Il buon cuore - Anno XIV, n. 24 - 12 giugno 1915/Religione

Religione

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L. Vitali L. Meregalli

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Vangelo della domenica IIIa dopo Pentecoste

Testo del Vangelo.

Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: Siate misericordiosi, come anche il Padre vostro è - Misericordioso. Non giudicate, e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati. Perdonate, e sarà a voi perdonato, date, e sarà dato ti Vai; si avch’se’rà nel vostro seno una "buona misura CalCata.’e ricolmata e sovrabbondante; poiehè si farà:uso’ con voi della stessa misura, di cui vi sarete serViti, cogli’Últri. Diceva poi ’loro anche gueSta -similitUdiite: E’ egli possibile che’un cieco guidi nn cieco? non’cadì noeSSi entrambi nella fossa? Non V’ha Scolaro da più del Maestro. Perchè poi osservi tu una ’pagliuzza nell’occhio.del tuo fratello, e non badi alla trave che hai’nel tuo occhio? Ovvero come puoi tu dire al tuo, fratél: Lascia., fratello, che io ti cavi dall’occhio -la pagliuzza, che vi hai, Mentre tu non vedi >la’trave’ che è [p. 188 modifica]nel tuo occhio? Ipocrita, cavati prima dall’occhio tuo la trave e allora vedrai di cavare la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.

male degli altri, non avvertito, non impedito, sarebbe imputabile a noi.

S. LUCA, Cap. 6.

Pensieri.

Il precetto della carità, tanto raccomandato nel Vangelo, ha mille svariatissime applicazioni. Nel Vangelo d’oggi ci vien raccomandata la carità che noi dobbiamo avere verso il nostro prossimo, sia nei giudizi, sia nei sentimenti, sia nelle parole, sia negli atti. E’ una specie di codice pratico che ci viene presentato, da seguirsi specialmente nei rapporti quotidiani della famiglia e della società. Quanti beni sarebbéro acquistati, quanti mali, quanti disordini sarebbero evitati, se i precetti del Vangelo fossero da noi fedelmente seguiti.! Il primo precetto riguarda una disposizione generale verso il nostro prossimo, una disposizione di tutti i tempi, e verso tutte le persone; è la disposizione della misericordia. Questa disposizione è già un gran bene per sè e per noi e per gli altri, perchè ci prepara ad usare con tutti indulgenza e carità, ad usare con tutti i modi cortesi e gentili,.a non pensar male, a non parlar male, a non metter male con nessuno,; e gli altri, conoscendo questa nostra abituale propensione di carità verso di essi, ci vogliono bene, parlano bene di noi, si affidano con fiducia alla nostra persona, all’opera nostra. Tutto è pace, tutto è ordine, tutto è sorriso intorno a noi. Si dirà di noi ciò che fu detto di S. Francesco di Sales: come deve essere buono il Signore, se è cosi buono il Vescovo di Ginevra!

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Il primo officio della misericordia sta nel pensiero: non giudicate. Che diritto abbiamo noi di pensare a quello che fanno gli altri? Lasciamo che ciascuno pensi o faccia a suo modo. Un giorno il Signore ci chiederà conto non di quello che hanno fatto gli altri, ma di quello che abbiamo fatto noi. Se noi vogliamo davvero far bene, far bene internamente col tener pura la nostra coscienza, col rettificare le nostre intenzioni, col suscitare in noi nobili e generose aspirazioni; far bene esternamente coll’adempiere con esattezza e con prontezza i nostri doveri, non ci resterà molto tempò di pensare a quello che fanno gli altri; il tempo farà anzi difetto per noi. E’ un fatto di quotidiana esperienza, che coloro i quali hanno sempre qualche cosa a dire contro degli altri, meriterebbero che si dicesse altrettanto e più di loro. La botte, dice il proverbio, dà il vino che ha. La preoccupazione della condotta degli altri cessa di essere un difetto, e diventa anzi una virtù, uno stretto dovere, quando, per qualsiasi titolo, o di natura o di professione, noi avessimo l’incarico di pensare agli altri, di sorvegliare gli altri, ciò che è proprio dei genitori, dei maestri, dei capi. Il non pensare agli altri sarebbe in questo caso riprovevole negligenza, che potrebbe meritarci i più gravi castighi: il

