da altre mani benefiche, così da far pervenire direttamente nella zona di combattimento, il contributo gentile della fratellanza in sollievo e per la forza dei nostri soldati.

Anche lo Sealdaraneio Mentre le cieche lavoravano a far calze, i piccoli ciechi della Comunità maschile si sono dedicati allo scaldarancio. Fu questo un vero passatempo nel senso più nobile: il piacere del lavoro, la soddisfazione di dare il contributo alla guerra, il pensiero di fare qualche cosa per i fratelli soldati, tutto questo stimolava i Ciechi dell’Istituto a rotolare gli scaldarancio. Così le centinaia di rotoli ben fatti, ben rotolati dal tatto esperto, poi trasmessi alla sede del ricapito, hanno provato ancora una volta che il cieco può sempre essere utile, quando sia messo in condizioni di farlo.

Il lucignolo della madre

La più grande ed irreparabile delle sventure, che possa colpire sul campo della guerra, è la cecità. Plaudendo all’iniziativa e generosità di coloro che, con vero spirito di umanità, pensano a rendere, in tutti i modi, meno disastrosa questa terribile sciagura, io invito con un grido che viene dal profondo dell’animo di una madre, tutte le donne italiane, anche le più povere, perchè, pensando ai cari occhi che vi sono [p. 304 modifica]nella loro famiglia, diano, anche solo,.10 centesimi per ogni occhio che amano e che è loro tanto pre,:ioso, a sollievo dei disgraziati che non vedono più! Nella mia famiglia, per esempio, siamo nove persone che ci guardiamo con tenerezza, che lavoriamo per esserci utili l’un l’altro: ebbene, sono diciotto occhi cari e preziosi: io offro dunque la piccolissima somma di cent. 10 ogni occhio caro, perchè, per Gra le mie finanze non mi permettono di più, ma:nero che sarà questo il primo lucignolo che attirerà dietro a sè migliaia di altri; perchè, certo, non solo nessuna madre si rifiuterà a dare questo piccolo obolo; 2- a divulgherà questa.idea presso amici e conoscenti, invitandoli ed incalzandoli ad imitarla e così ciascuna donna italiana potrà dire di aver portato un po’ di luce agli accecati dalla guerra! Una madre. Unisco L. 1.80 quale primo lucignolo e prego mettere in lista: Per 18 occhi: Una madre L. 1.80.

Scarso profitto a certe lezioni

E’ notorio lo stratagemma di Costanzo Cloro — il padre di Costantino Magno — per assicurarsi della fedeltà di taluni che aspiravano a servirlo. Li mise alla prova sul terreno religioso. Come Costanzo era pagano, così parecchi aspiranti passarono con armi e bagaglio, dal cristianesimo all’apostasia credendo di

ingraziarsi il nuovo Signore. Che, furbo e sagg:o senz’altro li escluse dal suo servizio dicendo che colui il quale è capace di tradire la Divinità, tanto più, al momento opportuno, tradirà un uomo debole e mortale. Sono noti egualmente due detti antichi, uno nel II libro dell’Eneide di Virgilio, là dove è parola del famoso cavallo di legno «Timeo Danaos et dona ferentes». L’altro nella Gerusalemme Liberata del Tasso che suona così «La fede greca a chi non è palese?,) Tuttavia la Quadruplice fino ad ieri fece grande assegnamento su quel Ferdinando di Bulgaria che per miserabili vantaggi terreni non dubitò di permettere che il figlio Boris passasse dal Cattolicismo alla religione scismatica Russa; dalla quale ora, come riferiscono i giornali, ha già disertato per tornare al cattolicismo greco-unito, non però latino. Tuttavia fino a ieri si fu nel più strano ottimismo sulla definitiva dichiarazione della Grecia. Le sorprese della diplomazia sono curiose senza • dubbio; ma da quanto si giudicò fino ad ora sulla ingenuità della Quadruplice pare escluso che la si possa purgare. Giuocata, turlupinata quando avrebbe po(a. 1. m.) tuto non esserlo.

ERRATA CORRIGE La prima strofa del sonetto del sig. F. Bussi, intitolato: «Guglielmo l’è matt!» si legga così: «Sì, sì, l’è matt propi de bon.»

FRANCOBOLLI USATI

Signora Iginia ved. Ghisi. N. 2600