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188 IL BUON CUORE


nel tuo occhio? Ipocrita, cavati prima dall’occhio tuo la trave e allora vedrai di cavare la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.

male degli altri, non avvertito, non impedito, sarebbe imputabile a noi.

S. LUCA, Cap. 6.

Pensieri.

Il precetto della carità, tanto raccomandato nel Vangelo, ha mille svariatissime applicazioni. Nel Vangelo d’oggi ci vien raccomandata la carità che noi dobbiamo avere verso il nostro prossimo, sia nei giudizi, sia nei sentimenti, sia nelle parole, sia negli atti. E’ una specie di codice pratico che ci viene presentato, da seguirsi specialmente nei rapporti quotidiani della famiglia e della società. Quanti beni sarebbéro acquistati, quanti mali, quanti disordini sarebbero evitati, se i precetti del Vangelo fossero da noi fedelmente seguiti.! Il primo precetto riguarda una disposizione generale verso il nostro prossimo, una disposizione di tutti i tempi, e verso tutte le persone; è la disposizione della misericordia. Questa disposizione è già un gran bene per sè e per noi e per gli altri, perchè ci prepara ad usare con tutti indulgenza e carità, ad usare con tutti i modi cortesi e gentili,.a non pensar male, a non parlar male, a non metter male con nessuno,; e gli altri, conoscendo questa nostra abituale propensione di carità verso di essi, ci vogliono bene, parlano bene di noi, si affidano con fiducia alla nostra persona, all’opera nostra. Tutto è pace, tutto è ordine, tutto è sorriso intorno a noi. Si dirà di noi ciò che fu detto di S. Francesco di Sales: come deve essere buono il Signore, se è cosi buono il Vescovo di Ginevra!

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Il primo officio della misericordia sta nel pensiero: non giudicate. Che diritto abbiamo noi di pensare a quello che fanno gli altri? Lasciamo che ciascuno pensi o faccia a suo modo. Un giorno il Signore ci chiederà conto non di quello che hanno fatto gli altri, ma di quello che abbiamo fatto noi. Se noi vogliamo davvero far bene, far bene internamente col tener pura la nostra coscienza, col rettificare le nostre intenzioni, col suscitare in noi nobili e generose aspirazioni; far bene esternamente coll’adempiere con esattezza e con prontezza i nostri doveri, non ci resterà molto tempò di pensare a quello che fanno gli altri; il tempo farà anzi difetto per noi. E’ un fatto di quotidiana esperienza, che coloro i quali hanno sempre qualche cosa a dire contro degli altri, meriterebbero che si dicesse altrettanto e più di loro. La botte, dice il proverbio, dà il vino che ha. La preoccupazione della condotta degli altri cessa di essere un difetto, e diventa anzi una virtù, uno stretto dovere, quando, per qualsiasi titolo, o di natura o di professione, noi avessimo l’incarico di pensare agli altri, di sorvegliare gli altri, ciò che è proprio dei genitori, dei maestri, dei capi. Il non pensare agli altri sarebbe in questo caso riprovevole negligenza, che potrebbe meritarci i più gravi castighi: il

Il secondo ufficio della misericordia è quello di non condannare. Non è lodevole l’abitudine di immischiarci negli affari degli altri, quando non ne abbiamo la missiòne; ma è abitudine assai peggiore quella di condannare ciò che gli altri credono di fare, o hanno fatto. Eppure questo ufficio quanto facilmente viene assunto! Viene assunto dagli inferiori coi superiori; dai compagni verso í compagni. Vedete è giudicare, è condannare. Sappiamo noi quali sono i motivi che inducono i superiori a fare una cosa o a vietarne un’altra? Non sempre i superiori posson dirvi le ragioni delle loro disposizioni; qualche volta anzi sarà dovere, sarà prudenza il non palesarli. Peggio poi,!quando ad atti per sè indifferenti si vuole attribuire un’intenzione cattiva; oppure un’osservazione, che ci spiace, ritenere che ci venne fatta non perchè sia giusta o meritata, ma per malanimo, per prevenzione. Quando il motivo delle azioni altrui non si è fatto palese, non è palese, noi siamo obbligati a pensare bene e non male. L’azione del nostro prossimo è come un prisma dalle cento faccie; ci sono faccie scure e faccie luminose di queste faocie, quale noi dobbiamo scegliere per giudicare? Sempre la più luminosa• Dobbiamo fare in questo rapporto ciò che desidereremmo che gli altri facessero con noi. Ci piacerebbe che gli altri giudicassero le nostre azioni, e ci condannassero in base alle apparenze? Giustamente ci adonteremo di questi giudici avventati, ingiusti. Non faciamo agli altri ciò che ci spiace che gli altri facciano con noi.

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Il terzo ufficio della misericordia è quello di perdonare. Anche questo ufficio quanto difficilmente, quanto raramente è compiuto! Quanti pretesti si trovano per esimersene! «Noti sono stato io il primo a offendere; non è la prima volta che mi tratta in malo modo; sì, io gli perdono, ma non voglio più saperne; non mi venga più tra i piedi; sì, io gli perdono...» ma quando si vede quella persona in una via, si svolta il’angcolo, per non vederla, per non incontrarla, o si volta via la faccia.... Non è questo il modo pratico ed evangelico del perdono. Per perdonare, non si nega che nel prossimo vi sia la colpa: la colpa la si ammette; se non c: fosse, non potrebbe esserci neanche il perdono. Quello che si afferma come dovere è che, pure ammessa la colpa, il perdono deve essere dato. Prima di tutto osserviamo se il male sia stato fatto realmente dalla persona alla quale l’attribuiamo. Quante volte siamo tratti in inganno da false apparenze o da false relazioni! In secondo luogo osserviamo, se la colpa degli altri verso di noi non abbia un’origine, una colpa nostra verso degli altri. Osserviamo in terzo luogo se il male che attribuiamo agli