Il secondo ufficio della misericordia è quello di non condannare. Non è lodevole l’abitudine di immischiarci negli affari degli altri, quando non ne abbiamo la missiòne; ma è abitudine assai peggiore quella di condannare ciò che gli altri credono di fare, o hanno fatto. Eppure questo ufficio quanto facilmente viene assunto! Viene assunto dagli inferiori coi superiori; dai compagni verso í compagni. Vedete è giudicare, è condannare. Sappiamo noi quali sono i motivi che inducono i superiori a fare una cosa o a vietarne un’altra? Non sempre i superiori posson dirvi le ragioni delle loro disposizioni; qualche volta anzi sarà dovere, sarà prudenza il non palesarli. Peggio poi,!quando ad atti per sè indifferenti si vuole attribuire un’intenzione cattiva; oppure un’osservazione, che ci spiace, ritenere che ci venne fatta non perchè sia giusta o meritata, ma per malanimo, per prevenzione. Quando il motivo delle azioni altrui non si è fatto palese, non è palese, noi siamo obbligati a pensare bene e non male. L’azione del nostro prossimo è come un prisma dalle cento faccie; ci sono faccie scure e faccie luminose di queste faocie, quale noi dobbiamo scegliere per giudicare? Sempre la più luminosa• Dobbiamo fare in questo rapporto ciò che desidereremmo che gli altri facessero con noi. Ci piacerebbe che gli altri giudicassero le nostre azioni, e ci condannassero in base alle apparenze? Giustamente ci adonteremo di questi giudici avventati, ingiusti. Non faciamo agli altri ciò che ci spiace che gli altri facciano con noi.

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Il terzo ufficio della misericordia è quello di perdonare. Anche questo ufficio quanto difficilmente, quanto raramente è compiuto! Quanti pretesti si trovano per esimersene! «Noti sono stato io il primo a offendere; non è la prima volta che mi tratta in malo modo; sì, io gli perdono, ma non voglio più saperne; non mi venga più tra i piedi; sì, io gli perdono...» ma quando si vede quella persona in una via, si svolta il’angcolo, per non vederla, per non incontrarla, o si volta via la faccia.... Non è questo il modo pratico ed evangelico del perdono. Per perdonare, non si nega che nel prossimo vi sia la colpa: la colpa la si ammette; se non c: fosse, non potrebbe esserci neanche il perdono. Quello che si afferma come dovere è che, pure ammessa la colpa, il perdono deve essere dato. Prima di tutto osserviamo se il male sia stato fatto realmente dalla persona alla quale l’attribuiamo. Quante volte siamo tratti in inganno da false apparenze o da false relazioni! In secondo luogo osserviamo, se la colpa degli altri verso di noi non abbia un’origine, una colpa nostra verso degli altri. Osserviamo in terzo luogo se il male che attribuiamo agli [p. 189 modifica]altri contro di noi, dagli altri non sia stato compiuto senza nessuna cattiva volontà, senza accorgersene. Il f anciul che a piuma a piuma L’augellin nudando va, Lentamente lo consuma E d’offenderlo non sa. Ma sia pur difficile il perdono, il perdono non cessa di essere un dovere. E’ un dovere cosi preciso e assoluto, che, non adempito, ci toglie di ricevere il perdono da Dio. Il perdono di Dio per noi rappresenta il nostro maggior bisogno. Or bene, Dio non ci perdona se noi non perdoniamo agli altri. Le offese che gli altri hanno fatto a noi sono ben minori di quelle che noi abbiamo fatto a Dio: Dio perdona, e noi no! Non perdonando, non manchiamo soltanto ad un dovere; rinunciamo ad una delle grandezze morali più belle e più pure che l’uomo possa mai, raggiungere. C’è qualche cosa di più grande del bacio che Cristo rende a Giuda, chiamandolo, in fragrante tradimento, col nome di amico? C’è qualche cosa di più sublime della preghiera di Cristo sulla Croce in favore de suoi carnefici: Padre, perdona ad essi il loro peccato, non sanno quello che si fanno? Fratelli, non perdonando, in qualsiasi forma o misura, è a questa grandezza che voi rinunciate!

Per rendere più efficace l’invito alla misericordia verso il prossimo nel non giudicarlo, nel non condannarlo, Cristo affida il precetto ad una similitudine, che parli non soltanto al pensiero ma alla immaginazione. Chi manca di misericordia, non è soltanto colpevole; è stolto, è ridicolo; vede la pagliuzza che è nell’occhio altrui, non vede la trave che è nel proprio. Il ridicolo è una delle forme più potenti della censura. Il Vangelo non l’ha mai adoperata. L’adopera in questo caso. Siate misericordiosi come anche il Padre nostro è misericordioso. Finisco il commento al Vangelo colle parole colle quali Cristo lo incomincia. Questa idea positiva e sublime invada la nostra mente, il nostro cuore; ricordiamola nei rapporti col nostro prossimo, specialmente nei momenti più difficili; se riusciremo dall’interno dell’anima a farla uscire negli atti esterni della nostra vita, noi saremmo davvero l’immagine di Dio; Dio avrà un riflesso in noi; lo avrà pel bene che avremo fatto in terra, lo avrà pel bene che di’ ricambio noi un giorno riceveremo in cielo. L. V.

Vigilia Italica

Ne l’epico momento che ai posteri sarà voce e memoria d’una superba pagina di storia libero ondeggi il tricolor al vento.

Squillino le fanfare nel ritmo di canzoni trionfali, a rinnovarci i. fremiti vitali che un dì Italia scuotean da l’Alpi al mare. Come a quei dì, pur ora «si scopron le tombe» e ai vivi, ai forti, parlano i nostri martiri risorti, cantano i vati della nuova aurora. O Croce di Savoia, bianca stella del cielo italiano! Quale in Te ci affratella impeto arcano, quale ci arride vision di gioia! Questa vigilia sacra che un’eroica domani a noi prelude, questo fervor di bellica virtude, un secolare anelito consacra. Ai gioghi d’oriente donde soleva l’aquila fatale su te piombare, su Te stringer Pale, a sua possa prostrandoti impotente; da l’ardue tue frontiere, Patria, oggi riguardano i tuoi figli, evocando gli antichi aspri perigli, e l’onta e l’ira del servii tacere. A sommo d’ogni vetta. a ogni sbocco di valico o di valle, di maschi petti e di dquadrate spalle un baluardo che non teme, aspetta. Vigile aspetta. In alto, fiorisca il maggio o tuoni la valanga, par che un fraterno gemito si franga! Entro ogni gola, su per ogni spalto, l’aquila spia se un volo, se un libero sospir l’aura commuova. Veglian l’itale scolte e all’ardua prova anelano, d’un cor, d’un voto solo. Balde energie, temprate già ai rischi, ai nembi, in generosa sfida, si rigridano, ronda alacre e fida, difensori d’Italia, vigilate. E il popol tuo soldato, Patria, vincerà, pel buon valore, ch’è tenacia di fede, ansia d’onore. trionferà sul numero e l’agguato, per la divisa ardita che a timor, a viltà mai non s’abbassa; «Nostra l’Italia! Di quì non si passa! Nostra l’Italia, è sua la nostra vita!» Sui contrastati forti, e su l’adriaco mar, vindice degna, risorgerà la tricolore insegna, di gloria auspicio e di serene sorti. Via pel gran ciel, che al bieco turbine oppose una sua calma austera, oggi è la luce d’un dolor che spera, luce immensa d’amor. Patria, siam teco! [p. 190 modifica]Tutti siam teco e pronti: se giunga l’ora del cimento estremo, lottar, soffrire ed aspettar sapremo, in alto i cuori, impavide le fronti. Un almo incanto ammalia ed avvalora, o Patria, i figli tuoi: freme la polve degli antichi eroi, e ogni voce ti esalta, Italia! Italia! MARIA MOTTA Maestra cieca

Un grido contro la moda

Ci viene inviato, con preghiera di pubblicazione, il seguente articolo. Non è nelle nostre abitudini e nei nostri gusti il trattare argomenti di questo genere,,che direttamente o indirettamente, toccano la più pericolosa delle passioni: di essi noi crediamo assai sa-2iente il consiglio di S. Paol6: nec nominentur in vobis. Frase che mi richiama l’altra di Manzoni: dell’amore parlare il meno possibile: ne abbiamo in corpo 666 volte più del bisogno: e moda e amore sono gemelli. Possono sembrare apprensioni soverchie per la conservazione dei buoni costumi, ma ci sovviene della famosa ode del Parini sul vestire alla ghigliottina; se non siamo alla ghigliottina piena, siamo alla metà, la qtial metà che manca al collo pare aspiri a supplirvi con quanto manca ai piedi. Paiono cose da poco, ma il severo psicolcgo moralista giustamente osserva, rivolto a Silvia, schiava della moda: Ahi, da lontana origine Che occultamente noce, Anco la molle giovane Può diventar feroce.... Tal da lene principio In fatali rovine Cadde il valor la gloria De le donne latine.... Nòn obliar le, origini De la licenza antica. Pensaci: e serba il titolo D’umana e di pudica. L. V. Ecco ora l’articolo:

LA MODA

(UN FIORETTO PEL MESE DI MAGGIO).

Maggio è passato! Ma l’eco dei pergami, l’eco dei cantici sacri, la soavità - dei fiori olezzanti, deposti ai piedi di Maria, rimarranno nei riposti penetrali dell’anima fino al maggio venturo, celeste alimento alla vita divina che 16 spirito santo vi accese. Molte anime, che aprirono le loro orecc’die alla

voce del verbo, in omaggio appunto alla Gran Vergine, tralasceranno di essere quali furono e Imprenderanno una vita di ascensioni, di rinunzie, di battaglie spirituali, in quel campo ove più grande è l’insidia dell’antico serpente. Tralasceranno di fare della vita tutta un omaggio, per inghirlandarsi soltanto di rose nella folle spensieratezza di chi vive a sè e non a Dio che ci creò. Oggi l’antico serpente si presenta al sesso debole e al forte, (che paga doppiamente le spese) colla seducente legge della moda. La moda è divenuta, è ritenuta, legge. Donne e uomini che diconsi cristiani soggiacciono a tutti i suoi capricci, a tutte le deturpazioni e brutture che sfigurano l’immagine del Padre che Gesù ripristinò in noi. Tra mille fogge di cappelli, tra pennacchi, e piume, e nastri, e trasparenti e sparati e sgonfi e risvolti, s’indovina sempre il sottile veleno che alita il serpe sulle innumerevoli vittime incantate, d’infra la molle erbetta in fiore. Il prato incantato ove giace appiattato il serpe è da fuggirsi, o anima di sposa, o anima di vergine donzella, per volger l’occhio a Colei che in Cristo calpestò il serpente antico!

Ma infine, qual legge, quale amore del prevalere nel cristiano? La legge della moda o la legge della pudicizia cristiana, l’amore del mondo o l’amore di Dio? (( Chi ama il mondo e le cose che sono dei mondo, l’ambre del Padre non è in lui)) ammonisce l’Apostolo S. Giovanni. Gli empi mercatori della vanità donnesca scusano e giustificano la moda coll’arte. Ma quell’arte che strappa dalle mani di Dio le semplici vesti di cui egli cuoprì i nostri progenitori, è arte diabolica, nefanda. Essa così sarebbe definita dall’apostolo Paolo: «Concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi, concupiscenza della vita.» In fondo è quella concupiscenza che oggi manda in fiamme la nostra Europa. ((Onde vengon IP guerre e le contese fra voi? Non è egli in questo, cioè dalle vostre voluttà che guerreggiano nelle vostre membra?)) dice S. Giacomo. Si dovrà adunque ricercare e accettare ciò che si fuggì e si rinunciò nel sacro patto battesimale?! Abrenutias satanae?-.. Et omnibus operibus Et omnibus pompis eius!... (E a tutte le sue pompe?) Si risponda una volta per sempre Abrenuntio! Rinuncio! La vita cristiana è un sacrificio e un totale rinunziamento, o non è!. Ecco un bel fioretto che dal maggio T914 al maggio 1915 non perderà profumo! A voi. donne cristiane per- l’Immacolata Vergine che incarnò la legge del pudore! Alessandro Tiberti [p. 191 modifica]Semm denter!

Sì, semm andaa, putost alla sveltina, Col pass de bersaglier, senza spuei. Semm saltaa denter in la Vall Trentina, Per brascià su quii là, noster fradei. In l’istess teme hemm faa na visitina A quell’altra fiera de fradei, Che stann de ca in la conca ’Triestina E vann insci d’accord coi nost’idei. N’han ricevuu coi bràsc avert... se sa! Dopo tanti ann dell’oppression straniera, Ouell de sentì on pro funint de libertà, La ghe parsa ona roba minga vera, Li3r che podeven nana respirò, Hann benedii stoo fiaa de Primavera. FEDERICO BUSSI.